Quest’anno, tra la fine dell’estate e metà autunno, il brand cinese di elettronica di consumo Xiaomi ha coinvolto un drappello di sette studenti di Arti Visive della Naba in un ciclo di lezioni con alcuni nomi stellari dell’industria creativa italiana, un percorso che si è snodato attraverso il Festival del Cinema di Venezia e le settimane dedicate a moda e design a Milano. Xiaomi HyperCharge RestArt – un nome scelto per segnare un parallelo tra la ricarica di mente e spirito delle masterclass organizzate, e la funzione di ricarica veloce del nuovo smartphone flagship Xiaomi, l’11T Pro – ha avuto come tappa conclusiva Artissima, la fiera d’arte contemporanea più conosciuta d’Italia.
Xiaomi, brand protagonista assoluto dell’oggi, punto apicale del design d’uso quotidiano a prezzo accessibile – dalle friggitrici ad aria agli smartphone ai monopattini alle valige –, nonché più grande piattaforma IoT del mondo con circa 375 milioni di dispositivi connessi, atterra così nel mondo dorato delle gallerie d’arte e dei collezionisti. Lo ha fatto con la mostra “Sensi digitali”, che è anche la conclusione dell’esperienza di “ricarica” dei sette artisti next-generation che si sono formati in Naba. Hanno usato il flagship dell’azienda per realizzare le loro opere, in cui – vuoi per il tema, vuoi per il mezzo, vuoi per l’età – l’esperienza del digitale diventa un elemento imprescindibile. E non esente da un pensiero critico forse che non avresti dato per scontato, sotto il vessillo di un gigante tecnologico.
L'incontro tra arte e brand
“I brand investono sempre di più nell’arte contemporanea”, spiega Ilaria Bonacossa, direttrice di Artissima, docente di Arts Market in Naba e mentore d’eccezione del progetto HyperCharge RestArt. “E il lavoro degli artisti”, prosegue, “sarà sempre più legato ai brand”. Questa affermazione si basa sull’evidente fatto che le aziende, soprattutto le grandi multinazionali come Xiaomi, hanno un potere d’investimento incomparabile rispetto alla committenza privata. Del resto, è quasi un ritorno al passato. “Dobbiamo un po’ dimenticarci il modello di artista star che è nato con Andy Warhol e ricominciare a pensare a Raffaello”, sintetizza lei.
Questo avvicinamento nasce dal fatto che i brand sono in evoluzione. Ma anche l’arte sta cambiando. Basta vedere gli avventori di Artissima: non solo addetti ai lavori, ma tantissimi appassionati. E un esercito di ragazze e ragazzi. “Per anni c’è stata una volontà da parte dell’arte di non farsi capire”, mi dice. Ora non è più così e l’arte contemporanea attraversa un momento di grande attualità. Bonacossa lo vede sulle sue figlie, mi spiega. “I social hanno creato una notevole disintermediazione e i teenager si ritrovano nei linguaggi dell’arte, che parlano attraverso foto e video”. Ovvero, quelli dei social e della messaggistica istantanea.
Per fare lavorare bene arte e brand insieme, continua Bonacossa, bisogna indirizzare nel modo migliore le aziende che nell’arte contemporanea vogliono investire. “Se non entri dalla porta giusta, poi finisci nella galleria di Portofino”, sorride lei. E con tutto il rispetto per le gallerie di Portofino, non è sicuramente quello il punto di contatto con il pubblico che una azienda come Xiaomi desidera.
Dall’altro lato, poi, non tutti gli artisti possono lavorare con tutti i brand. “Bisogna combinare il matrimonio”, spiega Bonacossa, e soprattutto lasciare margine di libertà all’artista, una forma di rispetto reciproco che alle volte i brand devono imparare. “Un artista ha bisogno di fidarsi della controparte”.
Infine, non è detto che questo tipo di collaborazione faccia per tutti. La direttrice di Artissima ricorda il caso del video artista Arthur Jafa, che qualche anno fa, a un punto altissimo della sua carriera, era stato chiamato a fare un progetto da Nike. “Ne avevamo parlato proprio qui ad Artissima, era molto indeciso”. Da un lato la possibilità di aprire la sua arte a un bacino così vasto lo attraeva, dall’altra non sapeva se accettando sarebbe rimasto sé stesso. “Alla fine mi sa che ha detto di no”.
La prima volta di Xiaomi
“Questa presenza ad Artissima chiude il cerchio”, racconta Davide Lunardelli, Head of Marketing di Xiaomi Italia, dopo la cerimonia di premiazione dell’HyperCharge Award, che è stato assegnato a Gillian Brett, artista francese nata nel 1990 e rappresentata dalla galleria Canepieri. Il sole è oramai tramontato fuori dalle grandi finestre dell’Oval e il sabato di Artissima si avvia alla sua conclusione tra brindisi e commiati.
