Questo articolo è stato pubblicato su Domus 958, maggio 2012
Sono a tavola con Francesco Librizzi e suo padre a Gratteri, nell'entroterra siciliano, nella loro casa di famiglia. È un'architettura appropriata, progettata e interamente costruita da Librizzi senior. Una casa molto diversa da quella illustrata in queste pagine. La domanda è ovvia. Perché siamo qui? Perché per comprendere le logiche e le ragioni progettuali di Francesco è di grande aiuto osservarlo in quelle situazioni in cui torna a essere il ragazzino che trafficava con il motorino: il bambino che è trasmigrato nel cuore della persona adulta.
Mentre ci fa vedere questo interno, Francesco racconta: "Avrò avuto otto anni. Si rompe il frullatore. Mio padre lo apre e capisce che si è spezzato un ingranaggio. Allora si mette ad armeggiare e costruisce un microstampo. Da non credere: fonde un pettine di plastica e stampa un nuovo ingranaggio per sostituire quello rotto. Ecco. Questa per me è la mia infanzia. Un misto tra un Robinson Crusoe formato domestico, mio papà, e mio zio che trasformava il Ducato in altro: un veicolo che pareva uscito dai telefilm degli A-Team che guardavo alla televisione. Un'infanzia meravigliosa, durante la quale ho imparato che il progetto non è questione di competenze, quanto di attitudini". Apparentemente, le astrazioni spaziali di Librizzi adulto sono lontane anni luce da Francesco bambino che giocava con lo zio nella campagna siciliana. Ma, forse, non è così. Sono due facce della stessa medaglia. Il racconto continua: "Mio padre è stato professore di educazione tecnica in una scuola media di Cefalù per 40 anni. Non è un architetto. Entrambi—mio padre e mio zio—sono comunque dei progettisti raffinatissimi e incredibili. La grande tradizione mediterranea. Che si tratti di costruire la propria casa, o che si debba trasformare un furgone in un fantasmagorico camper per andare a Capo Nord, loro sono progettisti assoluti. Dal cucchiaio per arrivare alla città: invece di Gropius al Bauhaus, siamo però nella Sicilia più pura e più aspra. Con me, bambino, che guardo incantato ed emozionato".
Interno con scala
Uno spazio domestico, ridotto ai minimi termini, rivela i principi fondanti che guidano Francesco Librizzi nel suo lavoro.
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- Stefano Mirti
- 30 maggio 2012
- Milano
È una tradizione progettuale antica, senza tempo. In effetti, il nostro è un progettista 'tradizionale'. Non perché ami le forme della tradizione, comunque. È tradizionale perché le cose importanti che sa—i principi progettuali ed esistenziali fondanti—li ha imparati da bambino (con suo padre e suo zio). Senza dimenticarsi della mamma, altro personaggio straordinario. Un mix speciale che, trapiantato in un mondo altro, gli consente una serie di trucchi e giochi di prestigio che possono permettersi in pochi. Guardate queste immagini e pensate allo zio Achille che molava per la centomillesima volta il filo di quel coltello su cui lavorava per mesi con passione infinita. Questa è la chiave che ci consente, forse, di capire. Lavorare di cortocircuito. O mettere a confronto questo interno milanese con i lavori di Franco Albini degli anni Trenta e Quaranta: la Stanza per un uomo (1936), la Stanza di soggiorno in una villa (1940), l'allestimento della Mostra di Scipione a Brera (1941), o ancora la Pellicceria Zanini (1945). Intenti a guardare, Francesco s'interrompe. Deve dirmi una cosa importante: "Ma tu lo sapevi che Mies è nato nello stesso periodo e anno della Coca-Cola?" Dalla grande tradizione italiana, in un nanosecondo, siamo planati sui video di YouTube. Da un lato, il suo essere cintura nera di Rhino e AutoCad; dall'altro, ci sono i racconti del lavoro in officina con il carpentiere. Consapevoli che c'è sempre un sottilissimo confine tra realtà e messa in scena. E che, in quel confine, risiede la qualità del progetto.
Francesco mi racconta delle giornate passate con i fabbri a ridurre le sezioni dei montanti per arrivare al risultato che vedete qui. Mi stupisco, faccio una faccia incredula. Ride: "Aspetta. Io volevo dire che a me piacerebbe moltissimo passare ore con il carpentiere. E anche ci provo. Dopo dieci minuti, mi arrendo e me ne vado lasciandolo al suo mondo così bello, ma anche (per me) impossibile. Vorrei stare con lui per sempre. Poi, però, mi viene voglia di giocare con l'iPad". Questo mi è sempre piaciuto del suo modo di lavorare. Il "realismo magico" di Albini scivola sullo sfondo, spodestato da una curiosissima "impazienza pop" perfettamente sintonizzata sul terzo millennio. Chiudiamo spiegando che cosa è l'iperstasia'. È un neologismo coniato da Librizzi medesimo. Indica una condizione dell'essere fisico: trovarsi sopra, appena oltre. Un'ibridazione tra 'ipostasi' (figura retorica che indica la personificazione di un concetto astratto) e 'isostasia', ovvero quel fenomeno gravitazionale per cui una massa rocciosa galleggia sul mantello sottostante, in un equilibrio continuamente mutevole. Quello che noi vediamo in queste pagine è dunque l'equilibrio continuamente mutevole di una massa fisica. Quello che non vediamo, ma che è al cuore del suo sistema progettuale, è il mantello sottostante: un mantello che ha un suo equilibrio (conscio e inconscio) ancora più mutevole. Curiosissimi di vedere la prossima puntata.
Oscillando tra la tradizione del disegno d'interni e le seduzioni digitali del contemporaneo, l'architetto ribadisce che il progetto, in primo luogo, è una questione di attitudini.
Architetto: Francesco Librizzi Studio
Gruppo di progetto: Francesco Librizzi con Matilde Cassani
Collaboratori: Carolina Martinelli
Strutture: Federico Santarosa
Struttura di metallo: Mario F23