I ritratti di Kehinde Wiley ridefiniscono l’arte del passato

I dipinti dell’artista di New York si ispirano esplicitamente a grandi classici della pittura europea, ma ne ridefiniscono l'immaginario, perché hanno come soggetto nuovi eroi dai corpi neri. 

Questo articolo è pubblicato su Domus 1081, in edicola a luglio 2023

I ricordi stanno nella mente e sono vivi e mutevoli, sono dinamici e si evolvono. Hanno la capacità di ridefinire la nostra prospettiva del passato e di essere il motore del cambiamento sociale. Arte, design e architettura sono altrettante testimonianze silenziose della cultura e della civiltà, e la memoria le collega tutte in un tessuto di associazioni. Anch’esse sono mutevoli: il significato di un’opera d’arte cambia nello spazio e nel tempo della società e della politica.

L’opera di Kehinde Wiley gioca su questo, anzi, amplifica questa instabilità. I suoi dipinti fanno riferimento alla tradizione europea del ritratto che raffigura i personaggi del potere secondo i modi e la moda del proprio tempo. Il suo lavoro sfrutta questa associazione del ritratto storico con la condizione sociale, il potere e la supremazia per celebrare e consegnare alla memoria coloro che tale potere ha storicamente cercato di escludere e nascondere. 

Vista della mostra “A New Republic”, Brooklyn Museum, 2015. © Kehinde Wiley. Courtesy of the Brooklyn Museum

In alcune mostre come “A New Republic” al Brooklyn Museum, 2015, Wiley mantiene la ‘posa’, la postura delle figure della ritrattistica europea, le svuota e le sostituisce con corpi neri. Questi eroi, oggetto d’adorazione, vengono trasfigurati in nuovi protagonisti e il risultato è spiazzante, coinvolgente, sorprendente, sconvolgente e affascinante. I dipinti sono la concretizzazione di un consolidato rituale di grandeur – farsi fare il ritratto – per favorire l’occupazione dello spazio bianco, svuotato, con corpi neri, decisamente insediati nel territorio degli “antichi maestri”.

Il canone occidentale della storia dell’arte è oggetto di pesanti critiche per il suo carattere esclusivo ed elitario, che dà la precedenza alla rappresentazione della cultura bianca eurocentrica. Con le pennellate di Wiley questo noto riferimento storico-artistico, radicato nella nostra memoria collettiva, si trasforma in un nuovo linguaggio e in una nuova identità. Il ritratto rimane simbolo del potere del soggetto, ma il soggetto cambia. A partire da quello del presidente Barack Obama, la cultura botanica di Wiley dà significato biografico a ciascun ritratto, includendo riferimenti a fiori e vegetali associati a luoghi, climi e storie culturali, comprese per esempio le piantagioni nelle colonie. 

Kehinde Wiley, Napoleon Leading the Army over the Alps, 2005. Olio e smalto su tela, 274 x 274 cm. © Kehinde Wiley. Courtesy of the Brooklyn Museum

Lo sfondo del ritratto adotta il senso illusionistico prevalente nella pittura europea, mentre il verdeggiante paesaggio si fa identità geografica e scenario simbolico. Nella mostra “Havana”, alla galleria newyorchese Sean Kelly (28.4-17.6.2023), lo sfondo del ritratto e il costume del soggetto riflettono il colore e la vivacità di frenetiche feste carnevalesche. Il primo piano, il piano medio e lo sfondo diventano una collezione di piante e vegetazione che, come vitigni, avviluppano il soggetto e i suoi abiti, intrecciandoli in un’unica narrazione.

