Sono già alcuni anni che ingegneri e architetti indagano le nuove potenzialità della stampa 3D in ambito edilizio. Le potenzialità di questa tecnologia spaziano dalla velocità di costruzione all’economicità del cantiere. Recentemente, però i ricercatori dell’Università della Virginia stanno spingendo ulteriormente il limite del dispositivo, inventando un metodo di stampa 3D con terreno impregnato di semi, che potrebbe essere utilizzato per creare pareti e tetti ricchi di vita vegetale.
I prototipi costruiti dai ricercatori inizialmente si presentavano come normali strutture in terra cruda. Ma grazie ai semi posti al suo interno nel corso di pochi giorni germogliano e si ricoprono di verde. Secondo l’Università, elementi edilizi come pareti e tetti verdi potrebbero essere costruiti con questo metodo, apportando benefici come l’isolamento naturale, la prevenzione delle inondazioni e spazi verdi per le persone, gli impollinatori e altri animali.
Inoltre con questo metodo si potrebbe ridurre la necessità di materiali da costruzione ad alta intensità di emissioni, sostituendoli con un’alternativa circolare che potrebbe essere riutilizzata più volte. Gli edifici realizzati hanno il potenziale, inoltre, per essere carbon neutral o addirittura carbon negative, in quanto il loro rivestimento vegetale sottrarrebbe anidride carbonica all’atmosfera.
Inizialmente, i ricercatori dell’UVA hanno utilizzato il loro metodo per creare una serie di piccole strutture autoportanti simili ad alveari, con l’obiettivo poi di creare strutture sufficientemente solide da stare in piedi da sole, fornendo al contempo umidità e sostanze nutritive sufficienti a sostenere la germinazione dei semi e la crescita delle piantine. I ricercatori hanno iniziato a stampare oggetti più grandi, come muretti di circa un metro di altezza. In seguito, cercheranno di montare il sistema di stampa 3D su un robot mobile che potrebbe consentire la produzione di strutture più alte e complesse con più lati.
Immagine di apertura: University of Virgina, 3D prints. Foto Ehsan Baharlou