I fotografi l’hanno già capito da tempo, i giornali lo sanno ma fanno fatica ad ammetterlo: da molti anni l’editoria non è più il luogo in cui la fotografia può esprimersi al meglio. Che sia documentaria o artistica—ed è da parecchio che questi “generi” non sono diventati che sostantivi, i cui confini cadono di continuo nel fluido scorrere dell’espressione personale declinata al presente—non è l’editoria classica il porto da cui intraprendere nuovi viaggi o in cui cercare riparo. (E, nota bene, per “classica” si intende anche quella online, che spesso vive, reiterati se non esacerbati, gli stessi problemi che quella cartacea non è riuscita a risolvere nonostante la ricca eredità—concettuale e materiale—accumulata nella sua epoca d’oro).
È nel settore delle aziende che non si occupano di editoria—non direttamente, non eminentemente—che va trovata una nuova chiave di lettura per il lavoro dei fotografi. Il che non vuol dire necessariamente o automaticamente tentare la strada della pubblicità, della moda, degli eventi, ambiti per cui non tutti sono tagliati, ma cercare piuttosto un qualche equilibrio, che a volte può risultare addirittura perfetto, tra la propria voce e quello che le aziende hanno bisogno di dire. Insomma, che si tratti di chiara Corporate Photography o di un più sfumato Branded Content, una delle parole d’ordine per il risanamento della fotografia d’autore è “commissione privata”.
Certo, la stessa crisi economica che segue l’emergenza pandemica, e che ha aggravato la situazione dell’editoria, legittimando ancora una volta sul piano del budget una visione poco lungimirante, è responsabile anche di una contrazione degli investimenti di tutto il comparto produttivo, in Italia come all’estero; ma alcuni recenti esempi dimostrano quanto le commissioni private possano ancora essere il motore di lavori fotografici di ampio respiro, una vera boccata d’aria in un mercato a forte rischio di asfissia.
È da poco disponibile in libreria “Di roccia, fuochi e avventure sotterranee”, un corposo ed elegante cofanetto (co–editato da Quodlibet) che raccoglie i cinque lavori commissionati da Ghella a cinque tra i più interessanti autori italiani contemporanei. Anzi, cinque più uno, perché un sesto volume contiene la ricerca con cui il curatore, l’artista Alessandro Dandini de Sylva, ha scandagliato gli archivi dell’azienda stessa, la cui storia, iniziata nel 1894, è quella di “5 Generations of Tunnelers”, come recita il suo claim.
È nel settore delle aziende che non si occupano di editoria—non direttamente, non eminentemente—che va trovata una nuova chiave di lettura per il lavoro dei fotografi
Fabio Barile ha lavorato sulla Oslo Follo Line, che collegherà la capitale norvegese con la città di Ski. Dedicata ai pendolari, la linea si snoda per 22 chilometri sotto i boschi nazionali, e l’attenta osservazione di Barile oltrepassa volentieri il confine con la contemplazione. Ad Andrea Botto è stato affidato il compito di raccontare i lavori di scavo della Galleria di Base del Brennero—che si avvia a diventare il collegamento sotterraneo ad alta velocità più lungo del mondo—nella loro declinazione più tradizionale, cioè mediante l’uso di esplosivi. Come nella documentazione di un vero e proprio esperimento scientifico, la sua serie di immagini segue le complesse fasi in cui si articola lo scavo, e fa ricorso a molte tecniche fotografiche e a qualche espediente, come per esempio l’uso di uno specchio (solitamente impiegato per riprendere le esplosioni nucleari) e la costruzione ad hoc di una struttura protettiva in cemento armato.
Francesco Neri vola invece in Vietmam, dove è in via di realizzazione la linea 3 della Pilot Light Metro, una delle novità più interessanti del sistema di trasporto pubblico di Hanoi perché la prima a interessare il sottosuolo della città, già densamente popolata e stratificata. Nella serenità non rassegnata ma quasi fatalista degli sguardi fermati da Neri, c’è la prospettiva di un’integrazione positiva, destinata a non lasciare traccia della sua complessa origine. Un’altra città che presenta enormi sfide tecniche, va da sé, è sicuramente Atene, dov’è però ormai pressoché concluso il prolungamento della linea 3 della metro, che congiunge il quartiere periferico e residenziale di Haidari al porto del Pireo. Marina Caneve si è trovata quindi difronte a lavori quasi conclusi, la cui insistenza sul tessuto urbano è però non solo ancora evidente, ma anche una sorta di “Cavallo di Troia” che le ha permesso di penetrare la città ed estrarne un resoconto stratificato, denso di significanti.