“Dal punto di vista africano, o della diaspora africana, il circo e il carnevale davano storicamente occasione agli antichi schiavi di vivere momenti di libertà e di grazia generalmente proibiti. Il carnevale, il Mardi Gras e i cortei per le strade, erano momenti in cui nasceva il caos, si esprimeva l’amore e si manifestava l’adesione spirituale alle tradizioni religiose”, si legge nella nota di presentazione della mostra. I particolari dell’abbigliamento e del costume del soggetto ne riflettono la cultura: moda, stile e accessori con i relativi oggetti d’uso o d’ornamento. Così come la ritrattistica storica si fondava sugli oggetti come indicatori simbolici di identità, luogo, gerarchia e privilegio, questi particolari contemporanei parlano lo stesso linguaggio connotativo con inflessioni radicalmente diverse.

Vista della mostra “An Archaeology of Silence”, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, 2022. Young Tarentine II (Ndeye Fatou Mbaye), 2022, olio su tela, 335 x 762 cm; The Virgin Martyr St. Cecilia, 2022. Bronzo, 637,5 x 388 x 178 cm. © Kehinde Wiley. Courtesy of Galerie Templon, Paris

In “An Archaeology of Silence”, presentata originariamente alla Biennale di Venezia del 2022 e attualmente aperta al De Young Museum di San Francisco (fino al 15.10), i corpi neri caduti rispecchiano la forma prona e senza vita dei sacrifici, le figure di Cristo e dei santi che permeano la pittura canonica. Qui, queste figure vengono sostituite da corpi neri proni che evocano la brutale e devastante violenza esercitata su quegli stessi corpi nella memoria recente come in quella storica. È una composizione epica, ma provoca una reazione intima e di riflessione, spesso personale ed emotiva. I dipinti di Kehinde agiscono per smantellare il razzismo sistematico e strutturale e riformulare la necessità di un nuovo passo in avanti attraverso la cooptazione delle strutture familiste che definivano l’egemonia occidentale nella storia dell’arte. Tuttavia, quello di Kehinde è un attivismo latente: silenzioso, ma forse più potente di ogni altra cosa. Anche nella scultura Wiley emula le pose convenzionali di figure consegnate alla memoria e letteralmente le rifonde in monumenti di bronzo. 

Wiley di fronte all’ingresso di Black Rock Senegal, atelier e residenza per artisti che ha aperto nel 2019 a Dakar. Photo Kylie Corwin © Kehinde Wiley

In “Rumors of War”, 2019, ospitata al Virginia Museum of Fine Arts di Richmond, un giovane cavaliere nero vestito in comuni abiti contemporanei assume la stessa posa di un monumento locale che raffigura il generale confederato J.E.B. Stuart. La scultura di Wiley è un monumento dedicato alle vite dei giovani neri caduti e a un sistema di violenza e di repressione per mantenere il quale Stuart, durante la Guerra di Secessione, combatté e fu poi immortalato in un monumento. Wiley, invece, mostra chi è reso invisibile dalla violenza e dall’oblio del sistema sotto forma di icone monumentali ed esemplari. Nel 2019 Kehinde ha fondato a Dakar il Black Rock Senegal, atelier e residenza per artisti multidisciplinari. L’isoletta di Gorée, a qualche miglio dalla costa di Dakar, fu storicamente un importante attracco per il commercio degli schiavi dell’Atlantico. Un portale dell’isola veniva chiamato “la porta del non ritorno”.

Oltrepassarne la soglia significava che gli uomini e le donne resi schiavi non sarebbero mai tornati in patria. Wiley ha battezzato l’ingresso di Black Rock Senegal “La porta del ritorno”, che annuncia il ritorno della diaspora africana all’impegno per l’Africa. Come nei dipinti, la memoria di un luogo e di un popolo viene ricontestualizzata, trasformando il trauma in celebrazione. Al di là di questa porta, Kehinde dipinge un futuro audace, che fa superare a neri e meticci il pregiudizio, l’oblio e l’esclusione usando la memoria come strumento potente, che ricalibra vecchie strutture per costruirne di nuove in futuro. 

Immagine di apertura: Kehinde Wiley, Femme Piquée Par Un Serpent (Mamadou Gueye), 2022. Olio su tela, 335 x 762 cm. © Kehinde Wiley. Courtesy of Galerie Templon, Paris

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