Il nuovo millennio è stato il momento storico in cui il cinema si è chiesto se la serialità televisiva fosse in grado di soddisfare il suo pubblico con maggiore precisione ed efficacia. Nel 2022 sarà invece ancora più pressante un’altra domanda: la televisione ha sostituito il cinema?
Le serie tv e i film più attesi del 2022
Nell’elenco degli imperdibili di quest’anno, da The Sandman e Il Signore degli Anelli ai nuovi film di Fincher, Guadagnino e Paul Thomas Anderson, un aspetto traspare chiarissimo: lo scontro in corso tra la fruizione a casa e quella nelle sale cinematografiche.
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- Gabriele Niola
- 12 gennaio 2022
Oppure, detto in un’altra maniera, cosa può fare il cinema per ribadire il proprio statuto e non essere schiacciato da ciò che si può vedere in tv (inclusi grandi film di grandi autori)?
La risposta in un certo senso sta nelle 10 serie e nei 10 film più attesi, o almeno da cui è legittimo aspettarsi molto. Perché i più visti in realtà saranno The Batman o Black Adam, film ad altissimo tasso di biglietti staccati ma (probabilmente) a bassissimo tasso di novità e possibilità di cambiare l’industria o anche solo i propri spettatori. Le 10 serie e i 10 film più attesi del 2022 che vi proponiamo sono quelli che alimenteranno lo scontro ideologico, formale e intellettuale tra l’audiovisivo per la sala e quello per le case.
Immagine in apertura: Licorice Pizza, Paul Thomas Anderson, 2022
È tratta dall’omonima serie di fumetti di Neil Gaiman e, cosa più importante, è sceneggiata dallo stesso Gaiman. The Sandman è stata una pietra miliare nello sviluppo di quello che le serie regolari a fumetti possono raccontare, gli abissi a cui possono attingere e le vette che tramite essi possono raggiungere. È stata una maniera di introdurre qualcosa di molto elevato in una forma di produzione molto industriale. Ora la serie farà parte del mondo delle serie tratte da fumetti di supereroi ma essendo curata da Gaiman (che quando ha scritto film ha dimostrato la medesima capacità di evocare e strutturare storie a diversi livelli di profondità) è lecito attendersi abbia molto da dire.
Negli anni ‘90 Mike Myers è piombato nel cinema prima con Fusi di testa poi con Austin Powers, portando una comicità demenziale ad un livello eccezionale di ritmo, inventiva e capacità di trovare trucchi di messa in scena nuovi per lavorare sull’umorismo più intelligente, quello che sovverte ogni situazione, ribalta aspettative e racconta un mondo in cui ogni normalità è distrutta dalla forza dell’idiozia. Negli anni 2000 ha più volte perso la propria strada e dal 2008 non interpreta più un film, al massimo fa lavoro di doppiaggio. La serie con cui torna sullo schermo sarà perfettamente in linea con la contemporaneità, è la storia di un giornalista che indaga su una società segreta che influenza i destini del mondo, solo che lo fa in maniera positiva e non per i propri interessi come le teorie complottiste più diffuse credono.
Negli ultimi due decenni chi voleva incontrare un pubblico girando film originali senza per forza dover dirigere film di supereroi, remake, sequel o blockbuster scriteriati, si è rivolto all’horror. Il cinema di paura è sembrata una risacca in cui chi aveva idee, qualsiasi idea, e la capacità di creare qualcosa di accattivante, poteva incassare. E così alcune delle menti migliori del cinema e della serialità hanno cercato di sfondare lì. L’ha fatto Mike Flanagan la cui serie Hill House è stata una capolavoro di montaggi, storie umane e incroci. Nel 2022 tornerà e lo farà di nuovo con una storia di racconti incrociati, ambientata in un ospizio i cui ospiti fanno un patto, quello di tornare dopo la morte.
Per raccontare problemi, idiosincrasie, fallimenti e insicurezze di Tim Burton dopo che è diventato Tim Burton, dopo cioè il grande successo degli anni ‘90, non basterebbe un libro. Sono decenni che insegue progetti che gli somigliano invece di trasformare in qualcosa che gli somigli materiale più interessante. Nondimeno rimane uno dei registi del nostro tempo con la visione più chiara e che vada (ancora una volta) molto vicino al proprio stereotipo girando una serie su Mercoledì della famiglia Addams, inevitabilmente incuriosisce. Quello degli adolescenti problematici, diversi e mostruosi in un mondo che chiede pulizia, ordine e conformismo, è il suo campo da gioco e pochi possono dirsi abili come lui a raccontare quelle sensazioni.