Ancora mare (la baia di Sydney) e reperti (a prima imbarcazione di fattura autoctona mai ritrovata in zona) a fare da cornice al volume di Alessandro Imbriaco, a cui è stato chiesto di interpretare i lavori della Sydney Metro City & Southwest. L’approccio da esploratore è evidente fin da subito nell’interesse per i segni lasciati dall’uomo sulle pareti delle gallerie di scavo, pitture rupestri di una civiltà che è contemporanea in modo squisitamente relativo, e che sta producendo oggi quelle che saranno le rovine del futuro. Il riferimento fantascientifico dichiarato da Imbriaco, altrettanto chiaro nell’avventurarsi carico di mistero e fascinazione nel mondo alieno dei lavori in corso, non contraddice peraltro una lettura che fa del paradosso spazio–temporale (un “tropo” tra i più abusati dalla letteratura e dal cinema) la sua lente.
L’operazione rappresenta in Italia un vero e proprio unicum. La scena internazionale non è infatti per niente nuova al felice matrimonio tra comunicazione aziendale e ricerca personale, basti pensare, solo per fare qualche esempio più o meno recente, a quello che autori come Thomas Pryor o Rose Marie Cromwell hanno fatto con Airbnb, al lavoro di Christopher Anderson per HSBC o di Mark Mahaney per la Farm Credit Service of America, al contributo dato da Bryan Schutmaat a Timex o da John Cland a Skype, o anche al caso di Max Pinkers e l’Olympic Foundation for Culture and Heritage; e del resto è proprio Dandini de Sylva a evidenziare, nel generoso e lucido testo che arricchisce il suo lavoro, come siano stati proprio alcuni dei mostri sacri della fotografia documentaria e di ricerca—Lewis Hine per la Macmillan Company e Man Ray per la Compagnie Parisienne de Distrinution d’Électricité all’inizio degli anni ’30, ma anche Lee Friedlander per Cray Reaearch nel 1987, William Eggleston per Hanover Acceptance Group nel 1989 e Josef Koudelka per Groupe Lhoist nel 2001—a dimostrare costantemente che questa via è non solo ampiamente percorribile ma anche conveniente.
Nell’ottica di una proficua e ricercata collaborazione tra il mondo dell’imprenditoria privata e quella della fotografia autoriale, la cosa che più colpisce in Di roccia, fuochi e avventure sotterranee non è solo l’altissimo livello delle interpretazioni messe in campo, sottolineato nelle belle conversazioni tra artisti e curatore che chiudono ogni volume, ma anche l’apertura mentale—e quindi il vero mecenatismo—che ha permesso agli artisti stessi di proseguire in queste commissioni un discorso già avviato con le loro distinte pratiche di ricerca. È un vero e proprio innesto, che da un lato non snatura il lavoro e non mina l’etica degli autori, e dall’altro permette ai lettori di entrare in un mondo sconosciuto ai non addetti ai lavori (e in realtà alieno ai più) da un punto di vista privilegiato, alto, la cui decisa impronta documentaria produce conoscenza mentre il forte carattere interpretativo e spesso ellittico lascia spazi vuoti da colmare con la curiosità.
Su un versante forse più tradizionale negli intenti ma non meno stupefacente nei risultati, si muove invece “With Italy for Italy”, la grossa campagna fotografica commissionata da Lamborghini a 21 fotografi italiani (uno per ogni regione, più una grandissima Letizia Battaglia protagonista della sua Palermo) e recentemente pubblicata da Skira.
In viaggio lungo strade più o meno battute e verso luoghi più o meno conosciuti, autori più o meno giovani ma tutti a loro modo interpreti di una fotografia ricercata, espressiva, a tratti visionaria: Stefano Guindani, Davide De Martis, Guido Taraoni, Gabriele Micalizzi, Camilla Ferrari, Marco Casino, Roselena Ramistella, Valentina Sommariva, Anna Di Prospero, Wolfango Spaccarelli, Alessandro Cinque, Gabriele Galimberti, Piero Gemelli, Marco Valmarana, Mattia Balsamimi, Simone Bramante, Vincenzo Grillo, Chiara Mirelli, Alberto Selvestrel e Fulvio Bugnani.
