Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 674, luglio-agosto 1986
A colloquio con Sapper
Un’intervista di Marco Romanelli, da Domus 674, in cui questo designer indubbiamente “italiano”, partendo dal PC Convertible IBM, testimonia la possibilità del design come professione personalmente amata, ma anche correttamente svolta all’interno delle strutture industriali e delle leggi di mercato.
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- 05 gennaio 2016
- Milano
Marco Romanelli: Consulente per l’IBM a partire dal 1980, oggi, finalmente, con questa macchina, il suo lavoro prende corpo. Come si configura esattamente la sua attività in IBM? Quale è la storia progettuale di questo oggetto?
Richard Sapper: È una storia tutta da raccontare. Cominciamo dal predecessore diretto, cioè l’ormai famosissimo personal lBM. Esso era nato in Florida in gran segreto, in grande fretta. Per quanto concerne il disegno industriale, si operò per assemblaggio di elementi già esistenti: il monitor era prodotto da molti anni; la tastiera standard IBM trovava sì la sua prima applicazione, ma era prevista per tutti i prodotti successivi; la stampante era addirittura di disegno giapponese. Pertanto l’unico componente progettato in modo autonomo fu la cassa. Una tale situazione potrebbe indubbiamente apparire incomprensibile se non illustrassi la “cornice” della storia: l’organizzazione IBM relativamente allo sviluppo dei prodotti. La IBM è suddivisa in decine di divisioni, ognuna “una grande impresa per se stessa”, con compiti diversi, a volte in concorrenza tra loro e che comunque possiedono grande autonomia dalla direzione centrale. Di conseguenza nel campo della progettazione dei prodotti praticamenle l’unico organismo della corporation che opera su base unificata, è il “Corporate Design Program”, di cui io sono consulente esterno per il disegno dei prodotti. La mia attività può essere divisa in due settori: a, una consulenza generale volta alla definizione di una politica di progetto che sia adottabile dai 15 centri di design IBM, in cui si muove una sessantina di designers e alla critica eguida personale dell'attività di questi; b, un’attività progettuale di cui questo computer è il primo frutto. Lo sviluppo di un nuovo prodotto IBM è, infatti, sempre perseguito per più anni. Ogni qualvolta una singola divisione decide di sviluppare un progetto si nomina un “Program Manager”, che avrà la lotale responsabilità del progetto stesso e opera con il suo team come una piccola impresa indipendente. Sta forse in questa “organizzazione” uno dei segreti del successo IBM.
Esiste poi una sezione detta “Ricerca Tecnologica Avanzata” che formula normalmente proposte per nuovi prodotti. Qualora questi siano accettati dalla direzione generale vengono affidati a un Program Manager. Il progetto in esame è nato proprio presso un gruppo di ricerca avanzata, a Boca Ratom in Florida. Sono stato immediatamente coinvolto nell’ipotesi di progetto: valutare se fosse possibile realizzare un personal computer portatile che utilizzasse esclusivamente tecnologie innovative. Ai vertici IBM sebbene si credesse nella macchina si temeva che essa fosse prematura. Fu allora deciso che fosse lo stesso gruppo propositore a portare avanti il programma. Soltanto nove mesi più tardi, quando ormai il progetto era molto più definito, avvenne il passaggio a un normale development program, questa volta nel Texas. Fu, lo confesso, un momento traumatico e in un primo istante pensai che il progetto sarebbe fallito. Successe invece l’imprevedibile: a quel primo gruppo assolutamente eccezionale di ingegneri ne subentrò un secondo altrettanto formidabile, con cui ho concluso il progetto nell’aprile ’86. Per un totale di quasi 4 anni di lavoro a partire dal settembre ’82 con il passaggio tra Florida e Texas nel gennaio 1984. Fu in Florida che nacque l’idea dell'“alligatore”. Non avevo dubbi; la macchina “doveva” ricordare un alligatore: ogni volta che arrivavo in Florida i colleghi cercavano di spaventarmi con coccodrilli giocattolo di gomma, di lamiera o di carta. Esaminiamo ora