Fotografare l’architettura come un’artista: Luisa Lambri al PAC di Milano

Dalla Casa del Fascio al Barcelona Pavilion fino ai tagli di Fontana: l’artista comasca li osserva e ce li restituisce nella sua prima grande personale in Italia, osservando la condizione umana nel suo rapporto con lo spazio. 

Entrando al PAC non si viene colti da stupore, non ci sono opere spettacolari ad attendere i visitatori della prima ampia personale di Luisa Lambri in Italia, curata da Diego Sileo e Douglas Fogle. Quello che si incontra alle pareti dello spazio disegnato da Ignazio Gardella è al contrario un’eleganza discreta. Le fotografie, per la maggior parte in bianco e nero, che l’artista scatta vivendo gli spazi architettonici in modo del tutto personale, sono ipnotiche e il rimando costante tra le opere e lo spazio in cui sono esposte è un’esperienza che appaga occhi e intelletto. Lo spazio è il soggetto protagonista della mostra, uno spazio soggettivo vissuto dall’artista che non a caso sceglie di aprire l’esposizione con le fotografie dei tagli di Fontana (riferite all’Ambiente spaziale per Documenta 4 di Kassel del 1968), che fin dall’inizio ci indicano la via della fuoriuscita dalla loro bidimensionalità.

Sebbene scattate in alcune delle architetture più interessanti e più note del modernismo (come il Barcelona Pavilion di Mies van der Rhoe, la Casa del Fascio di Giuseppe Terragni e così via), le fotografie di Luisa Lambri non hanno l’intenzione di essere immagini documentarie degli edifici che ritraggono: l’artista ama focalizzarsi su dettagli marginali d’interni vuoti che definiremmo insignificanti se non fossero catturati dal suo sguardo poetico. C’è una sorta di ossessione positiva in questo modo di osservare che si sofferma sugli angoli, sulle finestre socchiuse in attesa che la luce ne modifichi progressivamente l’aspetto, creando sequenze dalle lievi e impercettibili differenze dettate dallo scorrere del tempo. È uno spazio non solo architettonico quello che l’artista ci mostra, ma soprattutto uno spazio dell’intimità e di un sentire che diventa universale: a chi non è capitato di osservare un raggio di luce che si riflette sul soffitto? 

Luisa Lambri, Autoritratto. Installation view della mostra, PAC 2021. Foto Lorenzo Palmier

Il titolo della mostra, “Autoritratto”, si ispira al celebre libro di Carla Lonzi del 1969, riaffermando l’attenzione che la Lambri mostra nei confronti delle donne nel campo della creatività e, forse, in un rimando a quella valorizzazione dei momenti “improduttivi” di cui parlava il manifesto di Rivolta Femminile del 1970 (scritto da Lonzi, Accardi e Banotti). È come se l’obiettivo fotografico della Lambri avesse girovagato senza l’ansia della produttività riuscendo così a individuare dei passaggi magnetici, soffermandosi solo là dove qualcosa lo ha davvero catturato.

È uno spazio non solo architettonico quello che l’artista ci mostra, ma soprattutto uno spazio dell’intimità e di un sentire che diventa universale...

“Autoritratto” è una mostra da guardare lentamente, solo così ci è concesso di godere della bellezza di questo sguardo e dell’intelligenza con cui, nell’allestimento, l’artista è stata capace di mettere sotto ai nostri occhi, pur senza fotografarli, i dettagli stessi dell’architettura che ospita la mostra. Non sarà difficile, per esempio trovandosi al primo piano davanti alle foto della Farnsworth House di Mies van der Rohe ripensare alle vetrate del PAC a piano terra, che danno sui giardini di Villa Reale. 

Così come osservando le immagini delle finestre degli Strathmore Apartments di Richard Neutra, che si concentrano sul motivo delle stecche delle veneziane saremo, poi portati a notare la modularità delle linee orizzontali della controsoffittatura del PAC. Ancora, una volta nel parterre vetrato, davanti alle immagini della serie sulla Sheats-Goldstein House (allestite in modo simile a quello di Lina Bo Bardi per il Museo de Arte di San Paolo in Brasile), che rimandano e sovvertono la gerarchia tra interno ed esterno, si percepisce un accostamento formale tra le fotografie dei salici che si smaterializzano nella luce e nel pavimento marmoreo su cui poggiano. È come se, in qualche misura, attraverso le sue fotografie l’artista c’invitasse e ci educasse a fare esperienza diretta della sua modalità di vivere e di osservare gli spazi, sia attraverso le immagini fotografiche, sia grazie all’allestimento.

Mostra:
Autoritratto
Artista:
Luisa Lambri
Museo:
PAC
A cura di:
Diego Sileo e Douglas Fogle
Date di apertura:
fino al 19 settembre 2021
Indirizzo:
via Palestro 14, Milano

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