Icona sì, ma di cosa? L’opera più emblematica della produzione di Giuseppe Terragni, che oggi ci è naturale associare ad alcune delle massime espressioni del razionalismo italiano e del moderno internazionale, è anche quella che ha attraversato il più lungo e complesso periodo di metamorfosi per quanto riguarda l'accoglienza critica delle sue forme del suo significato.
Terragni e la Casa del fascio di Como: una metamorfosi su Domus
Osteggiata dallo stesso regime che la commissionava, prima criticata, poi dimenticata e infine riscoperta: dall’archivio di Domus, la storia della metamorfosi critica di un’icona dell’architettura moderna
Giuseppe Terragni, arredi in un interno della Casa del fascio di Como, 1936. In Domus 135, marzo 1939
Giuseppe Terragni, Casa del fascio di Como, 1936. In Domus 192, dicembre 1944
Giuseppe Terragni, schizzi per la Casa del fascio di Como. In Domus 237, giugno 1949
Giuseppe Terragni, Casa del fascio (ora Casa del Popolo) di Como. In Domus 237, giugno 1949
Domus 237, giugno 1949
da Domus 467, ottobre 1968
Dan Graham, Half Square/Half Crazy, installazione-padiglione sulla piazza del Popolo di Como, 2004. In Domus 873, settembre 2004
Dan Graham, Half Square/Half Crazy, installazione-padiglione sulla piazza del Popolo di Como, 2004. In Domus 873, settembre 2004
Dan Graham, Half Square/Half Crazy, installazione-padiglione sulla piazza del Popolo di Como, 2004. In Domus 873, settembre 2004
Dan Graham, Half Square/Half Crazy, installazione-padiglione sulla piazza del Popolo di Como, 2004. In Domus 873, settembre 2004
La Casa del fascio di Giuseppe Terragni nella rilettura fotografica di Paolo Rosselli, Como, 2004. Courtesy Comitato GT04. In Domus 867, febbraio 2004
La Casa del fascio di Giuseppe Terragni nella rilettura fotografica di Paolo Rosselli, Como, 2004. Courtesy Comitato GT04. In Domus 867, febbraio 2004
La Casa del fascio di Giuseppe Terragni nella rilettura fotografica di Paolo Rosselli, Como, 2004. Courtesy Comitato GT04. In Domus 867, febbraio 2004
La Casa del fascio di Giuseppe Terragni nella rilettura fotografica di Paolo Rosselli, Como, 2004. Courtesy Comitato GT04. In Domus 867, febbraio 2004
La Casa del fascio di Giuseppe Terragni nella rilettura fotografica di Paolo Rosselli, Como, 2004. Courtesy Comitato GT04. In Domus 867, febbraio 2004
La Casa del fascio di Giuseppe Terragni nella rilettura fotografica di Paolo Rosselli, Como, 2004. Courtesy Comitato GT04. In Domus 867, febbraio 2004
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- Giovanni Comoglio
- 02 aprile 2022
Terragni progetta la Casa del fascio di Como nel 1932, per il 1936 è completata. Sono gli anni in cui gli iniziali entusiasmi italiani per una modernità di respiro internazionale espressi da MIAR e gruppo 7, e dagli architetti dello studio BBPR, sono apertamente osteggiati dal regime. Citato dall’architetto Mario Labò in un elogio postumo, lo storico e critico Raffaello Giolli aveva detto: “Quello Stato cui gli architetti avevano fatto credito, di cui si erano fatti servi, dopo qualche oblazione mostrava bene il suo carattere, scegliendo i Piacentini al posto dei Terragni” (Omaggio a Giolli, Domus 217, gennaio 1947)
Il progetto della Casa del Fascio è in realtà pubblicato per la prima volta non su Domus, ma su un altro periodico all’epoca parte dello stesso gruppo editoriale, la Casabella di Giuseppe Pagano. Su Domus compare come già assimilata, come parte di un “tutto” moderno e presente: la prima volta quasi di sfuggita, citata per gli arredi in tubolare metallico (Domus 135, marzo 1939), un’altra nella lunga rassegna-saggio che si mette Alla ricerca di un’architettura vivente (Domus 192, dicembre 1944), usando come base testi di Albert Frey e Max Bill, e come mezzo di esplorazione le grafiche allora curate da Bruno Munari: esempio di “funzionalità (per) masse luci e ombre”, la Casa del Fascio, “appagando il nostro senso di bellezza” rappresenta come “...gli architetti moderni traggono i vantaggi provenienti dal progresso della tecnica costruttiva, ma tengono presenti i principi che rendono Piacevole il giuoco delle forme”.
