Negli ultimi anni il promettente designer italiano Vito Nesta ha fatto scalpore con una serie di progetti decorativi e fantasiosi che, nel loro insieme, celebrano il concetto della passione per il viaggio. Nesta nuota nell’ispirazione, adottando un’eclettica gamma di linguaggi artistici, dal paesaggi giapponesi, di Costantinopoli e perfino tropicali, alle antiche carte da parati dipinte, alla porcellana di Capodimonte e alla riscoperta dei tesori del vetro d’epoca. Per quanto la sua opera sia intrisa del gusto per il viaggio, è chiaro che le sue radici italiane – e in particolare la patria pugliese dei suoi nonni – ha una parte fondamentale nel filtrare le sue idee progettuali. Nato e cresciuto a Bari, Nesta, che ha studiato a Firenze, ha aperto il suo studio di design a Milano nell’autunno del 2014. Da allora ha creato oggetti decorati, artigianali, istoriati che interpretano motivi multiculturali con un linguaggio significativamente italiano per committenti d’alto livello, tra cui Roche-Bobois, Secondome Design Gallery e Devon&Devon.
Come osserva Claudia Pignatale, fondatrice della sede romana di Secondome, la sua maggiore qualità è forse la capacità di fondere tempo e spazio, ridando freschezza alla tradizione. “Vito ha un talento speciale per prendere vecchie forme e vecchi materiali e dar loro una nuova forma contemporanea”, commenta. Di recente abbiamo fatto una chiacchierata con Nesta. Leggetela per capire quale viaggio ha ispirato le sue opere recenti, in quale momento ha capito che voleva diventare un designer e che cosa farà ora.
Qual è la prima cosa che ti ha portato nel mondo del design? C’è un momento, un progetto particolare che ti ha dato la spinta iniziale?
La prima volta che sono stato a casa dei miei nonni, in Puglia, ho scoperto una stanza con una carta da parati verde petrolio su cui erano raffigurati dei pavoni bianchi. L’arredamento era interamente opera di un celebre mobiliere del luogo, di nome Soldano: forme razionali ma ancora ricche di intarsi, che alternavano decorazioni geometriche e floreali. I complementi d’arredo erano di vetro di Murano e rappresentavano per lo più animali come pesci, scimmie e tartarughe. Il centrotavola era una medusa con i tentacoli eretti in verticale. In un angolo della stanza c’era un coccodrillo impagliato usato come tavolino da tè. Naturalmente, per un bambino di sette anni, una stanza così sembrava uscita direttamente da un libro di fiabe. Ero totalmente invaso da sacro rispetto, e da quel momento ho iniziato a coltivare il sogno di creare oggetti.
Le tue attività professionali coprono tutta una gamma: art direction, design di prodotto, grafica e altro. Dal tuo punto di vista qual è il filo che tiene insieme tutto ciò che fai?
La costante del mio lavoro è la ricerca. Il mio obiettivo è un prodotto calibrato tra artigianato e industria, e faccio ricerca su materiali d’archivio, rinnovandoli per adattarli ai livelli di qualità e alla decorazione di oggi.
I tuoi progetti sono spesso animati dalla passione, se non dalla celebrazione, del viaggio, geografico oppure cronologico. Parlaci di questa costante fonte d’ispirazione.
Sì, il tratto che meglio mi rappresenta è il viaggio. Viaggiare mi piace, da un lato all’altro della città come da un lato all’altro del mondo. Cerco di mettere in risalto nel mio lavoro le immagini e le idee che scopro viaggiando, con lo scopo di ispirare a viaggiare anche la fantasia dell’acquirente.
Ci puoi fare un esempio specifico?
Sul mio lavoro indubbiamente ha lasciato il segno un lungo viaggio in Giappone. Nella casa dei miei nonni c’era una stanza con una tappezzeria rossa e oro che raffigurava un paesaggio asiatico, e mi ci incantavo davanti. Nel 2015 feci il mio primo viaggio in Giappone. Laggiù scoprii gli stessi paesaggi, gli stessi colori, la stessa atmosfera che da bambino mi ipnotizzavano per ore. Appena tornato in Italia realizzai due tappeti in forma di parasole giapponese, Ike e Koi (in giapponese rispettivamente “stagno” e “carpa”), e due carte da parati, Masami e Kazumi, per Texturae. Questi progetti sono stati decisamente significativi per il mio percorso di designer.
