Jeff Bark non è il classico viaggiatore da camera. Invece di partire per esplorazioni letterarie tra romanzi e libri d’arte teorizzando spostamenti rigorosamente interiori, il fotografo statunitense preferisce sporcarsi le mani e ricostruire da zero una cornice all’interno della quale potersi muovere con disciplinata libertà. Il suo personale Grand Tour, diretto in Italia come tutti i viaggi degni di questo nome, resta infatti contenuto tra le mura del proprio garage in Upstate New York, che diventa però una scatola magica, secondo le sue stesse parole, che gli permette di cambiare destinazione senza mai oltrepassarne i confini. Così si spiega il titolo del suo lavoro più recente, “Garage Paradise”, in mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma fino al 28 luglio. Galeotto fu un breve soggiorno nella capitale del Belpaese, il cui ricordo è bastato ad accendere la scintilla di una creatività che guarda al passato con occhi molto contemporanei: affermatosi sulle pagine di riviste come Dazed & Confused, i-D, Another Magazine, il 56enne autore originario del Minnesota si ispira all’europea del Rinascimento e del Barocco, spaziando dall’iconografia italiana a quella olandese, dal ritratto alla natura morta, ma allestendo delle scenografie che, seppure in forma massimale, richiamano contemporaneamente gli still–life glamour di Irving Penn e il travestitismo pop di Yasumasa Morimura, i suadenti tecnicismi di Erwin Olaf e le messe in scena naturali del primo Crewdson. È tra un onnipresente sostrato fashion e il conseguente gusto per l’equivoco, per il cortocircuito tra vero e falso, che si muove quindi Bark, in un gioco continuo tra composizione e sfondi, tra luce e colori, che depista e disorienta, partendo da un garage e approdando a un mondo fantastico e tanto più personale quanto più si allontana da casa.
Il Grand Tour di Jeff Bark (senza mai lasciare il garage)
Il fotografo statunitense in mostra per la prima volta a Roma con “Garage Paradise”.
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- Raffaele Vertaldi
- 26 giugno 2019