Quando si pensa all’arte nello spazio pubblico i primi esempi a cui si è soliti far riferimento sono quelli delle opere che si vedono nelle grandi città, ma l’Italia è un paese caratterizzato da piccoli centri nei quali si sono sviluppate una serie di esperienze di cui tenere conto. La tematica dei borghi e dei territori rurali è recentemente tornata alla ribalta, anche per via degli studi di Rem Koolhas sul countryside e delle affermazioni di Stefano Boeri (che ha sostenuto la necessità di riabitare questi luoghi), ma al di là degli entusiasmi nei confronti di scenari agresti e bucolici è necessario fare i conti con le reali condizioni che la vita in questi territori comporta. In Italia il tema è oggetto di riflessione da tempo, dal 2013 il Ministero per la coesione territoriale ha dato vita alla Strategia nazionale per le Aree Interne (SNAI), ovvero per “quelle aree significativamente distanti dai centri di offerta di servizi essenziali (di istruzione, salute e mobilità), ricche di importanti risorse ambientali e culturali e fortemente diversificate […] Una parte rilevante delle Aree Interne ha subito gradualmente, dal secondo dopoguerra, un processo di marginalizzazione” e di spopolamento.
Molte sono state le e ricerche sul tema, dal punto di vista dell’architettura non si dimentichi per esempio l’Arcipelago Italia di Mario Cucinella, e le iniziative culturali, ultimo in termini cronologici è per esempio il progetto Alpe recentemente lanciato dal FAI. Resta forse da chiedersi quale sia stato il contributo degli interventi messi in campo da artisti e organizzazioni legati al mondo dell’arte contemporanea in zone decentrate. Abbozzare una prima breve storia che raggruppi le esperienze di questo tipo evidenzia non solo come l’arte abbia intrinsecamente mutato negli anni il proprio approccio nei confronti dello spazio pubblico, ma anche come in questi territori si sia mossa inizialmente nella direzione della creazione di itinerari turistico-culturali fisici, che “sono diventati uno dei principali strumenti di valorizzazione culturale” (come sostiene Carmen Vitale parlando in particolare delle aree interne), modificando poi gradualmente la propria pratica in direzione, non tanto dell’opera oggetto da lasciare sul territorio, quanto più del coinvolgimento delle comunità e della valorizzazione del patrimonio immateriale.
La tematica dei borghi e dei territori rurali è recentemente tornata alla ribalta, ma al di là degli entusiasmi nei confronti di scenari agresti e bucolici è necessario fare i conti con le reali condizioni che la vita in questi territori comporta
Per un breve racconto di queste esperienze si può partire dal caso della siciliana Gibellina, per passare a Ulassai in Sardegna, a San Gimignano e limitrofi con l’esperienza di “Arte all’Arte”, dall’Abruzzo con Guilmi Art Project, scendere verso Basilicata e Calabria con ArtePollino, spostarsi a Latronico dove s’incontra “A cielo aperto”, poi nel Cilento con Associazione Jazzi, per concludere infine con l’opera di Matteo Rubbi a Solza a poca distanza da Bergamo.
Non si tratta di operazioni che hanno portato un indotto economico-turistico insostenibile, come accadde per esempio sul lago d’Iseo all’epoca di “The Floating Piers” di Christo, bensì, nei casi più recenti, di pratiche il cui valore dipende soprattutto dalla capacità di inserirsi e legarsi a un tessuto culturale “altro” rispetto a quello con cui l’arte contemporanea è solita misurarsi, facendosi inoltre strumento di valorizzazione del patrimonio immateriale poiché, attraverso il suo sguardo esterno, assume una funzione che si potrebbe definire maieutica.