“In Russia esiste una emigrazione degli intellettuali: si passa il confine per leggere e scrivere buoni libri. Ma così si fa in modo che la patria, abbandonata dallo spirito, diventi sempre più la bocca spalancata dell’Asia, che vorrebbe inghiottire la piccola Europa”, scriveva Friedrich Nietzsche.
Esiste una differenza culturale tra il mondo orientale e quello occidentale, diceva Federico Chabod, noto storico formatosi nel milieu culturale torinese, la divisione tra Europa e Asia è la storia di un senso, di una visione, di costumi e soprattutto di organizzazione politica. L’Europa, che descrive uno spirito di libertà contrario al dispotismo asiatico, riproduce una libertà che trova fondamento soprattutto nel sistema giuridico che, come diceva anche Erodoto, si fonda sul vivere secondo queste leggi mai legate all’arbitrio di un despota, un concetto di “libertas” molto caro ai latini. Questa divisione, tra Europa e Asia, corre lungo la grande e dura pianura russa, dove l’Europa sfuma nell’Asia e l’Asia s’allontana dall’Europa.
La Russia ha una profonda anima europea, Puskin, Dostoevskij o Chagall lo dimostrano, pur conservando una tradizione magica, diversa, dove però l’attuale regime politico rimane innegabilmente orientato verso il dispotismo.
Intellettuali, di vario genere o di vario titolo, emigrano da sempre verso l’Europa, lontani da un sistema culturale e politico dove l’autoritarismo vige, in un modo o nell’altro, ormai da tempo. Un sistema, quello russo, quanto mai lontano dal principio di libertà intellettuale europea, libertà che si fonda su forme, parole e pensieri che hanno necessità di essere concepiti senza barriere o leggi che possano definirlo.
“Anche la mia Russia mi amerà” scriveva così Marc Chagall o per meglio dire Mark Zacharovič Šagal. Nato a Vitebsk, nell’attuale Bielorussia, nel 1887 da una famiglia ebraica di modeste origini, il giovane Chagall arriva a San Pietroburgo a soli 20 anni per studiare all’Accademia Russa di Belle Arti. Ben presto diviene Commissario del popolo per le Belle Arti per il governo sovietico ma sarà spinto ad andare a Mosca per dissapori con gli artisti del Suprematismo.
Nel 1923, due anni dopo la sua prima visita, torna però a Parigi, una città magica per l’artista, che lo ispirò, lo plasmò sino ad affermarsi nel panorama culturale europeo. Da lì dovrà fuggire ancora per via dei nazisti e dalle leggi razziali, che lo spinsero ad approdare negli Stati Uniti per cercare salvezza. Chagall lascerà l’America solo nel 1950 per trasferirsi definitivamente nelle campagne della Provenza, nella sua amata Saint-Paul de Vence, dove morirà nel 1985.
La Russia rimane per Chagall un territorio ricco con il quale instaura una relazione platonica, un amore sofferto e spesso deludente, un legame forte e appassionato che traduce nella sua pittura attraverso una sorta di realismo poetico. Attinge in maniera chiara e ben delineata alla tradizione della favola russa creando una sintassi espressiva perfetta, trasognante, che mescola la tradizione ebraica e cristiano ortodossa a quella più europea, facendo in modo che la propria cifra intellettuale e spirituale, così unica e sofisticata potesse fondersi fino a combaciare.
La Russia è stata in qualche modo custode della pittura di Chagall, un contenitore di memoria personale, la decorazione del Teatro Ebraico di Mosca lo dimostra, ma lascia la sua terra al realismo socialista imperante per nulla a lui vicino.
“Ho portato i miei oggetti dalla Russia; Parigi vi ha versato sopra la sua luce: la lumière-libertè” E in queste poche parole Chagall sintetizza la sua storia e quella della sua Russia.