L'archivio digitale di Domus include tutti i numeri a partire dal 1928. Se sei interessato ad abbonarti clicca qui.
Pubblicato in origine su Domus 561 / agosto 1976
Primo viaggio di Agnoldomenico Pica nelle facoltà di Architettura di Roma e Firenze
"Roma, 12 febbraio 1975. Il primo
giorno di elezioni dell'Ateneo romano
si è svolto in un clima di incertezza
e di confusione determinato
anche da gravi ed ingiustificabili
disfunzioni nell'organizzazione delle
operazioni elettorali (...) A questi
disguidi burocratici si accompagna
il grave atteggiamento assunto dai
gruppi extraparlamentari astensionisti
e dal Comitato di boicottaggio".
(L'Unità, Milano, 13 febbraio
1975).
"Roma, 31 ottobre 1975. Inaudità
sopraffazione contro il prof. Fasolo
alla Facoltà di Architettura". (Il Secolo d'Italia, Roma, 31 ottobre 1975).
"Roma, 24 novembre 1975. Condannati
per lauree irregolari 11 docenti
d'architettura a Roma. Nove
mesi a ciascuno per falso ideologico.
Le prove d'esame erano state
contestate da altri due professori
d'università".
(Corriere della Sera, Milano,
25 novembre 1975). "Roma, 3 maggio 1976. Università
in crisi. Il Rettore si dimette. Il
prof. Vaccaro annuncerà oggi la
sua decisione. Documento-denuncia
dei sindacati".
(II Tempo, Roma, 3 maggio 1976).
Ho riferito alcune disarticolate notizie,
trascritte dalla stampa quotidiana,
che si potrebbero assimilare
alle spie di vetro risultate infrante
nelle murature di un edificio in condizioni
staticamente precarie.
L'edificio è, se non la più illustre,
certo la più massiccia Università
italiana: centomila iscritti nel corrente
anno accademico, un esercito,
presentemente senza generale, per
la massima parte non-operante e,
nella sua esigua porzione operativa,
ostacolato da 'inghippi' di varia
e variopinta natura.
È vero che i fasti della contestazione
studentesca, a ormai otto anni
di distanza, sono alquanto scoloriti
e che gli episodi di intolleranza
e di soperchieria, un tempo
quotidiani, si son fatti più rari.
Tuttavia, poiché una 'dinamica progressiva' deve pur alimentarsi, i
danni cui provvedeva, un po' empiricamente,
la contestazione studentesca,
ora sono scientificamente
procurati e burocraticamente gestiti
dal Ministero con le sue esitazioni,
i suoi rinvii, le sue incomprensioni,
la sua incompetenza, le sue mezze
riforme, a cominciare da quella della
Scuola media unica e finire (per
ora) con lo spalancamento delle
porte universitarie pressocché a
chiunque ne faccia richiesta, in attesa
che, con una decisione veramente
'storica', si decreti il conferimento
della laurea, automaticamente
abbinato con l'iscrizione nell'anagrafe,
a ogni nuovo nato.
Viaggio nelle facoltà di architettura
Un'indagine sull'istruzione svolta da Agnoldomenico Pica negli anni '70, ci presenta lo stato di disordine e rivolta delle facoltà di architettura di Roma e Firenze, che al tempo dovevano gestire rispettivamente 17.000 e 8.876 iscritti.
View Article details
- Agnoldomenico Pica
- 15 dicembre 2012
Ho frequentato per alcuni giorni, quasi in veste di stagionato fuori corso, la Facoltà romana: impressionanti il disordine delle sue sedi, avviate a una sorta di pre-fatiscenza, e il sudiciume delle medesime, che, il 12 marzo - e non per la prima volta - dovettero essere temporaneamente chiuse 'per motivi di igiene'. Nonostante questo, la scuola mi è parsa, di massima, tutt'altro che inefficiente, sennonché qualche perplessità mi è poi venuta dal velato scetticismo del preside, Guglielmo De Angelis d'Ossat, illustre studioso di lunga, e forse troppo accomodante, esperienza.