Ogni fotografo ha avuto a disposizione un diverso modello della celebre casa automobilistica che, malgrado la turbolenta vicenda societaria—nei suoi quasi 60 anni di storia è passata dalle mani di svizzeri, francesi, americani e perfino indonesiani, per essere poi comprata da Audi nel 1998—ha sempre avuto sede e produzione a Sant’Agata Bolognese. Che si tratti di un SUV Urus o della recentissima Sian Roadster, che sia una storica Miura, una moderna Huracán o una già classica Aventador, è attraverso il territorio di un Paese che merita sostegno, che passa il tentativo dell’esaltazione delle eccellenze e delle peculiarità che rendono l’Italia unica. Rurale o urbano, provinciale o metropolitano, minimale o monumentale, in molti casi il paesaggio è protagonista e non una semplice cornice, come ad esempio in quella sorta di nuovo west raccontato nel misconosciuto Molise di Ramistella o nella scenografica Val d’Aosta contemplata nel nuovo paesaggismo di Bugani. Altre volte un elemento più performativo ruba la scena, come negli allestimenti d’ispirazione fantascientifica, affettuosa o inquietante, di Galimberti o Sommariva, o nel sapiente e suggestivo uso delle luci di Balsamini, che aggiunge un’ulteriore dimensione interiore. Oppure a imporsi è l’azione, come nel Piemonte concreto ritmato dallo sguardo di Mirelli, nella Puglia sorniona di uno scanzonato Micalizzi o nella Sicilia verace e pratica di una veterana della fotografia sociale come Battaglia.
Il progetto è stato poi sposato e ripreso anche dal ramo Asia–Pacifico dell’azienda, che ne ha promosso una sua versione coinvolgendo Jirath Wongpraywit in Thailandia, Ojun Ahn e Shinseok Kang in Corea del Sud, Takaaki Tsukahara in Giappone e Michael Amarico in Australia.
Assieme all’automotive, comparto forse non trainante ma di certo molto rappresentativo del Made in Italy, il food & beverage è sicuramente uno dei settori che ha più da mettere in campo, e che più ha fatto, in quanto a potenza di fuoco. In questo senso The New Humanity, il progetto artistico affidato da Lavazza all’agenzia Armando Testa, è di certo tra i più ambiziosi. Nato durante la prima ondata pandemica che ha costretto il Paese al lockdown, il concetto di new humanity—non nuovo, ma sicuramente necessario—si propone di unire le persone allo scopo di perseguire un’idea comune, costruita sull’evoluzione di un’etica ormai da anni incentrata sulla sostenibilità ambientale e che oggi sottolinea un sempre maggiore bisogno di responsabilità sociale e quindi culturale. Per farlo, sono stati chiamati a dare il loro contributo fotografi, artisti e creativi di fama internazionale come Carolyn Drake, Steve McCurry, David LaChapelle, Martin Schoeller, Christy Lee Rogers, Ami Vitale, Martha Cooper e Toiletpaper, che hanno firmato le tredici immagini realizzate ad hoc per il calendario 2021, ma anche architetti, musicisti, scrittori, attori e stilisti come Carlo Ratti, Patti Smith, Alessandro Baricco, Kiera Chaplin e Stella Jean, che hanno condiviso le loro proposte attraverso un magazine allegato al calendario. Tutti i proventi sono stati destinati a New Horizon, progetto di sviluppo di Save The Children focalizzato sulla fragilità delle nuove generazioni indiane.
In uno dei momenti più bui e meno promettenti dell’editoria (periodica ma anche no, dato che nonostante la bolla dell’oggetto–libro continui a gonfiarsi, anche quella aperiodica subisce le logiche di un mercato prepotente e spesso immorale), è chiaro che la fotografia contemporanea non può contare solo sull’iniziativa del mondo industriale, così come non può puntare solo sulle grandi commissioni istituzionali, sempre più rare e dai confini incerti; eppure è indubbio che è proprio in questo dialogo, a volte ambiguo ma sempre più spesso virtuoso, che può ricercare almeno una tra le forme più plausibili del proprio futuro.
Immagine di apertura: dettaglio da Francesco Neri, Hanoi Pilot Light Metro Line Project.