Dati, parametri, funzioni complesse e processi aleatori si materializzano con le installazioni cinetice Bit & Do human dream of machines, concepite dall’artista Jonghong Park.
Bit rappresenta un processo all’apparenza casuale ma in realtà descritto matematicamente da una funzione chiamata Processo di Markov.
L’artista spiega il funzionamento di dispositivi meccanici: “Ogni macchina è costituita da ‘informazioni’ incise su testina di legno e da un ‘evento’ causato dal funzionamento del motore. Sono collegate tra loro sulla base di un algoritmo che influenza gli eventi, per cui possiamo prevedere quale delle quattro macchine si muoverà nel turno successivo.”
L’opera rappresenta la complessità del mondo, formato da sistemi, livelli e reti apparentemente separati ma interlacciati in modo sottile.
L’installazione Do human dream of machines ci parla invece del legame sempre più stretto tra uomo e macchina. Come gli storici Beatriz Colomina e Mark Wigley hanno raccontato nella Biennale di Istanbul del 2016, intitolata “Are we human”, la tecnologia manipola l’uomo come questo manipola gli oggetti che crea.
Questa relazione biunivoca è rappresentata da Jonghong Park con un loop: “L’installazione è composta da otto refrigeratori, ognuno dotato di un’armonica che genera un suono quando il refrigeratore è attivato. I moduli hanno un microfono incorporato, che riconosce la nota specifica di ogni armonica. Quando il microfono riconosce la nota, le dita fermano il suono premendo il centro del dispenser. Se il microfono non sente alcun suono, le dita ritornano nella loro posizione originale. Il radiatore genera costantemente il suono e le dita fermano costantemente il radiatore,” racconta l’artista