La sede centrale, nell'edificio costruito
oltre una quarantina d'anni
or sono da Enrico Del Debbio in
fregio a via Gramsci, è in condizioni
di pressocché totale abbandono.
Salvo la biblioteca, allestita di recente,
e l'appartato, e disertato, laboratorio prove-materiali diretto dal
Cestelli Guidi, tutto il resto, anche
per il burrascoso e incessante affollamento,
richiama la pittoresca
immagine di un brulicante e alquanto
sordido suk microasiatico.
Perfino la veduta, incantevole, di
Valle Giulia, che si coglie, anzi si
coglierebbe, dalla finestra panoramica
del vestibolo al primo piano,
è oggi cancellata dalla compatta
sporcizia della vetrata.
In condizioni non più brillanti le
altre due sedi, recentemente acquisite
per assorbire alla meglio i marosi
montanti della popolazione studentesca:
in piazza Borghese n. 9
nell'edificio già della Facoltà di Economia
e Commercio e nella palazzina
Liberty di via Cassia n. 32 dove
siè allogato l'Istituto di Urbanistica.
Il programma è dichiarato, per l'anno
1975-76, nell'opuscolo dedicato
all'Ordine degli studi.
Le materie, articolate in cinque
'campi di studio' (1. Storico-critico
- 2. Matematico - 3. Tecnico 4.
Progettistico o compositivo - 5.
Urbanistico), coprono l'intero arco
dei temi architettonici.
Può sorprendere che siano considerate
'opzionali' materie come Geometria
descrittiva e Fisica per il 2°
campo, Fisica tecnica e impianti e
Topografia per il 3°, Disegno e rilievo
per il 4°, Materie giuridiche
peril 5°, tutte materie essenziali
per l'esercizio dell'architettura, e
dunque non accantonabili nel limbo
del facoltativo.
Il programma è soltanto uno schema
necesesario ma insufficiente e
scarsamente significante di per sé,
uno schema che può indifferentemente
tradursi in gabbia inerte o in
sollecitante motore a seconda dei
docenti chiamati a svolgerlo.
Nel caso di Roma, a questo riguardo,
non sembrerebbe lecita alcuna
riserva dacché il corpo accademico,
quanto a numero è perfino pletorico,
quanto a prestigio annovera
taluni dei più propagandati architetti
italiani.
Eppure nemmeno questa garanzia
sembra sufficiente a dissipare i
dubbi.
Talune proposte di rispettabilissimi
docenti mi lasciano più che perplesso,
allibito.
Che il Sacripanti abbia pensato,
qualche anno fa, di sollecitare la
fantasia degli allievi con esperienze
psichedeliche ha il sapore di un
progressismo più snobistico che coraggioso.
Ma nemmeno più utile sembra il
tentativo di Ciro Cicconcelli rivolto
alla progettazione utopistica assunta
come mezzo per la 'liberazione
dai tabù del super-io' ...
Molte le cause del dissesto, ma tre, ritengo, fondamentali: il prevalere di una talquale astrattezza nell'insegnamento, la politicizzazione monocorde, il numero
Di notevole interesse, e ora di largo consumo, la proposta di Bruno Zevi circa l'esame dei progetti di laurea operato mediante una sorta di griglia costituita dalle 'Sette invarianti della architettura moderna'. Sennonché una griglia di questo genere, utile per la verifica del già fatto - storia della architettura moderna - non si vede come mai possa applicarsi a quanto è in via di farsi senza il rischio di ricadere in una sorta di accademismo deteriore in cui le sette invarianti abbiano surrogato i cinque ordini. Più importante sarebbe, se possibile fosse, stabilire le pochissime invarianti dell'architettura, dell'architettura senza aggettivi, lasciando anche la libertà di negarle dopo averle capite. Nonostante il profluviante cianciare che in questi anni si è fatto circa una scuola la cui libertà dovrebbe essere garantita dal non-nozionismo, Quaroni mi confida che imposta il suo insegnamento secondo una linea rigorosamente nozionistica, indirizzata alle conoscenze elementari, poiché è la sola capace di attrezzare intellettualmente l'allievo e di metterlo in grado di operare, poi, le sue libere scelte. Gli indirizzi ideali, stilistici, se si voglia anche sociali e politici, debbono essere indicati, non imposti; le nozioni, invece, debbono essere impartite: quest'ultimo, in fine, è il solo compito della scuola. Si è accennato a ombre, penombre e luci della Facoltà, l'aura che ne risulta, per ora, non sembra delle più felici. Molte le cause del dissesto, ma tre, ritengo, fondamentali: il prevalere di una talquale astrattezza nell'insegnamento, la politicizzazione monocorde, il numero
Astrattezza dell'insegnamento
Il declassamento, o l'assenza, dell'insegnamento
tecnico e della sperimentazione
diretta, considerati di
un ambito inferiore e dunque non
degno di eccessive attenzioni, lascia
spazio a una sorta di vaga e
disancorata astrattezza, incline a
forma di farneticante utopia.
