Il colosso svizzero USM ha festeggiato i suoi primi 50 anni con un progetto curatoriale dal titolo “Rethink the modular” negli spazi del Salone dei Tessuti di Milano, nel cuore della zona Porta Venezia, da qualche anno nella mappa del design.
USM: Rethink the modular
I 50 anni del sistema Haller di USM sono una buona occasione per ripensare al concetto di modularità con un progetto curato da Tido von Oppeln e Burkhard Meltzer: per ribadire l’importanza della cultura del design e di una connessione forte con la ricerca.
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- Maria Cristina Didero
- 21 maggio 2015
- Milano
Il Salone del Mobile – con l’Expo a ridosso da maggio a novembre 2015 – rappresenta un’occasione imperdibile per celebrare la storia di questa azienda di successo, che guarda al passato senza perdere di vista la ricerca e la progettualità per il futuro.
Nato da una serie di sette workshop propedeutici dal titolo “USM Masterclasses on Modularity” tenutisi lo scorso anno in Francia, al Domaine de Boisbuchet, all’appello hanno risposto studenti di architettura, laureandi e un gruppo selezionato di 7 rappresentanti illustri del settore, tra cui designer e accademici di chiara fama. In una settimana di lavoro, si è cercato di analizzare quale sia il nuovo – o meglio, contemporaneo – significato di sistema modulare dopo mezzo secolo dal progetto dell’architetto Fritz Haller (1924–2012) nel 1965.
L’idea è quella dell’infinita possibilità di manovra con risultati dalle forme più incredibili al di là del domino sistematico studiato e pensato a tavolino, che un sistema modulare efficace può adempiere, assolvendo appunto a diverse funzionalità. I curatori si sono interrogati sulla flessibilità, la mancanza di restrizioni e di limiti, l’aperta comunicazione tra le parti, la dinamica – che forse può davvero sfiorare l’utopia? La mostra al Salone dei Tessuti a cura di Tido von Oppeln e Burkhard Meltzer ha chiamato sette tutor (tra cui Bini, BLESS, Lommee) a confrontarsi con gli studenti durante il laboratorio in terra francese, sottolineando il tema della comunicabilità della modularità fino al principio dell’open-source – toccando anche il tema della modularità nella comunicazione – il progetto riscopre proprio l’aspetto comunicativo della modularità; si è cercato di dar voce a diverse esperienze condivise che vengono riprodotte in mostra attraverso tre macro-aree chiamate “Modularity as Structure”, “Interference” e “Rhythm” più una sezione dal titolo “Relationship” che tratta il background storico del concetto di modularità.
“Tra il 1960 e il 1990”, spiega von Oppeln, “diversi architetti e designer hanno smesso di concentrarsi su oggetti singoli o su singoli edifici, ma si sono concentrati piuttosto sulla relazione tra gli stessi”. Infatti diverse e complesse strutture diventano più comprensibili se osservate come unità modulari – e anche se queste sono dissimili è importante il modo in cui i collegamenti avvengono tra esse. E, infatti, il concetto di modularità può avere poi forma più vasta ed essere applicato alla percezione stessa con cui guardiamo il mondo che ci circonda, il modo in cui comunichiamo fra di noi, l’universo delle nostre relazioni tutte. I risultati sono diversi ed eterogenei, per esempio Wolf Mangelsdorf e Lorenzo Bini hanno sviluppato un sistema modulare su vasta scala mentre Dimitri Bähler, Allan Wexler e Thomas Lommée si sono concentrati più sull’interscambio, sulla trasmissione di messaggi – gli spazi e le interfacce tra diversi moduli e format. Go Hasegawa e le designer svedesi BLESS hanno guardato al corpo umano come un modello costretto in un preciso processo temporale e contesto spaziale.
L’approccio è di ricerca e sperimentazione: “Presentiamo tipologie dissimili di lavoro: una di queste è quella nato dal nostro materiale in-house che è stato sviluppato durante i laboratori”, commenta von Oppeln, oltre al materiale storico e in particolare a tutto il lavoro svolto da giovane dall’architetto Fritz Haller che, in collaborazione con l’ingegnere Paul Schärer, sviluppò i sistemi di arredamento USM Haller. L’intero progetto è incentrato sulla maniera di guardare, indagare e, quindi, fare ricerca. Il tema del concetto di modularità, con un taglio più visionario, è rappresentato anche da lavori che appartengono alla storia del design dagli anni Sessanta a oggi, con pezzi di Ettore Sottsass, Superstudio e Hans Hollein che, in modo visionario e forse perfino utopico, allargano i confini della modularità andando ben oltre la nozione di cubi modernisti e sistemi rigidi.
Come si è sviluppata l’azienda negli anni? “I prodotti di USM hanno sempre avuto grande merito specialmente in termini di funzionalità e qualità, e proprio per queste ragioni il brand è conosciuto come autore di eccellenza; i progetti non sono stati modificati in questi ultimi 50 anni di attività, ma l’azienda è comunque interessata a rivisitare le visioni che costituiscono l’origine di questo grande successo. Questo anniversario è una buona occasione per ripensare al concetto di modularità cercando di riaprire il dibattito su cosa significhi oggi. Abbiamo pensato di celebrare questa occasione con un progetto curatoriale perché crediamo che la cultura del design sia rilevante e che il mondo dell’arredo in generale debba avere una connessione forte con la ricerca e che questa sia imprescindibile dalla cultura”. Haller e Schärer hanno inventato questa tipologia di arredo sulla base di un solido e preciso concetto arricchito da un approccio idealistico. “Erano convinti”, prosegue, “che il design e l’architettura si sviluppassero nello stesso modo e in armonia con i bisogni dei cittadini. Inoltre, l’azienda ha utilizzato questo concetto di modularità nella costruzione degli edifici che la ospitano e declinando un sistema di arredo che potesse adattarsi. Per essere più chiari: una mensola classica non è solo un prodotto, ma una conseguenza”.
Durante la settimana milanese del design, la mostra proponeva modelli, disegni e performance e, a coronamento, una serie di conferneze, tra cui quella della ricercatrice inglese Catharine Rossi, per sottolineare nuovamente l’attitudine didattica ed esperienziale di questi primi 50 anni. La mostra era accompagnata da una pubblicazione (che uscirà a breve) redatta dai curatori, mentre durante l’inaugurazione si è festeggiato bevendo drink in bicchieri dalla foggia inconsueta a firma delle Bless – un bicchiere incastonato in un pezzo di roccia, uno in cima a un ramo di albero, un bicchiere dallo stelo fatto a catena – da tenere sempre in mano perché impossibile da appoggiare. Perché la modularità è una relazione che può comportare addirittura contrasti e contraddizioni.
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