Dopo la città dei quindici minuti, a conquistare l’onore delle cronache parigine è quella dei cinque. A differenza della prima, teorizzata da Carlos Moreno ed entusiasticamente presa a modello dalla giunta di Anne Hidalgo, la città dei 5 minuti non fa riferimento ad una rete di infrastrutture e servizi a portata di quartiere, ma ad un paradigma di prossimità su cui improntare le proprie relazioni sociali.
Come ha raccontato recentemente il New York Times, a sostenere la necessità di trasformare i quartieri in villaggi di volti familiari alla portata di pochi passi è un gruppo informale di residenti battezzatosi La République des Hyper Voisins – la Repubblica degli Iper-Vicini. Nata nel 2017 dall’idea del giornalista Patrick Bernard e attiva nel 14esimo arrondissement, l’associazione organizza monumentali cene di quartiere – la Table d’Aude, tavolata di oltre 200 metri a cui partecipano più di 1000 vicini – insieme a aperitivi e brunch, atelier per bambini, gite, raccolta dei rifiuti organici e gruppi di aiuto, alcuni dei quali gestiti attraverso decine di canali WhatsApp tematici. Opportunità di ingegneria sociale, come le definisce Bernard, per spezzare l’anonimato e rilanciare non solo i vincoli di comunità, ma anche la creazione di servizi sostenibili elaborati a partire dalle necessità avanzate e discusse dallo stesso vicinato.
L’esperienza, per ora circoscritta, non ha la forza per cambiare il volto e la percezione di una città notoriamente votata alla distanza formale e ad un certo snobismo. Tuttavia, può servire da modello: indicando che, in una capitale che ha sempre fatto dell’intervento urbanistico dirigista e verticale il proprio barometro, la ritrovata forza dei rapporti sociali può costituire uno strumento di resilienza per attenuare le molteplici tensioni abitative, indirizzare la progettazione co-partecipata e contrastare, forse, l’emorragia di residenti – più di 10.000 – che ogni anno lasciano Parigi.
Immagine di apertura: Parigi, foto Alexander Kagan su unsplash