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Tanto così o tanto così?
Dedicata al design della quotidianità, la nuova mostra del 21_21 Design Sight invita i visitatori a riflettere sul tema delle misure, confrontandosi con il design e con il modo di vivere di oggi.
Misurare è un’attività umana inevitabile quanto paradossale. Come per comunicare occorre un linguaggio, così per sistematizzare il mondo che ci circonda vengono definite delle unità di misura convenzionali. Il paradosso sta nel modo in cui ciascuno vive queste convenzioni.
Solo da due secoli e mezzo è stata definita nel mondo occidentale una convenzione di “misura universale”: ‘un metro’ fu in quell’occasione definito “un decimilionesimo della distanza tra il Polo Nord e l’Equatore” e solo 32 anni fa venne ridefinito come qualcosa di più complesso, come “la lunghezza del percorso coperto dalla luce nel vuoto in un intervallo di tempo pari a 1/299.792.458 secondi”.
Prima dell’applicazione del sistema metrico decimale il sistema di misura tradizionale del Giappone era lo Shakkan-ho, legato al concreto uso quotidiano della misurazione umana e artigianale, cui si aggiungeva una varietà di unità di misura di lunghezza e di massa che ancora sopravvive implicitamente in molte attività contemporanee.
Far luce su un tema tanto complesso come quello delle misure non implica necessariamente l’elaborazione di argomentazioni complicate. Perciò 21_21 Design Sight ha da poco inaugurato la sua prima mostra del 2015 con il titolo “Measuring: This Much, That Much, How Much?”(“Misurare: tanto così o tanto così?”), dedicandola come in precedenti occasioni al design della quotidianità e invitando i visitatori a rispondere alla domanda confrontandosi con il design e con il modo di vivere di oggi.
Lo spazio espositivo, a cura di Koichi Suzuno dello studio Torafu Architects, è allestito in modo giocoso e comprende 36 pezzi principali, molti opera di creativi invitati, altri scelti da un comitato scientifico presieduto da Tatsuya Maemura. Quest’ultimo sottolinea la curiosa ma interessante contraddizione della coesistenza dei concetti occidentali con i metodi di misurazione della tradizione giapponese, ancora in uso in certi campi del sapere come l’edilizia e l’agricoltura, anche se – come nota – molti non se ne rendono conto. Sottolineando che questa mostra non ha un responsabile unico, Maemura ha collaborato con un gruppo di artisti, designer, architetti, saggisti e urbanisti.
La mostra si apre accogliendo i visitatori all’ingresso con un “negozio del concetto di misura”, dove si possono acquistare a peso vari materiali di un determinato prezzo, allo scopo di sensibilizzare il pubblico alla pratica della misurazione nella quotidianità.
Prima delle sale d’esposizione, l’atrio sotterraneo ospita cinque opere importanti che presentano differenze della forma della misura e del modo di esprimerla che ritornano poi in tutta la mostra. L’Occhio di giraffa, frutto della collaborazione tra Lens, Studio Shikumi e Liukobo, consiste in un video interattivo in cui i visitatori possono navigare e fruire della mappa della mostra a differenti scale. Anche Quanto è grande una mela? di Perfektron invita il pubblico a usare le mani come strumento per comunicare le dimensioni, traducendo il gesto su uno schermo in un’immagine del frutto prossima alle dimensioni indicate. Una copia del metro campione internazionale è esposta come simbolo della standardizzazione ma anche della necessità di dare forma materiale a questo genere di convenzioni.
