Già nel 2003 al Museum für Gestaltung di Zurigo la figura di Semper fu oggetto di una importante mostra di ricerca “Gottfried Semper. Achitektur und Wissenschaft”, curata da Werner Oechslin e Sonja Hildebrand, che ne rinnovò l’importanza in occasione del bicenternario della nascita.
Sempering
Nel palinsesto della XX1 Triennale, la mostra “Sempering”, a cura di Luisa Collina e Cino Zucchi, stimola una riflessione sull’attualità di Semper e del suo “principio del rivestimento” a proposito del complicato rapporto tra arti e tecniche nella produzione del design e dell’architettura.
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- Spartaco Paris
- 12 settembre 2016
- Milano
Nel caso di “Sempering”, il titolo / neologismo è il pretesto per evocare, attraverso il riferimento alto, la possibilità di ristabilire uno stretto rapporto tra l’atto progettuale e la conoscenza delle tecniche stesse e di provare a liberarsi dall’equivoco contemporaneo della sua riduzione a ‘concept’ – a volte financo mistico – proprio più del marketing che dell’attività di progettazione. Il richiamo al rapporto tra arte e tecnica, è stato il tema de Lo Stile (Der Stil): nell’articolazione delle quattro arti (tessile, ceramica, tettonica-carpenteria e stereotomia), Semper aveva provato a definire diverse matrici ontologiche dell’architettura stessa, in una dialettica tra plastica e tettonica.
Con un approccio volutamente non filologico, i curatori ‘inventano’ otto nuove categorie per mettere insieme, in gruppi semanticamente omogenei, una selezione di produzioni dell’architettura e del design. Ne scaturiscono altrettante piccole sezioni, suddivise attraverso il percorso dell’allestimento, in cui ciascuna categoria corrisponde a un’azione o tecnica progettuale sulla materia: stacking (impilare), weaving (tessere/intrecciare), blowing (soffiare), moulding (plasmare), connecting (connettere), folding (piegare), engraving (incidere), tiling (rivestire, disporre). All’interno di ciascun insieme troviamo pezzi recenti e riconosciuti del design e immagini e modelli di architetture contemporanee o di sue parti. Sullo sfondo una raccolta di citazioni, attraverso foto storiche riferite ad archetipi, e all’ingresso una bella vetrina con disegni di progettisti storici e una scaffalatura con modelli di progettisti contemporanei, che intorno all’indagine formale a partire dalle tecniche hanno impostato il loro lavoro: dalla capanna di Semper, a Lewerenz, a Schmitthenner, fino alle ‘casette’ in legno di Michele De Lucchi e agli esperimenti didattici ‘Structure and Pattern’ sulle connessioni di Adam Caruso all’ETH.
Questa ricca miscellanea di oggetti e progetti sollecita una riflessione proprio sull’efficacia delle tassonomie scelte per mettere insieme le opere mostrate: per il design le categorie di ‘operazioni’ sulla materia trovano una immediata corrispondenza semantica con gli oggetti mostrati, più facilmente che per l’architettura, dove alcune categorie sfumano inevitabilmente l’una nell’altra e dove il rapporto tra corpo e superficie è più complesso. In tutti però il richiamo alle tecniche risulta il leitmotiv della mostra e la chiave per riflettere anche su quale ne sia il limite. Veniamo quindi al punto centrale della riflessione, che ruota attorno al rapporto tra tecniche e primato della decorazione – come vero ultimo dominio del progettista, in un possibile implicito rimando della mostra agli studi sulla tettonica di Frampton degli anni ’90 e al ruolo del rivestimento, quindi alla superficie degli artefatti.
Anni fa in uno storico numero di Rassegna (n. 73, 1998) “L’architettura è tutta superficie. Semper e il principio del rivestimento”, Joseph Rykwert fece una profetica premonizione sul prevalere, nell’architettura contemporanea, della componente rappresentativa rispetto alla componente protettiva e funzionale. Il richiamo all’arte della decorazione è sempre stato quello che ha riguardato le arti applicate – poi design – e per estensione l’architettura. Lo stesso Loos aveva sostenuto che il vero architetto dovesse pensare alla superficie, alla pelle dell’architettura, perché è proprio la superficie che determina le reazioni di chi vi abita. La connotazione formale della superficie degli artefatti, con le variazioni che le tecniche disponibili offrono, rappresenta il nodo – per dirla con Semper – più stimolante della mostra.
Forse sarebbe stato più efficace se le categorie proposte per l’architettura fossero state rappresentate attraverso una rassegna sulle facciate, come campi più adatti alla reinterpretazione semperiana delle azioni proposte. Viceversa alcune azioni – proprie soprattutto di processi di formatura di prodotti – come la plasmatura o la soffiatura – trasferiti all’architettura contemporanea in mostra, ne hanno evidenziato una sua inevitabile ibridazione con gli oggetti di design; con una conseguente riduzione a invenzioni non così lontane dalla banalizzazione del concept. L’auspicio è che questa occasione non sia un episodio isolato ma stimoli nuove riflessioni e approfondimenti sui rapporti tra forme e tecniche, nella concezione come nella produzione, degli artefatti.
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