Rinomato per il suo austero Uomo che cammina del 1961, percepito dai contemporanei come un monumento allo spirito delle vittime di Auschwitz, quasi una statua sacra, per tutta la vita Alberto Giacometti si interessò al fenomeno della sofferenza. Anche nelle sue sfumature sessuali, legate agli scritti del marchese de Sade, che sono rimaste però in gran parte sconosciute. “Nei testi dell’artista, de Sade è citato in più occasioni”, spiegano Christian Alandete e Serena Bucalo-Mussely, curatori della mostra “Cruels objets du désir” all’Istituto Giacometti di Parigi.
Lo scultore svizzero, nato nel 1901, sviluppa una crescente attrazione per le scene di violenza fin dall’adolescenza. Nel 1913, all’età di 12 anni, disegna il martirio di San Sebastiano, il suo diario del 1923 contiene uno schizzo di un uomo svestito, in ginocchio e che parla con un prete prima di essere ucciso, e nel 1931 una donna nuda di spalle, strangolata da un gigantesco maniaco simile a Fantômas. All’inizio degli anni Trenta, la passione di Giacometti per il sadismo diventa pubblica. “Ieri ho letto Sade, che mi affascina molto”, scriveva Giacometti al suo caro amico, il poeta surrealista André Breton, intorno al quale si riunì in un “circolo sadico” informale che comprendeva Georges Bataille, André Masson, Luis Buñuel e Salvador Dalí.
Nella Parigi bohèmien dell’epoca, il nome del marchese funge da parola d’ordine. Riuniti sotto il titolo Objets mobiles et muets, una dozzina di sculture in bronzo semiastratto di Giacometti del 1931 – molto meno selvagge dei suoi schizzi di diario, però – sono impregnate di un immaginario violento e feticista. Uno di essi evoca mantidi che copulano, insetti che cercano di uccidersi a vicenda dopo il sesso, un altro sembra un frustino o una mazza da cricket, e il terzo ci ricorda un’anguilla grassa o solo un fallo.
Nel 1932, continuando la sua riflessione sui piaceri del dolore, Giacometti scolpì nel legno una mano amputata, oltre a realizzare un piccolo dipinto di una cella di tortura medievale. Da qui in avanti, il tema del sadismo svanisce dalla sua pratica. La delusione di Giacometti per le eccentriche fughe del surrealismo si rafforza. Inizia per la prima volta dai primi anni Venti, quando si trasferisce a Parigi da Ginevra, a scolpire volti umani, mettendo fine al suo legame con Breton nel 1935. Da questa metamorfosi nasce un nuovo Giacometti, molto più temperato e sobrio.
- Titolo:
- Cruel objects of desire – Giacometti/Sade
- A cura di:
- Christian Alandete e Serena Bucalo-Mussely
- Museo:
- Giacometti Institute
- Indirizzo:
- Rue Victor Schoelcher 5, Parigi
- Date di apertura:
- 21 novembre 2019 – 9 febbraio 2020