Prima di entrare nella prima sala l’Orologio del nonno, del designer olandese Maarten Baas, presenta un filmato in cui un personaggio disegna e cambia a ogni minuto le lancette di un orologio, a memoria del fatto che anche il tempo è un’unità di misura creata dall’uomo per decodificare la finitezza dell’esistenza. La prima sala invita lo spettatore a riconsiderare la domanda centrale della mostra: “Quanto?”, presentando otto opere tutte scelte dal comitato scientifico. Alcune opere di questa sezione sono concepite in modo più didattico, per fornire informazioni di base sul modo in cui vengono misurati concetti universali come la massa, il volume, la velocità, il tempo e la valuta. Si sottolinea anche come, per contrasto, queste nozioni vengano tutte apprese per esperienza personale nella pratica quotidiana, semplice ma potente metafora nel nostro bisogno di classificare e di definire ogni aspetto della vita.
La seconda e principale sala riecheggia l’atmosfera da mercato del primo piano, alternando su tavoli grandi e piccoli 18 opere differenti per scala e tecnica, a sottolineare che la percezione della misura è una delle chiavi per comprendere la realtà. Quanto è grande 21_21 Design Sight? di Naoki Terada (Terada Mokei) offre un assaggio di questa varietà percettiva inserendo vari campi sportivi in un modello del museo e favorendo così la percezione delle dimensioni delle sale d’esposizione. L’opera interattiva Il peso delle parole di Yusuke Oono e Ken Okamoto mostra, come annuncia il titolo, come pesare metaforicamente il valore soggettivo che attribuiamo alle parole, fornendo un risultato matematico per ogni singola lettera o ideogramma possibili. Progetto e unità, insieme con La scala del sake, scelte dal comitato scientifico in collaborazione con altri designer, mostrano su grandi pannelli certe particolari e personali unità di misura in uso per i residui di legname e per il sake, in recipienti diversi secondo le fasi dei rispettivi cicli di vita, dal produttore al consumatore.
Sulla parete lunga della sala Lunghezze comparate: misure da 1 a 100, anch’essa a cura del comitato scientifico insieme con gli studenti della Tama Art University, è una collezione di oggetti quotidiani ordinati dal più piccolo al più grande. Al centro dello spazio sta l’Unità Muji, frutto della collaborazione tra la società Muji e Fumihiko Sano: un padiglione residenziale costruito usando esclusivamente elementi modulari provenienti dagli scaffali di un negozio Muji.
Alcuni interventi di dimensioni minori sono stati raccolti in due sezioni, Le misure di tutti e Le mie misure: presentano vari punti di vista sugli argomenti principali. Tra essi Scala di Klein e Dytham descrive il modo in cui gli architetti comunicano le unità di misura di uno spazio a chi non ha una formazione da architetto, come i loro committenti, usando rappresentazioni di scala diversa in rapporto a diversi momenti della giornata o differenti funzioni dello spazio: adottando cioè scale relative al tatami, alle scrivanie dell’ufficio e così via. Pixelman di Kenichi Okada (LENS) usa lo strumento della scomposizione e ricomposizione della figura umana in pixel su uno schermo per descrivere come la scala umana possa essere ridefinita in modi totalmente diversi.
Pur evitando di descrivere tutte le opere della mostra, due opere conclusive fanno da paradigma nel rendere omaggio al sistema di misura storico giapponese: Sangaku, la geometria del tempio giapponese, di Ken Okamoto, e il carpentiere e la sua squadra, di Axis e del comitato scientifico. Mentre la prima offre l’occasione di ammirare i tradizionali metodi matematici applicati nella creazione di pannelli di legno di destinazione religiosa, la seconda ricorda con chiarezza e forza come il quadrato di legno noto come ‘shaku ordinario’ (fondamentale unità di misura dell’edilizia giapponese) fosse al centro del tradizionale sistema di misura artigianale.
Appare chiaro come la cultura giapponese fosse (e tuttora sia) capace di creare progetti rivoluzionari usando strumenti semplici ma raffinati, senza professioni di fede in metodi di ricerca astratti in grado di giustificare un sistema di misura universale come il metro occidentale. In Giappone la percezione delle dimensioni nasce dalle nude mani degli artigiani, e in queste stesse mani sta probabilmente il segreto delle proporzioni del progetto giapponesi.