Sì chiamerà così la serie antologica patrocinata da Guillermo Del Toro. Un progetto d’altri tempi fatto di puntate separate e non legate tra loro se non dall’avere a che fare con storie particolari, paradossali che mescolano generi diversi, ognuna diretta e scritta dai nomi giovani più interessanti del genere che Guillermo Del Toro ha radunato sotto la sua grande ombra. Ci sono tra gli altri Ana Lily Amirpour, Jennifer Kent (Babadook), Catherine Hardwick (Twilight), Panos Cosmatos (Mandy) e Vincenzo Natali (Cube).
È il progetto più imponente dell’anno, costato cifre che mai erano state spese per una serie televisiva e ambientato, come è facile capire, nel mondo di J. R. R. Tolkien. Non racconterà però la nota storia di Frodo e dell’anello ma sarà ambientata migliaia di anni prima, nella seconda era della Terra di mezzo. Quello che si sa per il momento è che i personaggi coinvolti saranno sia noti che nuovi e che metterà in scena l’inizio del ritorno del male nella Terra di mezzo.
Il videogame da cui prende le mosse la serie è stato un caso di scuola importantissimo degli anni ‘10, uno degli argomenti più forti per affermare che i videogiochi possono sviluppare potenzialità narrative non diverse dai film e che possono farlo a modo loro, facendosi forza dei meccanismi che gli sono propri. Che ne arrivi una riduzione seriale fa pensare, soprattutto sarà interessante capire se tutto quello che aveva colpito del videogioco e che aveva reso unico il suo modo di narrare sarà riproposto o no.
Quando ci stancheremo della maniera in cui la Disney sfrutta senza pietà le proprietà intellettuali legate a Guerre stellari? Ad un certo punto accadrà, ma non è ancora arrivato. The Mandalorian ha serrato le fila e mostrato che è ancora possibile esplorare, inventare, creare e appassionare con quel mondo e quello spirito. La serie dedicata a Obi Wan Kenobi dovrà fare ancora di più, dovrà dimostrare che si può lavorare sui personaggi più iconici senza sentirsi vittime del fandom ma di nuovo tornando a guidare invece che inseguire.
Per orfani di Il Trono di Spade ci sarà la storia dei Targaryen, la famiglia le cui gesta passate più vengono evocate durante i racconti di George Martin, quella della Khaleesi e dei draghi. Se una speranza c’è ancora di vedere sullo schermo quella scrittura eccezionale che aveva animato le prime quattro stagioni di Il Trono di Spade è tutta qua.
È la serie italiana più promettente del 2022, che incrocia una delle tendenze più forti della serialità italiana (il racconto del crimine) con una delle più forti della serialità generalista (il racconto delle radici cattoliche della nostra società, dei santi e dei preti). Christian è un pesce piccolo del crimine che fa il lavoro sporco per i boss e a cui un giorno compaiono le stigmate. Il contrasto tra l’illusione, l’apparenza o forse la promessa di santità e un mondo molto tribale, violento e popolano come quello del crimine è una grande idea e nel ruolo protagonista c’è Edoardo Pesce (Dogman).
Paul Thomas Anderson che torna al luogo e alle storie che lo hanno reso Paul Thomas Anderson, la San Fernando Valley della California. Licorice Pizza è il piccolo oggetto pop culturale del 2022, film di budget modesto ma altissime aspettative dal talento più amato tra quelli di nicchia statunitensi emersi negli ultimi 20 anni. A suo modo è una maniera per un autore di fare quello che fanno i grandi remake o sequel dei blockbuster, cioè tornare a qualcosa che il pubblico conosce e riconosce per attirarlo a sé e magari (invece) raccontargli qualcosa di nuovo.
C’è poco da fare gli schizzinosi, ogni nuovo grande film di James Cameron ridefinisce quello che pensiamo possa fare il cinema. Sono 12 anni che manca dalle sale e adesso torna con un sequel del film che ha spostato un passo più in avanti la rappresentazione del falso sullo schermo. Non è chiaro cosa sarà questo sequel e non è chiaro che visione del cinema esprimerà. Di sicuro è una cosa per la quale vale la pena pagare un biglietto e capire cosa Cameron abbia covato per 12 anni.
