La tecnologia ha sempre condizionato lo sviluppo delle città, che si trattasse di irrigazione oppure di orologi, di telai per la tessitura o di impianti idraulici, di meccanismi di sicurezza per gli ascensori oppure di automobili. È un fatto che la maggior parte dei designer non ha tenuto abbastanza in considerazione. Si può quindi dire che la tecnologia sia stata il primo motore dello sviluppo della città, per quanto raramente secondo una forma o un orientamento dettati dall’architettura e dall’urbanistica. Nonostante quel che ci raccontiamo, abbiamo spesso applicato le tecnologie a posteriori. Oggi però, con la tecnologia digitale contemporanea – detta anche semplicemente “tech” – in cui si fondono capitale finanziario e potere egemonico, non possiamo più far finta di nulla. In qualità di primo motore della cosiddetta “èra urbana”, la tecnologia digitale costituisce una nuova e successiva spinta allo sviluppo dopo quella conosciuta con l’evoluzione degli aerei, dei treni e delle auto, e la sua pervasività in ambito urbano suggerisce nuove forme di città, nuovi modelli di sviluppo, di affari, di attività e di vita comunitaria.
Per una democrazia digitale sostenibile
Mentre le tecnologie tradizionali sono sempre intervenute sullo sviluppo della città a posteriori, le tecnologie digitali sono una opportunità per progettare in tempo reale gli scenari futuri.
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- Dan Hill
- 11 settembre 2017
Come indicano le vicissitudini di Uber questo cambiamento può essere conflittuale quanto produttivo. Ma che cosa succederebbe se guardassimo alla tecnologia digitale come a un’opportunità progettuale? Non ingenuamente, come altrettanti novelli Icaro che volano troppo vicino al fuoco, ma assorbendo realmente il suo potenziale progettuale, che spesso è incentrato sull’uomo, e integrandolo nelle discipline dell’architettura e dell’urbanistica? Che cosa accadrebbe se, lavorando secondo la dinamica di queste tecnologie e tuttavia traducendole in funzione di risultati condivisi, riuscissimo a configurare una nuova prospettiva urbanistica: una inedita capacità di costruire in modo iterativo e sostenibile, adeguato ai dettami dei bisogni e dei desideri? I metodi odierni fondati sul digitale sono almeno potenzialmente decentrati e distribuiti, adattabili e duttili, fatti di livelli fisici e digitali minimi, ciascuno costituito da una ricca base di dati a cui fanno da contrappunto forme di partecipazione a più livelli. Quest’ultima può permettere un impegno, una condizione proprietaria e un’adattabilità vere e proprie, ben al di là del concetto di “cittadino come fonte di dati”, forse perfino consentendo, in prospettiva, la realizzazione di uno degli aspetti essenziali della pionieristica opera di Giancarlo De Carlo: luoghi in cui abitanti e utenti conferiscano forma e senso, innescando una forma di urbanistica genuinamente impegnata e sostenibile. Questo sarà possibile se i progettisti ci si dedicheranno per primi.
In contrapposizione ai precedenti modelli di sistemi urbani centralizzati, pesanti, fondati su grandi investimenti di capitali e in grande misura inerti, caratterizzati da ‘griglie’ infrastrutturali e da edifici ispirati a decisioni prese dall’alto e da massicci costi preliminari, queste nuove edificazioni si possono pensare come connotate da uno schema ‘senza griglia’. Ciò implica una forma completamente differente di costruzione della città, permessa dalla convergenza di tecnologie contemporanee, come la fabbricazione edilizia, la robotica per la manutenzione e la costruzione, da sistemi di mobilità e di logistica autonomi e su misura, da microgriglie rinnovabili e superfici ‘impermeabili alla pioggia’ distribuite, da strutture di servizio, da spazi e risorse pubbliche e da piattaforme decisionali e modelli di proprietà locali.
L’inedita interazione tra la presenza e l’assenza di uno schema a griglia potrebbe essere una questione progettuale, urbanistica e operativa cruciale per le città del XXI secolo. È un fatto che riguarda le grandi imprese di costruzioni quanto Jeff Bezos, Ceo e fondatore di Amazon: un modo diverso di costruire con una modalità condivisa, in grado di sviluppare infrastrutture molto più leggere, pulite e verdi. Come diceva Frei Otto: “il segreto del futuro credo stia nel non fare troppo”. Forse, in contrasto con i modelli economici fondativi dello sviluppo urbano ortodosso, un genuino impegno nella tecnologia digitale ci spinge a domandarci “Quanto poco si può costruire?” invece che “Quanto possiamo costruire?”. Questo approccio potrebbe innescare una forma di resilienza, di sostenibilità, di diversità e di gratificazione che raramente siamo riusciti a sviluppare in passato.
Parallelamente, le ideologie implicite in molti degli approcci progettuali attuali, se non contrastate, potrebbero avere l’effetto esattamente contrario. In qualità di progettisti dobbiamo lavorare in un contesto multidisciplinare per impegnarci direttamente all’utilizzo della tecnologia digitale, integrando le varie attività progettuali al fine di definire le migliori linee di sviluppo per le nostre città anche tramite un cambiamento sistemico nella cultura delle scelte decisionali; con questo obiettivo Arup Digital Studio ha supportato durante l’ultimo anno la municipalità di Amsterdam. Sarebbe, infatti, poco probabile riuscire a creare città a basse emissioni di anidride carbonica, di cui questo secolo ha bisogno, con lo stesso sistema che ha creato le città ad alte emissioni del secolo scorso.
Una prospettiva di ‘progetto totale’ focalizzata sull’uomo e fondata sulla tecnologia digitale può portare a una più ricca comprensione dei processi e delle politiche urbanistiche, del modo di prendere decisioni complesse caratterizzato da mediazioni concrete e conseguenze di lungo periodo, del modo di integrare l’idea di ‘città come bene comune’ nel DNA di strutture e piattaforme che incidano sullo sviluppo urbano. Di fronte a queste potenti forze propulsive, verosimilmente molto più disgregatrici dell’automobile del XX secolo, dobbiamo finalmente accostarci alla tecnologia come a un arsenale di materiali di trasformazione, di pratiche progettuali e di culture decisionali, e come un’opportunità.
Questo articolo è stato pubblicato in origine sull’allegato Green di Domus 1016, settembre 2017.
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