Questo articolo è stato pubblicato su Domus 971 luglio/agosto 2013
Nell’ex caffè di una viuzza commerciale del sud di Londra, un piccolo laboratorio costruito intorno a una grande macchina utensile a controllo numerico di ultima generazione, Assemble & Join, organizza lezioni sugli scenari concreti offerti alla comunità dalla manifattura digitale.
OpenDesk
Con il progetto OpenDesk di 00:/, modello Freemium di fabbricazione digitale, la fabbrica diffusa sbarca in centro città.
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- Beatrice Galilee
- 21 agosto 2013
- Londra
È il volto locale della rivoluzione dell’open source: stampa insegne di negozio personalizzate e banchi da mercato con imballaggio compatto. Mentre il movimento open source guadagna terreno online, pian piano cominciano a manifestarsi i suoi effetti su luoghi e città. Come già avevano fatto le copisterie e le stampanti da scrivania, micro-fabbriche come questa stanno cominciando a trovar posto agli angoli delle strade, nei garage della periferia, nelle case di vacanza, nei campus universitari e nelle cucine di tutto il mondo.
Per il movimento dei maker, pare imminente la collocazione nel centro cittadino. “Il centro delle città sta diventando importante come spazio pubblico e della distribuzione, non è più solo il luogo del consumo”, afferma Joni Steiner dello studio 00:/, il gruppo che gestisce un nuovo sito web e ospita un ecosistema incentrato su OpenDesk, modello Freemium di fabbricazione digitale. “Presto si dirà: 'Vado a bere un caffè e a stamparmi questo oggetto'”. Dove Ikea è riuscita a rendere lineare il rapporto tra utente e oggetti di design, fabbricazione semplificata e fai da te, 00:/ legge come opportunità quella di riportare l’industria e la produzione in città, e gli utenti al progetto.
FabHub e OpenDesk sono infrastrutture online progettate da 00:/ per far crescere e usare queste reti di produttori per professione o per hobby. In parte showroom di arredamento open source e in parte esperimento sulle possibilità della fabbricazione diffusa, esse fanno entrare gli utenti in contatto con semplici modelli di progettazione gratuiti e con la ‘fabbrica’, fornendo particolari e mappature, oltre che valutazioni e sistemi di controllo. Sono infrastrutture progettate per fare profitti.
Il punto critico è che OpenDesk è un’offerta commerciale, e quindi i progetti si possono anche acquistare, sia come prodotti finiti, sia con una licenza per la distribuzione, in base alla quale i maker possono riprodurre i progetti nella loro zona e venderli a proprio profitto, mentre OpenDesk trattiene un modesto contributo per il progetto, e il designer riceve dei diritti d’autore a percentuale. Nick Ierodiaconou spiega il modello economico paragonandolo a quello di un software Freemium: “Tutti i progetti di mobili OpenDesk vengono forniti gratuitamente con l’autorizzazione per chiunque a costruirseli da sé”, spiega.
“Tuttavia OpenDesk è anche collegato con una rete in crescita di fabbricanti locali, che pagano una quota per produrre, rifinire e distribuire prodotti. Lo consideriamo un nuovo modello produttivo, in cui i progetti digitali condivisi, Internet e la crescente competenza nella fabbricazione digitale portano a una produzione più egualitaria in una catena di distribuzione spiccatamente locale”. La struttura di entrambi i siti è concepita in modo da definire un sistema di diritti d’autore per il designer e anche una specie di sistema di controllo interno con analisi e valutazioni per i fabbricanti. “È una sorta di modello di valutazione dell’affidabilità alla eBay in cui si fanno commenti sulla qualità del progetto: quale sia il livello di fattibilità, e quanto sia rispettoso del punto di vista dell’utente”, spiega Steiner. “Significa definire un rapporto differente”. OpenDesk è partito nel 2011 dall’incarico di realizzare una scrivania per un cliente che aveva uffici a Londra e a New York. 00:/ propose una scrivania appositamente progettata, che si adattava a entrambe le sedi ma era anche facilmente riproducibile, dato che si prevedeva un rapido ampliamento di entrambi gli uffici. 00/: continuò con lo sviluppo di oggetti d’arredo, realizzando le scrivanie per la propria sede, l’Hub Westminster. Il dialogo si sviluppò in un progetto di abitazione open source: la WikiHouse (vedi Domus 959, 2012). OpenDesk è il punto di convergenza di alcune idee chiare e significative.
I progetti (realizzati in collaborazione con il fratello di Joni, David Steiner, designer di prodotto) sono concepiti per questo genere di fabbricanti e per i loro clienti. Senza incollaggi e senza usare cacciaviti eccentrici, si assemblano come i normali mattoncini Lego. Ogni modello viene fornito in tre esemplari (stretto, normale, largo) per adattarsi agli spessori variabili del compensato in uso nel mondo. Sono riproducibil i n scale diverse: in altre parole, uno sgabello per un bambino di tre anni oppure la commessa dell’arredamento per una scuola elementare (entrambi casi di studio di 00:/) si possono realizzare semplicemente con qualche aggiustamento del modello base. I progetti sono anche concepiti per persone che si divertono a fabbricarli.
“C’è una cosa chiamata effetto Ikea”, dice Steiner, citando una ricerca della Harvard Business School, che indica un incremento della percezione del valore da parte di chi contribuisce con il lavoro e la fatica fisica alla realizzazione di un compito. “In realtà, costruire e fabbricare qualcosa da soli dà parecchio: si è più affezionati a quell’oggetto e gli si attribuisce un maggior valore economico”. Una delle critiche più comuni al design open source e alla fabbricazione digitale è quella dei suoi limiti estetici; anche se il design è elegante, è difficile che una casa o un ufficio completamente fabbricati con compensato da 18 mm suscitino maggiore interesse. OpenDesk e FabHub hanno individuato casi simili tra i concorrenti sul mercato online, e stanno rapidamente includendo anche le plastiche e altri materiali per arricchire le loro collezioni.
Il prossimo passo di 00:/ sarà rivolgersi a prodotti di consumo progettati da altri, per ogni genere di produzione digitale, concentrandosi soprattutto sul rapporto tra designer emergenti e nuovi tipi di produzione. Questo rapporto si aprirà a una rete di maker, grazie alla quale il prodotto verrà fabbricato vicino al cliente, permettendo ai designer di vendere direttamente sul mercato. È certamente nell’interesse della comunità continuare ad ampliare il proprio raggio d’azione. La più importante delle sue prossime mosse sarà aprirsi alle migliaia di progettisti-produttori di tutto il mondo, e poi migliorare la qualità della propria produzione. Dopo di che, sarà il momento della rivoluzione urbana prossima ventura: e sarà quella dei microproduttori nelle strade del centro cittadino. Beatrice Galilee (@_Beatrice) Curatrice e giornalista di architettura e design