Riavvolgendo il nastro, Lunardelli torna a Venezia, dove questo percorso è iniziato con il Festival e una masterclass di Muccino. “Una cosa di altissimo livello”. Da lì è partito il ciclo “di ricarica” con cui Xiaomi ha voluto mettere le arti – il cinema, la moda, il design, e le arti visuali – al centro del palcoscenico.
“Il senso ultimo, per noi, è quello di alzare il tiro della nostra comunicazione”, mi spiega in maniera molto diretta. Con un prodotto che oramai è conosciuto, e di fascia sempre più alta, si può lavorare sul valore aggiunto, sulla cultura.
In molti dei lavori dei sette studenti Naba si percepisca un atteggiamento critico nei confronti della tecnologia e dei social media. È una generazione che usa lo smartphone come un amplificatore, al tempo stesso ha imparato a difendersi dalle notifiche, dall’esposizione eccessiva su Instagram o Tiktok. Dal diventare dipendenti da una app e perderci la giornata. Insomma, in questi ragazzi c’è più coscienza del mezzo smartphone di quello che trovi in tanti adulti. Chiedo se per il brand non sia un problema.
Lunardelli ribatte che questo approccio è solo positivo. “La questione etica è un tema che non si può dimenticare”, dice lui, sottolineando come anzi siano proprio gli smartphone a integrare soluzioni tecniche per mettere una diga allo straripamento del digitale nelle nostre vite. “Se gli artisti lo sottolineano è solo utile”. E dice che le opere in mostra saranno usate dal brand anche come contenuto di alcuni dispositivi Xiaomi.
L'importanza della strategia
“Tutti vogliono fare contenuto in questo momento, ma non sanno come farlo”, spiega Giovanni Audiffredi de Il Prologo, la società fondata dall’ex direttore di GQ Italia con l’esperta di comunicazione Paola Manfredi, che ha fatto da “facilitatore” nel progetto HyperCharge, creando un ponte nella partecipazione di Xiaomi a Biennale di Venezia Cinema e Design Week con una fetta di utenza smaliziata e culturalmente attenta, che altrimenti il brand avrebbe potuto difficilmente intercettare.
Per anni, Xiaomi ha fidelizzato una community grazie ai prodotti. Questo era il momento di fare un salto di qualità. Dai centri commerciali al palcoscenico globale delle arti. Ed è stato fatto, spiega Audiffredi, con una consulenza editoriale e una mediazione culturale, oltre che mettendo in atto una serie di relazioni, per “costruire un percorso tra brand e arti visive”. Partendo dal presupposto che la cultura sia energizzante. Un concetto che è risultato vincente.
“Penso che investire nella promozione delle arti visive sia essenziale per coinvolgere i consumatori più giovani e connessi”, sottolinea Audiffredi, aggiungendo che la cosa più importante ad Artissima è stato evitare quello che chiama ironicamente “effetto Smau”. Invece il brand cinese, con il suo stand, si è presentato come una galleria tra le gallerie. Collezionisti, curatori, galleristi e artisti hanno apprezzato nel lungo weekend dell’arte torinese le opere dei sette giovani artisti coinvolti.
“Questo è successo perché non abbiamo fatto i furbi”, commenta Audiffredi, ponendo una linea di separazione netta tra le operazioni di marketing, che costruiscono bellissime scatole vuote, e questo caso. “Abbiamo fatto quello che gli editori fanno, usando i codici comportamentali delle arti visive”. Partendo da un grande investimento sui ragazzi coinvolti, i quali hanno avuto la possibilità di esporre in un luogo cult e interagire con gli stakeholder dell’arte. “Che non è la stessa cosa di ingaggiare tre cantanti e pagarli per avere le loro canzoni sullo smartphone”, chiosa Audiffredi, aggiungendo che è stato un elemento cruciale non trattare i sette ragazzi alla stregua di “sherpa che portano in giro un cellulare”.
Perché c’è un pubblico che guarda al valore culturale, aggiunge, e che fiuta la marchetta anche a distanza. E scappa via. Xiaomi ha scelto un approccio al tempo stesso più sofisticato e più sincero, e alla fine i risultati l'hanno premiato.
Hanno partecipato alla mostra “Sensi digitali” Wei Luo, anche nel ruolo di curatrice, Emanuele Cantò, Gaia de Megni Barbieri, Alex Parrotto, Federico Pellacani, Chiara Smedile e Marika Vitran.