Continua la peregrinazione di Martin Scorsese sulle piattaforme. Dopo The Irishman su Netflix ora un western per Apple TV+. Come al solito sarà prevista un’ampia finestra sala ma di fatto, di nuovo, Scorsese dirige un grande film ambizioso con grandissimi attori (Leonardo DiCaprio e Robert De Niro) solo grazie ai soldi di una piattaforma. E stavolta sarà in un genere nel quale non sì è mai misurato, uno che poi non è che vada benissimo in sala di questi anni. Un progetto impossibile che diventa possibile solo perché esiste Apple Tv+.
Paolo Virzì riunisce il team con il quale ha scritto La pazza gioia per tentare qualcosa di diverso. Lui è uno dei più grandi esponenti contemporanei del cinema tradizionale italiano e Siccità invece va da tutt’altra parte. È la fantastoria di cosa accade a Roma dopo tre anni di totale siccità. Un postapocalittico praticamente, realizzato con la testa del miglior cinema italiano e, c’è da scommetterlo, con gli obiettivi del miglior cinema italiano.
C’è stato da poco quello di Matteo Garrone e ci sarà quello nuovo (si fa per dire) di Disney, tuttavia questo di Guillermo Del Toro è il più accattivante. Perché in pieno stile Del Toro riracconta la storia di Pinocchio con l’obiettivo di mescolare il falso e il vero. L’idea di questo film di animazione in stop motion è infatti di ambientarlo durante l’Italia fascista. La stessa che c’è dietro a La spina del diavolo e Il labirinto del fauno, ambientati durante la guerra civile spagnola. Mescolare grandi storie e scenari fantastici per creare un senso nuovo e diverso.
Ha senso attendere un biopic di Elvis solo se a farlo è Baz Luhrmann. Talento visivo incredibile che si è perso negli ultimi anni, Luhrmann cerca di tornare alla legittimazione che aveva avuto con Moulin Rouge e il suo Romeo + Giulietta. Il mondo eccessivo di colori, luci, neon e fama che aveva coinvolto Elvis nell’ultima parte della sua carriera sembra esso stesso uscito dall’immaginario del regista, sembra cioè aderire al suo stile visivo. Fatto per essere diretto da lui.
Robert Eggers è un altro cineasta che è emerso grazie all’horror (The Witch) perché era quello il genere in cui ci si poteva far notare. Dopodichè ha girato un film psicologico come The Lighthouse e adesso di nuovo un film di genere sporco e cattivo con Ana Taylor Joy, storia di vichinghi e vendetta. Nessuno tra le nuovissime leve riesce a trasformare materia bassa in materia alta con la sua apparente facilità.
Ancora horror e ancora un autore acutissimo, Jordan Peele, che con Get Out e Noi ha messo in scena quella che senza dubbio è la pagina di riflessione sul razzismo nell’America di oggi più interessante e sfaccettata. Peele è stato il primo a raccontare i mutamenti della percezione del corpo nero e il primo a mettere quell’idea (che i neri siano desiderabili oggi e che questa sia un’altra pratica di dominio) sul piatto per tutti. Nope è il suo nuovo film ed è una visione obbligatoria.
Mentre il mondo rimpiange i bei tempi delle uscite tradizionali in sala, si batte per la sopravvivenza dei cinema e cerca come può di lavorare per vedere i propri film sul grande schermo, a David Fincher tutto questo non interessa proprio. Ha abbandonato prima di tutti il grande schermo e ha lavorato a serie e film per piattaforme. E così intende continuare a fare anche per The Killer, il suo nuovo film, su un killer che comincia a sviluppare una coscienza e quindi ad avere forti problemi di tenuta psicologica.
Luca Guadagnino con produzione italiana racconta ancora l’America dopo la serie We Are Who We Are. In Bones And All poi torna a collaborare con Timothée Chalamet in una storia di nomadismo e grandi spazi. Sembra che tutto quello che costituisce un film di Luca Guadagnino non ci sia, sembra che abbia rinunciato alla forza dei suoi ambienti e delle sue trame. Sembra.