Il mondo in cui viviamo è sempre più saturo di immagini. Sui social circolano più di 3 miliardi di immagini e questa non è che una porzione frammentaria di quelle che vengono prodotte giornalmente. Non tutte le immagini, poi, sono create per l’uomo: molte sono prodotte da macchine per altre macchine. Lo spazio della visibilità sembra inondato da un numero di immagini pantagruelico, rendendo qualsiasi altra forma di comunicazione irrilevante. Ne abbiamo parlato con Peter Szendy, filosofo, musicologo e professore di estetica all'Università Paris X: Nanterre che, nella mostra “Le supermarché des images” da lui curata e in corso al Jeu de Paume di Parigi, riflette sulla componente economica delle immagini e sull’infrastruttura produttiva e di interscambio su cui si basa l’industria del visuale.
Nel catalogo utilizzi il neologismo “Iconomics” in riferimento alla dimensione economica delle immagini. In che modo le immagini acquisiscono un valore economico?
Il secondo elemento da cui la mostra prende spunto è il libro che hai citato, il quale cerca di descrivere la mercificazione del visibile. Il termine, Iconomics, crasi delle parole icona ed economia, ha origini recenti. Lo utilizzo per evidenziare la componente economica di un’immagine, ed è proprio a questo che è dedicata la mostra, la quale indaga le qualità dell’immagine che vengono sprigionate nel momento in cui questa entra in circolazione. Nella mostra si parla di codifica dell’immagine, di formato e di compressione. Tutte qualità parametriche, valori quantitativi che richiedono un approccio economico.
L'infrastruttura di supporto al mercato dell’immagine appare estremamente perversa se osservata attraverso le lenti di alcune opere da te selezionate per la mostra. In particolare, il lavoro di Martin Le Chevallier Clickworkers mi ha particolarmente impressionato. Puoi parlarci di questo progetto e del paesaggio socio-economico che descrive?
Lo Spazio-Immagine di cui parla Walter Benjamin, rappresentato anche nell’opera di Ewan Roth, ha sicuramente un suo lato oscuro, pur essendo uno spazio dedicato alla visibilità totale. Per emergere, le immagini richiedono un’incredibile quantità di lavoro, uno sforzo per lo più ignorato. In pochi sanno che le visualizzazioni di video e immagini sono spesso il prodotto di un lavoro manuale. Al contrario di ciò che spesso pensiamo, al posto di algoritmi e intelligenze artificiali, estremamente costosi da addestrare, dietro la compravendita di visualizzazioni ci sono lavoratori sottopagati, un fenomeno documentato magistralmente da Martin Le Chevallier. Clickworkers è un racconto costruito sulla base di testimonianze reali, che descrive le condizioni di lavoro paradossali imposte dalle sempre crescenti necessità del “mercato del visuale”. Una voce narrante racconta la storia di una donna che per guadagnarsi da vivere tagga film porno, mette like su video di decapitazioni o commenta video di attacchi terroristici. Un lavoro talmente ripetitivo che il contenuto del video o dell’immagine scompare completamente dagli occhi del clickworker.
L’infrastruttura digitale sta attraversando un processo di aggiornamento talmente complesso e veloce che forse nessuno ha una comprensione olistica del fenomeno. James Bridle ha definito la contemporaneità come “Una Nuova Era Oscura”. Ritieni che ancora sia possibile gestire e comprendere la traiettoria che il nostro rapporto con la tecnologia ha intrapreso o dovremo semplicemente accettare l’impenetrabilità conoscitiva di Internet?
Stiamo affrontando una perdita di controllo senza precedenti ed uno dei terreni di scontro è proprio il mondo dell’immagine. D’altro canto, non ritengo sia una condizione senza speranza. L’interazione tra uomo e macchina non sta andando verso la completa cessione di controllo a favore della tecnologia. Al contrario, ci sono diversi esempi di commistione tra linguaggio umano e linguaggio macchina che pendono a favore dell’uomo. Il collettivo artistico RYBN, ad esempio, scrive algoritmi finanziari che generano caos piuttosto che efficienza produttiva. Per cui non solo riappropriazione del linguaggio, ma anche utilizzo critico degli strumenti al fine di produrre ostacoli in una dimensione, quella della circolazione di immagini, che altrimenti sarebbe priva di attrito.
