Approdo prediletto per i progetti più complessi come per quelli più estemporanei, biglietto da visita di lusso o perfetto scrigno temporale, vademecum per i tempi che corrono o sguardo a volo d’uccello su un’intera epoca, ritratto di una generazione o istantanea con proprietà psicoterapeutiche, affresco geo–politico o ricerca antropologica: che sia, come accade sempre più spesso, il primo passo di un percorso autoriale o, come tradizione vorrebbe, il punto di arrivo di un discorso più lungo, il libro rappresenta senza dubbio un momento di svolta per ogni fotografo. Nella gallery che trovate all'apertura di questo articolo proviamo a raccontarvi in poche parole le pubblicazioni, appena uscite, di cinque autori italiani alle prese con la loro opera prima, ma anche la più recente tra quelle di un veterano dei libri fotografici.
Cinque libri di fotografi italiani emergenti (più uno)
Spaziando tra autori giovani e nomi già affermati, e passando anche da un collettivo, abbiamo selezionato cinque opere prime (più un gradito ritorno) tra le più interessanti in circolazione.
Sclavanie, Davide Degano, Penisola Edizioni in collaborazione con Urbanautica, 2021
Jahlak, Ilaria Magliocchetti Lombi, RVM HUB, 2021
The Flood, Francesco Merlini, VOID, 2021
A Folktale from Vietnam. Speeding Motorcycles and Roasted Lemongrass, Gianpaolo Arena, The Velvet Cell, 2021
Covisioni, Collectivo Covisioni, SelfSelf, 2021
Glitter Blues, Lorenzo Castore, Blow Up Press, 2021
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- Raffaele Vertaldi
- 09 novembre 2021
Cosa vuol dire esattamente “local” al di là di trend, mode, fraintendimenti e strumentalizzazioni? Dopo aver vissuto e studiato molti anni all’estero, Davide Degano torna nella terra delle sue origini—la Sclavanie del titolo, ovvero la Slavia Friulana al confine tra Italia e Slovenia—per indagare con approccio etnografico concetti mediaticamente molto abusati come territorio, radici, comunità, minoranza, etnia, paese, borgo, memoria, emigrazione, spopolamento, resilienza, rigenerazione, economia, opportunità. E lo fa da un lato dando voce e volto (ma anche nome e cognome) ai protagonisti della sua stessa storia, e dall’altro coinvolgendo esperti di antropologia e urbanistica in un racconto multidisciplinare di rara compostezza editoriale: a una coinvolgente sezione d’archivio segue la visione rigorosa ma affettuosa di Degano, che passa dal generale al particolare lasciando spazio prima a citazioni (in tre lingue) e poi a testi e grafiche di matrice più tecnica. Un libro che piacerà non solo alla gente di fotografia.
Molti conosceranno Ilaria Magliocchetti Lombi per i suoi ritratti legati al mondo della musica (indipendente e non, italiana e non), il cui impatto iconografico è come una signature che le ha permesso di imporsi nel mondo della fotografia professionale. Mettendo da parte una certa ritrosia autoriale, la fotografa romana dà ora alle stampe Jahlak, sorta di personalissimo diario indiano. Un rapporto così intenso, quello con l’India, da permetterle il lusso di bypassare i luoghi comuni e di restituirci un luogo intimo, immediato, immanente, lontano da voli pindarici o tentazioni spirituali. Se una spiritualità c’è, è tutta interiore (e, in questo senso, inedita), tanto che si ha più l’impressione di essere di fronte a una confessione che all’ennesima constatazione. La curatissima e sofisticatissima veste editoriale, poi, impreziosisce l’emergere di questi aspetti nascosti con un gioco d’impaginazione che disorienta e diverte, proprio come ogni vero viaggio dovrebbe fare.