Ci sono dei luoghi, delle epoche, oppure dei motivi che ti trovi a riprendere più volte?
Se non ho la possibilità di viaggiare mi perdo dei mercatini dell’antiquariato, alle aste, nei negozi di robivecchi e via dicendo, alla ricerca di oggetti o pubblicazioni del passato che possano servire da fonte d’ispirazione. Per il mio ultimo progetto, Les Ottomans, per esempio, ho setacciato mercati turchi per ore per trovare antiche illustrazioni d’epoca ottomana.
Il tuo lavoro sposa frequentemente il vecchio e il nuovo, adottando elementi tradizionali e reinterpretandoli con un taglio contemporaneo, come nei tuoi recenti progetti di carta da parati o nei Risvolti, i tuoi specchi per Secondome. Dicci qualcosa di come vedi questo aspetto del tuo lavoro.
Il passato mi ha sempre affascinato, perché i racconti mi attraggono. In ognuna delle mie opere finisco per fare un po’ di ricerca che mi porta a scoprire elementi del passato. Per esempio così è stato con gli specchi progettati per Secondome in collaborazione con Effetto Vetro. I vetrai che fabbricavano gli specchi avevano in archivio un magnifico vetro opalino a colori tenui degli anni Cinquanta. Decidemmo immediatamente che dovevamo assolutamente usarlo. Aveva un impatto estetico fortissimo e raccontava una bella storia. La parte specchiante fu realizzata con un acciaio ad alta tecnologia super riflettente, soluzione particolare e inconsueta per uno specchio, ma che diede un tocco di originalità al progetto. Il risultato è l’unione di vecchio e nuovo.
Esotica, la tua collezione di soprammobili di porcellana per Fratelli Majello, pare anch’essa molto originale e davvero allegra: evoca racconti di “terre lontane e rive esotiche”. Da quale particolare ispirazione nasce questa collezione?
Esotica nasce dall’aver saputo che alla Fratelli Majello c’era uno dei pochi maestri disegnatori della porcellana di Capodimonte. Riflettendo su quale fosse il miglior modo per permettere a questa competenza artigianale di esprimersi mi è venuta l’idea degli animali esotici in svariati colori.
Il tuo lavoro – cosa straordinaria – non indietreggia mai di fronte alla decorazione, al colore e allo spettacolo. Come descriveresti la tua estetica progettuale in generale?
Mi piace la decorazione, tutto il simbolismo che c’è dietro e tutti i modi in cui è possibile raffigurare un’immagine. Amo i colori e amo le loro combinazioni. Amo i racconti che si possono comunicare attraverso la decorazione.
Come descriveresti l’estetica della casa in cui vivi? È altrettanto teatrale?
La mia casa è come le onde del mare che, con il flusso e il riflusso della marea, lasciano dietro di sé sulla spiaggia pezzi di legno, conchiglie e alghe. Ho la casa piena di pezzi raccolti nel corso dei miei viaggi, tra cui un grande pesce d’ottone cesellato a mano, comprato in un mercato di Kyoto, e un grande medaglione d’acciaio che viene da una moschea, su cui è disegnato il nome dell’apostolo Assad, che acquistai a Istanbul a un’asta. Insieme con questi oggetti c’è molto antiquariato, eredità di famiglia o trovato nei mercati, un sacco di libri, i miei vasi di ceramica, dei pannelli con le mie carte da parati e gli schizzi che ho disegnato.
Che cosa speri di più che il pubblico trovi nelle tue opere?
Penso che nelle nostre case oggi ci siano moltissimi oggetti funzionali ma senz’anima. Con i miei progetti voglio offrire un altro punto di vista sull’utilità di un oggetto. Voglio trasmettere una narrazione, un racconto che affascini e stimoli l’utente.
C’è un nuovo o futuro progetto di cui ci puoi parlare?
Attualmente sto lavorando a un progetto personale che esprime la decorazione attraverso i miei simboli personali, di cui sarà allestita una mostra itinerante. A parte questo sto lavorando a parecchi progetti diversi, uno dei quali è una collaborazione con le tappezzerie Limonta sulla rivisitazione del loro archivio storico.