Lei ha condiviso con sua madre vent'anni di lavoro. Avrete parlato molto anche dei suoi progetti e dell'esperienza condivisa con i grandi architetti del Novecento.
PP: Quando lavoravamo insieme non parlavamo della vita privata o del passato ma sempre dei progetti nei quali era impegnata in quel momento e che la ossessionavano, perché Charlotte era sempre all'opera per perfezionare il proprio lavoro. Eravamo sempre impegnate nel presente più che nel passato. Persino in vacanza era quasi sempre concentrata sul presente e sul futuro.
È quindi per onorare l'atteggiamento di Charlotte verso il futuro che avete tutelato legalmente la paternità del suo progetto in una battaglia lunga che è appena arrivata alla fine?
JB: Ci sono stati problemi sulla paternità di un mobile che era stato prodotto per quindici anni dalla Galérie Steph Simon, dal 1956 al 1970. Quello che è interessante notare è che il famoso Steph Simon, che ha editato tutte le librerie di Charlotte, era anche l'editore di Jean Prouvé. Loro due erano in qualche modo le figure tutelari di questa famosa galleria parigina che ha giocato un ruolo molto importante nella storia del design, perché è stata la prima galleria a editare i primi mobili moderni dell'anteguerra di Prouvé e Perriand. Jean Prouvé quando era vivo non ha mai contestato la paternità di quel mobile di Perriand.
PP: Bisogna anche ricordare che Prouvé non ha mai avocato a sé la patenità di questi mobili, lui e mia madre sono sempre stati in ottimi rapporti.
JB: Dopo la morte di Prouvé, attorno agli anni 1985-86, dei giovani 'trovarobe', chiamiamoli così, hanno trovato dei mobili che non erano più stati utilizzati da 40 anni dagli studenti nella Cité Universitaire. Erano in cattivo stato ma li hanno trovati interessanti, anche se non sapevano assolutamente di cosa si trattasse. Dopo alcune ricerche hanno scoperto che erano mobili fabbricati dagli Atelier Jean Prouvé, li hanno presi proponendo al direttore di allora di dare in cambio mobili nuovi, li hanno usati per delle mostre e li hanno anche venduti dicendo che si trattava di mobili di Charlotte Perriand e Ateliers Jean Prouvé. Man mano che passava il tempo si sono resi conto che i mobili di Jean Prouvé valevano circa il 20% più di quelli di Charlotte (era il 1990). Questi giovani mercanti hanno avuto la tentazione di levare la parola Atelier dal credito e lasciare i nomi dei due designer. In effetti, gli Ateliers Jean Prouvé erano la fabbrica che aveva prodotto i primi mobili di Charlotte, Una fabbrica così grande e impegnativa da gestire che Prouvé strise un accordo di collaborazione con Charlotte: oltre a poter produrre là i suoi mobili, nel 1952, aveva il compito di migliorare l'estetica di quelli di Prouvé e di far fabbricare nuovi mobili negli Atelier, oltre che dirigere tutta la creazione del dipartimento mobili.
Tornando al 1990, questi giovani cominciarono a vendere quei mobili a Parigi, a New York e poi ovunque dicendo che erano paternità di Charlotte e Prouvé. Gli storici, che spesso non sono molto seri, hanno ripreso quella dicitura senza far controlli. Charlotte ha subito cominciato a protestare: erano mobili che erano stati editati per 15 anni con il suo nome! Ha cominciato a scrivere ai commercianti ma, a cinquant'anni dalla creazione di questi mobili e a 15 dalla morte di Prouvé, c'erano in circolazione molti libri che avevano riportato questa falsa informazione, libri che sono stati portati come la prova in tribunale dai commercianti per sostenere la loro tesi. I mercanti sono diventati sempre più ricchi e hanno prestato e regalato alcuni di quei mobili ai musei… tutti gli scritti e gli atti di proprietà di quei mobili indicavano entrambi gli architetti come autori. A quel punto era tardi, o comunque troppo scomodo, dire di essersi sbagliati. Quella verità avrebbe comportato anche un problema economico.