Finiscono poi la guerra e il ventennio fascista e l’edificio di Terragni entra nel profondo di quella nigredo dalla quale uscirà con una nuova importanza per il dibattito architettonico contemporaneo. Terragni non viene dimenticato dal suo mondo, viene anzi “evocato” nel 1949 sulle pagine di Domus: vengono pubblicati schizzi inediti di quella che ora è chiamata Casa del Popolo, che “non dobbiamo continuare” dice l’architetto Carlo Bassi “a considerare come un episodio senza riferimenti, ma un avvenimento determinato e determinante, prodotto di una storia e a sua volta generatore di storia. (...) Quello che si vorrebbe soprattutto dalla critica intorno a questo architetto è la ricerca e la scoperta nelle sue opere di quei termini che caratterizzano il suo significato europeo, di quei termini che ci diano la possibilità di un rapporto con l’opera dei maggiori architetti contemporanei: è questo l’esame che sollecitiamo, perché è tempo che sia fatto”. (Evocazione di Terragni, Domus 237, giugno 1949)
Gli anni successivi sono in realtà più turbolenti, l’edificio rischia di andare all’asta nel 1956, e solo l’intervento di un gruppo guidato da Bruno Zevi riesce a scongiurare l’evenienza. Nel corso degli anni ‘60 sono tante e diverse le posizioni su Domus riguardo all’edificio, e passano per le colonne colorite di Agnoldomenico Pica (Ricorre il ventesimo anniversario della scomparsa di Terragni, Domus 404, luglio 1963; Terragni, Domus 467, ottobre 1968): razionalismo di Terragni come rifiuto del futurismo, complesse riletture della sua posizione più italiana o più internazionale, se non direttamente ipotesi di plagio del costruttivismo russo.
Alla fine del decennio compare una nuova interpretazione, che cambia le carte in tavola: è l’analisi di Peter Eisenman, un’analisi linguistica e compositiva, che “..rompendo il legame tra etica, politica e linguaggio, scardina il principale canone di legittimazione del cosiddetto “movimento moderno” (Tra Terragni ed Eisenman, Domus 86, marzo 2004). Rivoluzionando gli studi su Terragni attraverso i saggi che compaiono su Casabella, Perspecta e Oppositions, Eisenman arriva ad una pubblicazione unitaria solo nel 2004 –, Giuseppe Terragni Transformations Decompositions Critiques, recensito appunto su Domus nel mese di marzo – anno che è poi quello della consacrazione definitiva di Terragni nel suo centenario di nascita e di Casa del Fascio come sua opera iconica.
Si costituisce così un comitato nazionale per le celebrazioni (GT04). La Casa del Fascio diventa fulcro di eventi. Soprattutto, è oggetto di nuove riletture che si inseriscono nel tracciato di interpretazione aperta da Eisenman. “Lessi su Artforum un articolo scritto da Peter Eisenman su Terragni e decisi di venire a Como per visitarla. A quei tempi quasi nessuno sapeva chi fosse Terragni” dichiara a Domus Dan Graham nel 2004, sottolineando l’affinità tra la sua arte e gli elementi circolari dell’edificio. “Il mio lavoro degli ultimi dieci anni è tutto incentrato sulle curve, quindi volevo realizzarne alcune anche in una situazione fondamentalmente dominata dalle linee rette come questa. Ogni curva è un giro a 360° del corpo, e, una volta estesa, arriva fino al cielo, quindi queste curve si rapportano in parte a Como e in parte alla Casa del Fascio”. Ed è questa la sostanza della sua installazione/padiglione Half Square/Half Crazy, che per mesi fronteggia l’edificio sulla piazza (Graham c/o Terragni, Domus 873, settembre 2004)
La rilettura fotografica di Paolo Rosselli che compare su Domus 867 nel 2004, poi, riassume la metamorfosi di Como, espressa anche nelle parole di Steven Holl che accompagnano le immagini: “Questo edificio radicale metteva il proprio significato politico davanti a tutto. Ma oggi, 68 anni dopo, la distanza temporale permette alle sue rilevanti qualità spaziali di emergere in un silenzio tragico e senza parole (...) Se l’architettura invece sopravvive alle tragedie politiche e al trascorrere delle mode architettoniche, le sue dimensioni nascoste si rafforzano e possono venire riscoperte, come si riscoprono ‘nuove’ sensazioni suscitate da una vecchia poesia”.
Una indagine di dettagli e un gioco progettuale, dice Holl, dove rientrano anche quegli arredi che aprivano la nostra rassegna: “Come una promessa che traspare attraverso una superficie molto sottile, la passione di Terragni per il dettaglio rivela il suo entusiasmo per il gioco. (....) Sedere sulla sedia a sbalzo nera dai tubolari cromati disegnata per l’edificio percepire il traballare discordante dei piani orizzontali e verticali significa sperimentare la risata soffocata della gioia di inventare di Terragni.”
“La distanza temporale”, sintetizza l’architetto americano, “ha la capacità di cancellare il premere degli eventi, di farci cogliere questioni che erano perdute nel tempo. In questo silenzio, l’intensità e la concentrazione dell’architettura assoluta emergono con grande forza.”