Nata a Ottawa, Anastasia Nysten è un giovane talento del design con una particolare propensione alla curiosità, alla scoperta, al continuo cambiamento e un background internazionale: è nata a Ottawa da padre finlandese e madre libanese e fin da piccola ha viaggiato e vissuto tra Francia, Libano, Regno Unito e Finlandia per poi conseguire un master in Industrial Design all’Academie Libanese des Beaux-Arts di Beirut. I suoi continui spostamenti le hanno fatto scoprire culture e dimensioni diverse che l’hanno influenzata profondamente. Questa attitudine nomadica e la tendenza ad adattarsi alle continue variazioni culturali, linguistiche, professionali e gastronomiche che hanno caratterizzato la sua vita personale l’hanno portata a guardare il mondo in maniera sempre interrogativa e aperta, facilitando la sua spiccata predisposizione all’ascolto. Nysten sostiene, infatti, che un buon progetto possa nascere solo da un buon dibattito. Sono molti i maestri che l’hanno ispirata come molteplici sono gli elementi di contaminazione che si riscontrano nel suo design, a volte brutalista come la sua Troll Chair (2017), altre più leggero e spensierato come lo sgabello Biraz (2011). Il suo approccio al progetto nasce sempre e comunque dalle sue stesse mani con cui ama creare – in maniera quasi maniacale e possibilmente facendo sempre più di una cosa allo stesso momento – tanti e più modelli per lo stesso progetto; inizia lavorando da e con la carta (per cui ha una particolare affezione) convinta che, se funziona on paper, vale la pena di continuare a lavorarci.
Da dove cominciano i tuoi progetti?
Partono sempre dall’osservazione. Guardare una cosa, mettere insieme delle narrazioni, sovrapporli; e infine tutto si riunisce nella mia mente, lo metto su carta o ne faccio un modellino. Ed è l’inizio di un lungo viaggio.
C’è un materiale che preferisci usare rispetto ad altri? Perché?
Mi piacciono i materiali naturali, hanno le loro imperfezioni e una loro bellezza, e invecchiano bene. Legno, cuoio, pietra, tessuto, argilla, rame.
So che ami la carta e quindi deduco che tu disegni con la matita. Che cosa pensi del computer e della tecnologia?
Passo parecchio tempo a scegliere le mie penne, le mie matite e i miei taccuini. Spessore, attrito, suono. A dire il vero tutto questo può essermi d’ispirazione oppure impedirmi totalmente di mettere le mie idee sulla carta. La tecnologia facilita decisamente il processo finale di realizzazione dei disegni esecutivi e di indicazione delle dimensioni precise, ma al computer le idee non gli vengono. Ogni fase ha la sua importanza.
Che cosa pensi del rapporto tra arte e design oggi?
Molto intrecciati. Gran parte della mia ispirazione viene dal mondo dell’arte. Mi piace lo spazio mentale che l’arte offre, i molteplici modi in cui è possibile interpretarlo in base alla propria storia. In fin dei conti si tratta di un’espressione della fantasia dell’artista.
Un mobile può essere un’opera d’arte?
Lo scopo principale del progettare è realizzare un buon prodotto, un prodotto dalla funzionalità duratura, che invecchi bene. Quando la funzionalità non è una priorità allora direi che si tratta di arte. Ho l’impressione che considerare i mobili come opere d’arte abbia delle connotazioni peggiorative, ma non sono totalmente d’accordo. Quando ci si imbatte in un oggetto d’arredamento il piacere visivo e l’emozione iniziale che suscita sono le prime impressioni che portano alla reazione seguente, che sia arte o meno. Mi accontento semplicemente di guardarlo oppure lo uso anche? Con i mobili la domanda successiva potrebbe essere: “Come posso entrare nella sua narrazione?”.
So che sei una collezionista di vari generi di oggetti…
Sono una collezionista, raccolgo cose che mi interessano dal punto di vista visivo oppure funzionale, sono una collezionista d’ispirazione. Ho una collezione di utensili di legno, di cose che vengono dal bosco come rametti e pigne, di altre che vengono dal mare come conchiglie e sassi, di libri e dipinti d’arte. Qualche volta mi viene da pensare di averne troppi, ma non potrei mai liberarmi di nessuno di essi. Ma la parola ‘collezionista’ viene per lo più associata al valore finanziario di ciò che si colleziona invece che al suo valore d’ispirazione. Io non la penso così.
Guardando al passato, c’è tra i designer e gli architetti di tutto il mondo qualcuno che consideri il tuo maestro o cui fai riferimento in particolare? Persone che ti hanno ispirato.
Ne ammiro molti: Eileen Gray e Charlotte Perriand per essersi distinte ai loro tempi e per la poesia della loro opera. Poul Kjaerholm per la levità dei suoi pezzi. Sergio Rodriguez per i personaggi che crea, Carlo Scarpa e Tadao Ando per la loro attenzione centrale: trasformare materiali semplici e talvolta ostili in un’esperienza magica di luce e ombra; Charles e Ray Eames per la loro incessante, suggestiva sperimentazione.
C’è un oggetto senza il quale non riusciresti a vivere?
Nulla è impossibile. Ma credo che certi oggetti richiedano più tempo e più sforzi di altri. Una cosa che mi affascina da sempre è riuscire a mettere in risalto le interazioni tra estranei nell’ambiente urbano. Il modo in cui l’ambiente in cui ci si trova influisce sui gesti.