Inoltre, non esiste una vera dicotomia tra uomo e macchina. La visione umana è il prodotto di una serie di adattamenti che si è evoluto anche attraverso l’introduzione prostetica della macchina. La vista umana è a sua volta una macchina molto sofisticata che deriva da questioni economiche e di formato. Nel testo introduttivo del catalogo, ribadisco questa posizione, ricordando come il mito di Butade, il primo sculture, suggeriscono già nell’antichità un problema di formattazione e decodifica dell’immagine. Insomma, la contaminazione tecnologica e l’economia del visuale sono dimensioni che da sempre appartengono al mondo dell’immagine.
L’installazione Since You Were Born di Ewan Roth è una vasta collezione di immagini che l’autore a ha ottenuto scaricando la sua “web cache”, una collezione di immagini priva di un criterio ordinatore. Formalmente ricorda il lavoro di Aby Warburg, Mnemosyne Atlas, che tu hai già citato in testi precedenti. Tuttavia, la mancanza di una gerarchia curatoriale sembra celebrare una sensibilità contemporanea. C’è una relazione di continuità nei due approcci? Oppure la mancanza di narrativa nel lavoro di Roth inaugura un’attitudine del tutto nuova nei confronti del collezionismo?
Una domanda molto interessante. Potrei dire che lo spettro di Warburg permea tutta la mostra. Warburg è stato il primo a concepire la circolazione delle opere d’arte in termini di traiettorie, itinerari, strade, e tale approccio rappresenta uno dei fulcri di mostra. Ad esempio, in una delle ultime stanze abbiamo esposto immagini dei cavi sottomarini oceanici, uno dei lavori presentati da Trevor Paglen. In qualche maniera questa opera ricorda la rete di percorsi di cui parla Warburg. Un’altro aspetto molto interessante dell’opera di Warburg è la miniaturizzazione delle traiettorie che assumono distanze percorribili con lo sguardo attraverso l’accostamento compositivo. I pannelli di Warburg spingono a seguire una traiettoria ben precisa tra immagine e immagine. Riassumendo, da un lato abbiamo l’infrastruttura di reti e percorsi che le immagini percorrono, dall’altro l’accostamento curatoriale delle immagini. Questo secondo tema, l’accostamento di immagini, è alla base dell’opera di Ewan Roth, ma stavolta senza gerarchia. Roth accosta le immagini eliminando gli spazi interstiziali, fondamentali invece nei pannelli di Warburg.
Artisti come Trevor Paglen indirizzano il loro lavoro nel disvelare le conseguenze paradossali che scaturiscono dal progresso tecnologico. Qual è, secondo te, il ruolo dell’uomo nel sempre più diffuso processo di interazione macchina-macchina?
A mio parere, ci sono due condizioni estreme, che delineano un gradiente di interazione. Da una parte, lo sfruttamento completo del lavoro umano. In questo caso la componente di “fatica” viene svolta dall’uomo per la macchina, della quale i sistemi di riconoscimento automatizzato richiedono ancora costi eccessivi. L’estremo opposto invece è rappresentato dalla riappropriazione di territorio attraverso la pratica artistica. L’installazione The Pirate Cinema del collettivo Disnovation.org presenta opere cinematografiche, prodotti tradizionalmente condivisi su internet attraverso il Peer To Peer, frammentati e ricostruiti in una sequenza di frame completamente randomica che segue l’algoritmo di decodifica e ricomposizione del video da un device ad un’altro. La mostra oscilla tra questi due estremi, cercando di descrivere tutto lo spettro di interazione tra uomo e macchina.
- Mostra:
- Le supermarché des images
- A cura di:
- Peter Szendy con Emmanuel Alloa e Marta Ponsa
- Sede:
- Jeu de Paume, Parigi
- Date di apertura:
- 11 Febbraio - 17 Giugno 2020
- Indirizzo:
- 1 Place de la Concorde, 75008 Parigi, Francia