Il 20 settembre, novant’anni fa, in una Homs assolata, nasceva Mario Schifano. Un artista, un catalizzatore, un occhio attraverso cui le immagini della modernità si scomponevano in mille sfumature, a volte audaci, a volte provocatorie, ma sempre autentiche. La sua arte era un dialogo costante con il mondo che lo circondava, un flusso ininterrotto di colori e sensazioni catturate al volo e restituite alla tela con l’immediatezza di un lampo. La Pop Art, la pubblicità, il cinema, la televisione: tutto ciò che plasmava l’immaginario collettivo degli anni Sessanta e Settanta trovava dimora nelle sue opere, rielaborato e trasfigurato con una sensibilità unica, quasi un marchio di fabbrica. Schifano non si limitava a riprodurre la realtà, la filtrava attraverso la sua personale lente d’ingrandimento, forgiando un universo parallelo dove l’ordinario si elevava a straordinario, il banale assurgeva a icona.
Mario Schifano. Il vortice della contemporaneità
A novant’anni dalla nascita, Mario Schifano continua a essere un punto di riferimento per l’arte contemporanea italiana. L’artista romano, con la sua produzione eclettica e innovativa, ha saputo interpretare e rappresentare in modo unico l’epoca del consumismo e dei media di massa.
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- Valentina Petrucci
- 20 settembre 2024
Un gioco, certo, ma un gioco che si metamorfosa in una profonda riflessione sulla condizione umana, sull’alienazione dell’individuo nella società di massa, sulla caducità dell’esistenza di fronte all’inesorabile scorrere del tempo. Un artista scomodo, irriverente, a tratti persino scandaloso. Eppure, proprio la sua irrequietezza, la sua sete inestinguibile di sperimentazione, il suo rifiuto categorico di ogni compromesso costituivano la linfa della sua arte.
Schifano non si limitava a riprodurre la realtà, la filtrava attraverso la sua personale lente d’ingrandimento, forgiando un universo parallelo dove l’ordinario si elevava a straordinario, il banale assurgeva a icona.
Le Coca-Cola di Schifano, lungi dall’essere semplici riproduzioni del noto marchio, sono epifanie dell’oggetto quotidiano elevato a icona pop. Una dissezione, una scomposizione, segni grafici che ne amplificano il potere evocativo.
La superficie della tela diventa un campo di battaglia dove la pittura si scontra con la pubblicità, l’arte dialoga con il consumismo, il gesto pittorico si confronta con la riproducibilità tecnica. Schifano, con la sua irriverente ironia, costringe a guardare con occhi nuovi un oggetto banale, a riconoscerne la carica simbolica, a interrogarci sul suo ruolo nella società dei consumi.
Opere “aperte”, in continuo divenire, come la realtà che rappresentano. Schifano interviene sulla tela con pennellate rapide, sgocciolature, collage, scritte a mano, creando una stratificazione di significati che si sovrappongono e si intersecano. L’opera diventa così un palinsesto della memoria, un archivio di immagini e sensazioni che si accumulano nel tempo. Opere che si trasformano in una riflessione sulla contemporaneità, sulla pervasività dei media, sull’omologazione dei gusti, sulla perdita dell’aura dell’opera d’arte. Ma l’arte, quando si confronta con la banalità del quotidiano, può ancora essere uno strumento di conoscenza, di critica, di trasformazione? Dipingere “ è umano, troppo umano” (Mario Schifano)
Immagine di apertura: Mario Schifano, Coca cola (Tutto), 1972