Se venite da quell’1% del nostro pubblico che può comprare la casa di Kylie Jenner a Holmby Hills, California (passata di mano l’anno scorso per 36 milioni di dollari), e state valutando di comprare lei invece della Lovell Health House di Richard Neutra che va via per poco meno di 10 milioni a Los Feliz, allora crediamo di aver sbagliato qualcosa nel portare avanti la nostra missione.
Sì, infatti, la casa del 1929 che apre il capitolo californiano di quasi tutte le storie dell'architettura contemporanea è in vendita, così come lo sono la villa di Oscar Niemeyer mimetizzata tra la vegetazione di Alto de Pinheiros in Brasile (R$13.500.000) e, novità recentissima, il canto del cigno di Neutra, La Villa Delcourt a Croix, presso Lille (€ 2.300.000).
Chiaro, il mercato quotidianamente ci inonda con cisterne di immobili di pregio, trattative riservate, maison d’architecte e altre espressioni destinate a titillare le più inconfessabili concupiscenze di status di diversi rampanti strati sociali, ogni diverso livello sensibile a una espressione per lui più azzeccata. È del tutto differente, invece, il discorso dell'abitare case d'autore, architetture che oggi etichettiamo come iconiche se non dimenticate. Si tratta di essere mossi dal desiderio di abitare un’esperienza, una narrazione immaginata e tradotta in forme e spazi dai nomi fondamentali della storia dell'architettura. Narrazione estetica, se parliamo degli spazi di Robert Mallet-Stevens nei suoi duplex parigini, persino emozionale se invece pensiamo di andare ad abitare in una maison-bulle come fece Pierre Cardin, o eminentemente ideologica, quando si tratta di scegliere una delle case di Le Corbusier nell’insediamento bordolese di Pessac (la Maison Gratte-Ciel, per la cronaca, è in vendita a € 550.000, e la Maison Zig-Zag per € 472.000).
In ogni caso, è abbastanza chiaro che non siamo dentro qualche irrealistica fairytale, sradicata dalle leggi di mercato: anzi, ci troviamo nell’esatto opposto. Il mercato immobiliare in questi casi è solo un canale in più per la valorizzazione di architetture eccellenti: quasi banalmente, ci si fonda sul valore d'uso invece che sulla cristallizzazione conservativa. Aurélien Vernant è il direttore di Architecture de Collection, agenzia francese che dal 2007 ha come core concept lo sviluppo di un progetto commerciale capace di valorizzare e comunicare il patrimonio architettonico del XX e XXI secolo; è lui a parlarci di questo mercato come una nicchia che si colloca tra mercato immobiliare e mercato dell'arte: “Quello in cui ci inseriamo è un dibattito etico, sulla preservazione delle idee che hanno portato alla concezione degli edifici che trattiamo.”
Non è difficile rendersene conto quando la loro collezione invita a diventare abitanti, per 1 milione e 250.000 euro, degli spazi scultorei (vedi brutalisti) di una villa di Claude Parent a un'ora da Parigi, manifesto di linee oblique con un salone che è pura combinazione di calcestruzzo a vista e paesaggio; o abitanti della ricerca di Joël Unal, lo scultore che concepisce e realizza le maisons-bulle in calcestruzzo armato, l'autore della inflazionatissima casa di Antti Lovag per Pierre Cardin ma anche di tante altre, specie con Claude Costy, architetta e compagna di vita e progetti di Pascal Haüsermann: una di queste va in vendita, aperta sui boschi dell’Ardèche. Dal portfolio di altre agenzie poi continuano a emergere tanti autori, se non direttamente intere stagioni della storia dell'architettura che adesso sono in vendita o affitto. In Italia, una villa di Leonardo Savioli presso Firenze (€ 1.900.000), di nuovo combinazione di moderno e paesaggio, ma anche una casa di Mario Botta a Bernareggio dalle geometrie laterizie piuttosto tiranne mitigate dalle suggestioni di una piscina interna segnata da colonne e archi ribassati; le geometrie sono anche padrone in Inghilterra nella villa disegnata nel 1936 da Raymond McGrath a St. Ann’s Hill (£5,950,000) – un esempio di country house inglese declinato in termini moderni, una rotonda bianca tutta vetrate e superfici pure aperta sulla campagna del Surrey.
Non identifichiamo però l'architettura col solo oggetto-casa o villa di proprietà. Dell'architettura si può anche voler fare una lussuosa quanto temporanea esperienza, abitanti per un giorno di una pantagruelica collezione di arte e design allestita da Alessandro Mendini, con Gaetano Pesce, Damien Hirst, Vanessa Beecroft e Alighiero Boetti: è l'esperienza degli art hotel ma nello specifico adesso si parlava del Byblos Art Hotel Villa Amistà, a Verona.
Soprattutto non va dimenticato che questa esperienza può essere un'esperienza condivisa, esperienza dei modi in cui gli architetti hanno concepito l'abitare urbano. E anche qui non manca una gran varietà di proposte, appartamenti sparsi tra diverse nazioni e continenti. Si va dall'appartamento nel palazzo in cui Alessandro Antonelli, l'autore dell’eponima Mole, risiedeva a Torino (€650.000), fino ai rari esperimenti di housing collettivo firmati RPBW a Trento, e poi giù in altri capitoli del moderno europeo: ancora una scultura razional-brutalista nelle masse cementizie di Paul Chemetov con l'Atelier de Montrouge a Ivry-sur-Seine (€ 750.000), i panorami parigini dall'interno del primo grattacielo che venne costruito in città da Edouard Albert nel 1960 (€1.050.000), tra colonne metalliche, tamponamenti vetrati e intradossi decorati, alla townhouse di cui Henri Prouvé, l’anima strettamente architettonica del fratello Jean, concepisce gli interni quasi completamente appesi, dalla scala al camino ai soffitti trasparenti (maison Brajzblat, € 625.000), all’appartamento dentro il Lakeview Estate, che il maestro del movimento moderno Berthold Lubetkin costruisce sul Victoria Park di Londra nel 1958 (£ 400.000); fino a capolavori come l’Hôtel Martel di Robert-Mallet-Stevens, che l'architetto francese realizza a Parigi, pochi metri dalla Villa La Roche di Le Corbusier, dove un appartamento-atelier inondato dalla luce di ampie finestre moderniste è pronto per essere abitato (per 1 milione e 550.000 euro) ancora nelle condizioni di spazio nate con il progetto originario.
Quindi, al fondo di questa parata di splendori, la speranza è naturalmente quella di aver indotto l’1% a desistere dall’acquisto multimilionario con cui si apriva l’articolo, ma c’è abbastanza chiaramente una speranza vera: quella sì di far sognare, ma soprattutto di mostrare che le esperienze dell’architettura non sono in alcun modo fuori mercato, che anzi creare spazi armoniosi e soluzioni audaci costa esattamente quanto appiattirsi sulla banalità, pensando di venderla più facilmente; forse, costa persino di meno. Fatela, l’architettura bella: conviene.