in dettaglio questo prodotto cui abbiamo dato un nome. L’idea guida consisteva nel creare un oggetto semplicissimo quando non in funzione, ma capace di presentare al fruitore, al momenlo dell’uso, una forma complessa. Iniziamo l’indagine dallo schermo; esso, infilato a baionetta, può essere sostituito con uno schermo a tubo catodico, fornito come optional e soprattutto consente di seguire il velocissimo sviluppo tecnologico in questo campo, senza incidere sulla macchina nel suo complesso. Lo schermo è reclinabile a piacere: ogni utente potrà definire la posizione più adatta. La tastiera, comparendo all’atto dell’apertura, assume l’inclinazione ottimale per il lavoro e la maniglia per il trasporto, se estratta in questa fase, potrà servire per appoggiare il polso durante le operazioni di battitura. Così anche i dischetti trovano alloggiamento in una posizione elevata per facilitare l’inserimento. Se scendiamo ancora di scala possiamo vedere come al di sotto del tasto azzurro relativo ai dischetti si trovi una “ringhierina” necessaria al fine di non premere inavvertitamente certi tasti. Chiusa, la macchina doveva essere assolutamente planare, semplice. Un’impressione questa a posteriori, in verità essa presentava moltissimi problemi. È stata usata infatti per tutti gli elementi chiave una tecnologia completamente nuova, mai adottata prima in IBM. L’ipotesi iniziale prevedeva un computer montato su un unico circuito stampato flessibile, compresi tastiera e schermo, che seguiva i movimenti della cassa durante l’apertura e la chiusura. La macchina realizzata non segue però integralmente tale ipotesi. Esiste sempre un unico circuito, ma spezzato in più segmenti rigidi uniti da porzioni flessibili. Inalterato rimane il principio: dal punto di vista dell’architettura elettronica della macchina, tutti i componenti sono montati su un unico circuito. C’è un ulteriore aspetto innovativo legato ai metodi di produzione: la macchina non è toccata da nessuna mano “umana”. La fabbrica è completamente automatizzata. Questo fatto è tanto più eccezionale quanto più ci si rende conto della complessità di montaggio dell’oggetto. Il team di sviluppo, a Austin nel Texas, era composto da circa 100 persone, divise in tre gruppi di dimensioni omogenee. Un terzo addetto allo studio della macchina, un terzo allo studio del software – molto più semplice da usare che non nel normale Personal Computer – e l’ultimo terzo allo studio dell’assemblaggio automatico. Questo gruppo lavorò così brillantemente che furono necessarie pochissime modifiche al progetto della macchina per adattarla ai robots a controllo ottico, appositamente realizzati.
M.R. L’attuale versione cromatica neutra rappresenta una scelta precisa o una fase iniziale? Un coccodrillo è verde, una macchina da ufficio nera.
R.S. In effetti la macchina doveva essere nera, io ho fatto spesso oggetti neri ma sarebbe stata troppo fuori dallo standard IBM. In seconda istanza avrei voluto adottare un grigio scuro, indubbiamenle meno sporchevole. È stato infine scelto il solito grigio IBM.
M.R. ln che modo un oggetto come questo “parla” del futuro dei luoghi di lavoro? È ipolizzabile una domesticizzazione dell’ufficio o piuttosto un’accentuazione dell’immagine ipertecnologica di esso?
R.S. Innanzitutto perché ingombrare il piano di lavoro quando la stessa funzione può essere realizzata con una macchina molto più piccola? In generale credo che l’ufficio dovrebbe poter essere più simile alla casa. Ciò che manca è un discorso globale che, in tale ottica, colleghi i singoli oggetti. Questo si verifica per l’ovvia separazione in mondi distinti tra produttori di macchine e di arredi, di apparecchi di illuminazione e finiture. lo cerco di portare avanti l’ipotesi di un ufficio più umano disegnato in modo più coordinato. Mi sembra molto più importante rivolgere l’attenzione su oggetti e ambienti per il lavoro i cui fruitori in genere non hanno facoltà di scelta, piuttosto che su oggetti di uso privato, comprati da ognuno secondo le sue preferenze personali.
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