Nonostante la proclamata modernità,
nonostante il positivismo e il
pragmatismo che, in buona parte,
ispirano gli attuali indirizzi didattici,
la Facoltà è congegnata in modo
che il neolaureato quando ne esce
ha, magari, sentito parlare molto di
sociologia o di psicologia delle masse,
forse sa tutto circa la storia
delle dottrine politiche, ma non ha
mai visto un cantiere, non sospetta
nemmeno che cosa possa essere un
capitolato d'appalto, non conosce
nulla dei labirintici meccanismi legislativi.
La Politicizzazione
Tutto quanto è tolto, oltre che al
resto, a insegnamenti essenziali come
quelli cui si alludeva dianzi, è
dato alle quindici, e più, materie
'opzionali' che l'allievo può scegliere,
fra le quali gli vengono consigliate:
Matematiche per le scienze
sociali, Economia politica, Psicologia
sociale, Politica economica e finanziaria,
Storia delle dottrine politiche,
Sociologia.
Rimane solo da meravigliarsi che
non si consiglino anche corsi di
Teologia o della Tecnica del colpo
di stato. Il tutto sarebbe soltanto
faceto se non rivelasse il proposito
di politicizzare la scuola, come di
fatto è avvenuto, cioè di tradurla in
istituto confessionale. È evidente
che il futuro architetto può, anzi
deve, scegliersi una collocazione
politica, ma lo ha da fare come libero
cittadino, non già in quanto
architetto.
Il numero
IL numero, e cioè la causa non maggiore come incidenza spirituale o
e culturale, ma certo maggiore come potere dirompente.
La Facoltà di Roma, nell'attuale
anno accademico, annovera 17.000 iscritti, i quali, ove si rendessero
tutti presenti, dovrebbero accamparsi nei prati di Valle Giulia dando vita a un'originale scuola di architettura en-plein-air di impressionistico
sapore.
In effetti non più di 3.000 frequentano,
ma tutti, ove lo desiderino, otterranno
la laurea nel giro di cinque / sette
anni, dopo di che, ove non
restino, come disgraziatamente è
probabile, disoccupati, avranno davanti
aperte le molte strade di cui,
con ammirevole fiducia, mi parla
Bruno Zevi, molte strade delle quali
la meno transitabile sarà quella della
architettura.
L'esito di quella dissennata invenzione
che è stata la 'Università
aperta' risulta, né avrebbe potuto
essere altrimenti, squisitamente antisociale;
questa Facoltà in particolare
siè ridotta - incolpevolmente
- a fabbrica di disoccupati,
spostati, frustrati.
La pressione del numero si rivela
deleteria anche nei riguardi didattici.
Le porte dell'Ateneo, ormai indiscriminatamente
spalancate, hanno consentito
l'intasamento della Facoltà
da parte di giovani impreparati e
spesso inadatti a seguire i corsi di
studio. Michele Valori, parlandomi
del suo Istituto di Urbanistica, deplora
il basso livello culturale dei
discenti (che si riflette, e più si
rifletterà domani, in quello dei docenti)
e il loro numero esorbitante.
