Ci sono registi che diventano aggettivi, dopo di loro cioè un certo modo di essere o di fare assume il loro nome o quello dei loro personaggi (fantozziano, felliniano…), Wes Anderson invece è il primo che è riuscito a modificare gli ambienti e l’arredamento che gli preesisteva. Così chiaro e così preciso è il suo stile visivo, così maniacale è la maniera in cui arreda ispirandosi a veri arredi d’epoca (solitamente anni ‘70 ma spesso sconfina nei ‘60 o negli ‘80), che adesso quei veri arredi sono diventati wesandersoniani come testimonia il profilo instagram Accidentally Wes Anderson, in cui si trovano fotografie di interni e arredamenti (ma anche facciate di palazzi) che senza volerlo sembrano imitare lo stile di Wes Anderson. Non è assolutamente accidentale invece il Bar Luce della Fondazione Prada progettato e arredato da Wes Anderson che sembra… Beh sembra uscito da un film di Wes Anderson.
Il segreto dei film di Wes Anderson in 5 ambienti
Il regista americano costituisce un unicum nella storia del cinema. Grazie alla precisione e la coerenza dell’arredamento e degli edifici. Cosa sarebbero i suoi film senza?
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- Gabriele Niola
- 23 marzo 2020
Non ci sono precedenti nella storia del cinema di uno stile che con tale inesorabile precisione e coerenza parta dall’arredamento e dagli edifici per creare film, per raccontare personaggi e per dar vita a mood e sensazioni uniche. Nemmeno Almodovar, con tutto il suo carico di colori saturi e superfici lisce, è paragonabile. Il cinema di Wes Anderson non solo sembra un catalogo di un mobilificio d’epoca ma in quegli showroom inserisce personaggi perfettamente coerenti che non possono esistere né possono essere mai esistiti, eppure sono capaci di slanci così riconoscibili, così umani e così delicati. Quello intorno a loro non è più arredo ma il mondo che li circonda e che al tempo stesso li opprime (spingendoli ad essere sempre il massimo) e li esalta (fornendogli una ragion d’essere). Si veda come la prima immagine del suo prossimo film, The French Dispatch, già dice tutto questo.
Si pensi a Hotel Chevalier, il cortometraggio con Natalie Portman ambientato quasi tutto in un hotel giallo, e a cosa succede quando alla fine Anderson mette in relazione quegli ambienti stretti, chiusi e sovra-arredati con l’apertura all’esterno blu. Erano due amanti in una bomboniera ma non capivamo che fuori c’era Parigi.
È stato I Tenenbaum il primo dei suoi film a lavorare in maniera così precisa su costumi e ambienti per raccontare una famiglia particolare. L’obiettivo era dire a tutti che questi protagonisti sono eccezionali e ognuno è stato un’eccellenza nel suo campo. Per far capire subito che non sono come gli altri, Anderson li inserisce in una casa o un set di case arredate maniacamente. È esattamente il modo in cui funzionano i cartoni animati, nei quali gli oggetti dei personaggi somigliano ai personaggi e sono una maniera per raccontarli.
Ci sono anticaglie eleganti, artefatti africani e colori smaccatamente anni ‘70. L’ambiente migliore di tutti è però la sala da ballo con carta da parati Scalamandre decorata con zebre rampanti.
È stato invece costruito in Italia, a Cinecittà, la sezione del Belafonte, il sottomarino di Le avventure acquatiche di Steve Zissou. Anche l’arredamento di un’imbarcazione diventa un tutto coerente, con una palette cromatica precisa e dettagli (ovviamente anni ‘70) come tappeti rossi o pannelli di legno. È un mix incredibile tra design industriale e un giocattolo in cui a tutti i personaggi è richiesto un abbigliamento preciso, tutti uguali. È un’esigenza del film che viene dichiarata nella trama quando Steve Zissou si assicura che al nuovo venuto sia fornito un costume Speedo come a tutti.
L’unico dei film di Wes Anderson a fare questo lavoro per gli esterni è invece Moonrise Kingdom. La fuga di due bambini amanti verso una specie di Eden lontano assume contorni grotteschi e paradossali perché il mondo in cui si muovono sembra arredato come una casa o meglio come un paesaggio di bambole e pupazzi giocattoli. Di nuovo come in un cartone animato ogni personaggio di questo melodramma stranissimo è caratterizzato da una divisa, come fosse character design, come un personaggio di I Flinstones, ognuno è definito da ciò che indossa e non si cambia mai. La divisa è il personaggio.
Il lavoro più godurioso però forse è quello fatto per Il treno per il Darjeeling, in cui gli anni ‘70 rievocati sono quelli indiani, in cui in particolare gli interni di impossibili treni sono disegnati come un’illustrazione, al tempo stesso verosimili e impossibili. Per realizzarlo è stato preso un vero treno indiano e riarredato con colori molto forti, ogni vagone con una dominante cromatica precisa e in diversi casi addirittura agghindato con ritratti delle icone dell’epoca.
Ed è interessantissimo vedere come Wes Anderson ha poi riciclato questa esperienza per il cortometraggio Come Together creato per H&M, tutto ambientato su un treno ma chiaramente con costumi H&M
Infine quando Wes Anderson ha approcciato Grand Budapest Hotel, il suo ultimo film con attori in carne ed ossa, ha azzardato una delle produzioni più ambiziose e rischiose della sua carriera. Il protagonista del film è un attore sconosciuto, Tony Revolori, ma tutto il resto del cast, tutti i comprimari e anche chi compare solo per pochissimi minuti, è formato da attori famosi. L’esatto contrario di quel che accade di solito. In più il film è ambientato in due tempi diversi con due stili di arredamento diversi ma in ogni caso magnifici, grandiosi e dalle dimensioni eccezionali. Le vedute dell’interno del Grand Budapest Hotel sono tra le composizioni più complesse mai messe a segno (e gli sono valse un Oscar alla scenografia), Art Nouveau dagli interni rossi ricreato in un ex magazzino tedesco. E dopo aver effettivamente realizzato un cartone animato (Fantastic Mr. Fox) ha imparato anche a muovere gli attori come personaggi animati, fargli fare capolino solo con la testa da una porta o farli schizzare velocemente come fossero in un episodio di Looney Tunes.