Con Francesco Merlini voliamo invece a Tblisi, in Georgia, che il 13 giugno del 2015 fu colpita da piogge così violente da contare il giorno dopo ben 19 morti. L’evento su cui però si concentrarono i media fu la distruzione dello zoo cittadino e la conseguente fuga e dispersione di numerosi animali, tra cui diverse specie pericolose. Un’attenzione di taglio pop e sensazionalistico che fu anche molto criticata, ma su cui Merlini torna provocatoriamente a distanza di tempo con una riflessione, a metà tra documentazione e fiction, che valica i confini della notizia e s’interroga da un lato sulla validità probatoria della fotografia e dall’altro sulle politiche architettoniche e urbanistiche di una nazione che, come tante altre (ex repubbliche sovietiche ma non solo), attraverso abusivismo e cementificazione indiscriminati seppellisce sotto cumuli di terra impermeabilizzata le più scottanti questioni ecologiche, ipotecandone l’eventuale soluzione alle generazioni future.
Gianpaolo Arena, che dal 2010 cura il magazine Landscape Stories, ci porta invece in Vietnam, dove è tornato a più riprese tra il 2013 e il 2018 per portare avanti la sua ricerca sui cambiamenti culturali, sociali e urbani che negli ultimi vent’anni hanno profondamente cambiato il paese. L’insolito formato di A Folktale from Vietnam corre qualche rischio ma ingabbia a perfezione le foto quadrate che si soffermano su aspetti, momenti e dettagli che sembrano voler rifuggire l’idea di esotico che il Vietman, anche grazie proprio ai resoconti che ne hanno fatto i viaggiatori, ha da sempre proiettato, quantomeno sull’Occidente. Se cioè la globalizzazione ha depauperato il concetto di altrove, la narrazione di qualcosa che in definitiva non ci appartiene e pertiene comunque mai totalmente deve necessariamente passare attraverso altri tipi di seduzione, magari una ricerca formale che sia al contempo elegante e non consolatoria. Ad aiutarci nella decifrazione di un luogo così sfuggente, testi che approfondiscono non solo il lato fotografico ma anche quello dell’architettura e del paesaggio sonoro, per un risultato a suo modo multidimensionale.
Nato dalla volontà di Cecilia Guerra Brugnoli, Francesca De Dominicis, Jana Liskova, Francesco Rucci, Anita Scianò ed Erika Volpe, il collettivo Covisioni è uno dei tanti progetti figli del lockdown che si sono proposti di raccontare la pandemia da Covid–19. Quaranta fotografe e fotografi, che sarebbe troppo lungo elencare qui ma che rappresentano un campione di quel che la nuova fotografia italiana può esprimere, hanno scelto di muoversi su quel percorso accidentato che sta tra l’essere osservatori e protagonisti della storia, tra una narrazione corale e un punto di vista privato, tra una documentazione neutrale e un’interpretazione personale di vicende così note da risultare inconoscibili. Quella di Covisioni è una visione intima di come l’arrivo del virus abbia cambiato tutto, dalle relazioni interpersonali e le reazioni psicologiche fino al rapporto con le istituzioni e la storia collettiva, passando per la crisi economica e la violenza di genere. Su tutto, è il tentativo di guardare a questo complesso frangente come il passato in divenire.
E vede finalmente la luce anche Glitter Blues di Lorenzo Castore, non certo un’opera prima, ma la conferma—se ce ne fosse bisogno—del talento di un autore che ha sempre scelto il libro come forma ideale per raccontare e in qualche modo raccontarsi. Questo ennesimo progetto a lungo termine (ma per fotografi come Castore non è forse il loro rapporto col mondo attraverso la fotografia un unico e continuo progetto?) nasce nel 2004 tra le stradine di San Berillo, il quartiere di Catania dove vivono e lavorano le ragazze protagoniste di Glitter Blues: travestiti come Franchina, Cioccolatina, Lulù, Brigida o Monica la vichinga con cui Castore intesse un’amicizia semplice e disinteressata che diventa nel tempo un rapporto più solido e speciale, come tutti quelli che muovono i lavori del fotografo fiorentino. La sovrapposizione tra identità (e libertà) negata dai travestiti e i soprusi e le menomazioni subite da Sant’Agata, patrona di Catania, è il click decisivo, ma a entrare in gioco come sempre è soprattutto quel “trasparente senso di identità” che permette al fotografo di essere prima di tutto un essere umano che cerca e dona onestà e si riconosce nelle ossessioni, e a volte nelle battaglie, degli altri.