Ho sentito parlare, con manifesta
invidia, della Scuola di Architettura
di Stoccolma, dove in ogni aula sono
ammessi soltanto 35 allievi in
posti fissi: un paradiso in confronto
a noi, e tuttavia quei 35 allievi a
me sembrano già troppi.
A ruota, dopo Roma, per numero di allievi si classifica Firenze con la bella cifra di 8,876 iscritti per l'anno in corso, di cui 1.519 stranieri provenienti, in prevalenza, da Israele e dal Vicino Oriente. Di tutti questi, quelli che frequentano, dice il preside Silvestro Bardazzi, non superano il 25 % del totale. Né, d'altra parte le strutture attuali, come spazio e attrezzature, sarebbero in grado di ospitare, al completo, la folla degli iscritti. Non sarebbero in grado, nonostante l'ampiezza e il prestigio delle tre sedi in attività: il secentesco Palazzo S. Clemente edificato da Gherardo Silvani in via Micheli, che ospita, con altri servizi, la Presidenza, la Biblioteca e, nella palazzina annessa, l'Istituto di restauro; l'edificio dell'Accademia di Belle Arti, già Ospedale di S. Matteo in via Ricasoli 66; e, in fine, l'ex Convento di S. M. degli Angeli presso l'Arcispedale di S. M. Nuova, ove, fra l'altro, è allogato il Laboratorio ufficiale Prove Materiali, che, dal '61, funziona in collegamento con il Laboratorio sperimentale del Ministero dei LL.PP. Il programma di studio è ripartito in 4 sezioni: I. Storia dell'architettura (Eugenio Battisti, Franco Borsi, Marcello Fagiolo Dell'Arco, Giovanni Klaus König, Gianfranco Spagnesi) e restauro dei monumenti (Marco Dezzi Bardeschi, Piero Sanpaolesi); II. Urbanistica (Bardazzi, Detti, Leonardo Ricci); III. Composizione, che, per uno strano pudore, qui si chiama invece Ricerca architettonica (Domenico Cardini, Italo Gamberini, Leonardo Savioli, Luigi Vagnetti); IV. Materie tecniche, e cioè Scienza delle costruzioni (Salvatore Di Pasquale), Analisi matematica, Fisica tecnica e impianti e, infine, Tecnologia affidato a Pierluigi Spadolini.
Segue, forse pletorico, l'elenco delle materie facoltative fra le quali, ad esempio, non risulta Meccanica razionale, compaiono invece Geometria descrittiva, Disegno e rilievo, che non avrebbero a essere opzionali, ma qui lo sono e, inoltre, da quanto mi risulta, affatto disertate. Nei riguardi di Composizione ho raccolto qualche lamento, ma se una 'tradizione moderna', che risaie ad Adalberto Libera e oggi è garantita, con altri, da Gamberini, riesce ad arginare, come sembra, i rigurgiti dei vari revival che altrove irrompono, è già un risultato. Allo stato le situazioni più efficienti si riscontrano a Scienza delle Costruzioni e Storia. A quest'ultimo proposito mi è accaduto di seguire un seminario sull'Architettura dell'Ottocento italiano, nel quale Borsi ha proposto un'originale angolazione per lo studio di quell'archeologia industriale, che già si coltiva in Belgio e in Inghilterra. Non lasciamoci distrarre da questi particolari. Interessante è il fatto che il suddetto seminario (presenti, secondo i giorni, dai 10 ai 30, 40 allievi) si tenesse non già in Facoltà, ma presso il Gabinetto Vieusseux in Palazzo Strozzi, perché ivi, mi si è detto, ci si trova in luogo 'condecente' e si è almeno sicuri di non essere disturbati. In realtà le sedi, sia pure illustri, di cui dianzi, con i muri piacevolmente istoriati da fumettoni politici e gli ambienti alquanto sozzi sono certo adatte a tumultuanti assemblee o a fragorosi comizi piuttosto che a seminari o al lavoro su quel tavolo da disegno che, oggi, in Facoltà è diventato una specie di oggetto misterioso.