JB: La famiglia Prouvé era stata convinta, sicuramente in buona fede, dai commercianti e da tutto il mondo che si trattava di mobili anche di Prouvé, e ha avallato questa versione. A quel punto ci siamo decisi ad andare in giudizio, e abbiamo vinto in primo e il secondo grado. dato che il terzo grado è per i vizi di procedura non credo che si andrà in cassazione. Come prove avevano solo articoli recenti e cataloghi.. ma non documenti, mentre noi avevamo una documentazione certificata molto ricca. I disegni riportano gli Atelier come produttori e rimandano ai disegni di Charlotte.
PP: Charlotte era una persona straordinaria che non ha mai voluto derubare nessuno e che non si meritava quel trattamento. Per questo mi batterò fino alla fine per difendere il suo lavoro. La giustizia non ha fatto che confermare il diritto che lei aveva da cinquant'anni.
PP: Charlotte ha speso tutta la sua vita per fare riconoscere il proprio diritto di autore.
JB: Penso che la tendenza a negare o usurpare la paternità di un'opera sia drammatica per tutti, anche per chi non la rispetta. Inoltre è risaputo che la maggior parte dei copiatori di mobili italiani sono sostenuti dalla mafia, perché difenderli? Non rispettano i diritti degli autori e copiare indiscriminatamente toglie anche indirettamente spazio ad altri autori.
PP: La stessa Charlotte attaccava i copiatori e diceva loro di investire piuttosto nella creatività dei giovani. Quando lei aveva creato i suoi primi pezzi con Le Corbusier e Jeanneret era povera di mezzi: era stata la nonna di Pernette aa finanziare la fabbricazione dei prototipi. I giovani che lavoravano all'atelier non erano pagati: per vivere lavoravano prima o dopo il lavoro da Le Corbusier. E non dimentichiamo che quei mobili non hanno avuto successo negli anni Trenta e Quaranta: la famosa chaise longue era stata editata in 60-70 esemplari.
Il denaro avuto per le riedizioni di Cassina ha permesso a Charlotte di vivere e di scrivere libri, fare mostre e tenere viva la memoria del suo lavoro, di custodire gli archivi. Cassina lavora molto con le Fondazioni, fa un lavoro straordinario per difendere l'opera degli autori, che è anche una difesa della qualità.
JB: Credo che a volte gli utenti non si rendano conto di quello che c'è dietro alla creazione di qualsiasi oggetto. I produttori investono molto per creare mobili, centinaia di ore di lavoro su un prototipo, con pezzi che si buttano e si comincia tutto di nuovo. Una volta che un mobile viene messo a punto è facile copiarlo, ma le migliaia di ore del lavoro sull'originale rimangono a carico del produttore originario.
PP: Comprende 35 modelli: le Bahuts (credenze), le Rangements (autoportanti), le Bibliothèques épis, le Bibliothèques murales (a muro), le Bibliothèques asymétriques. Nella famiglia c'è una distinzione tra due modelli: uno in cui i giunti in metallo sono sulla stessa linea e l'altra i cui sono sfalzati.
JB: Si tratta di una famiglia molto grande dove ci sono molte cugini e cugine che possono anche vestirsi di diversi colori, in una combinazione stabilita da Charlotte, che aveva sempre un'idea combinatoria in mente. In archivio abbiamo una lettera in cui le scelte cromatiche dei mobili funzionano con i suoi vestiti, aveva programmato tutto. Con cinque elementi lei otteneva 25 mise differenti.
PP: Aveva un'idea di armonia e di regolamentazione. Il suo atteggiamento concettuale era straordinario, a partire dagli stessi elementi arriva a risultati diversi. L'ampiezza e la dimensione degli scaffali della libreria sono tutti diversi in base a quale tipo di libro ci si poteva mettere: grandi liberi di collezioni, piccoli libri tascabili, dossier. Tutto ha un senso, nulla è gratuito. Esiste anche una versione radio della libreria Nuage, con altoparlanti incorporati, che risale al 1956. Era una vera apripista.