Fotografi emergenti, colori sgargianti, grandi protagonisti e una nuova location. Nei locali di Superstudio Maxi a Milano si è appena conclusa una delle più note fiere internazionali di fotografia: Milan Image Art Fair. Uomini, donne, oggetti d’arte, design, architetture, questi i soggetti di un’arte che racconta arte. Tanti gli artisti ospiti, molteplici i racconti, infiniti i rimandi pittorici.
Contemporanea, ma dal sapore antico, la fotografia ha subito nel corso del Novecento alti e bassi, soprattutto dopo la nascita di filoni artistici come il cubismo, il simbolismo e l’espressionismo che avevano modificato l’idea di spazio e prospettiva che trovava le sue fondamenta bidimensionali nel sistema artistico rinascimentale.
Quest’arte oggi ritrova la sua funzione concettuale, non di certo legata alla sua eventuale fruizione “da quadro”, grazie a progetti come il Milan Image Art Fair dove l’idea di fotografia come opera d’arte, come testimonianza, capacità di memoria o come approccio culturale viene esaltata e contestualizzata attraverso lavori che articolano conoscenza del passato, del presente o di una visione sapiente del futuro.
Nel 1980 Roland Barthes scrive nel suo libro La camera chiara un’interessante riflessione: “Un giorno, molto tempo fa, mi capitò sottomano una fotografia dell’ultimo fratello di Napoleone, Girolamo. In quel momento, con uno stupore che non ho mai potuto ridurre, mi dissi: ‘Sto vedendo gli occhi che hanno visto l’imperatore’”. Esperienze quindi, per Barthes la fotografia racchiude testimonianze, esperienze, momenti, idee.
La fotografia racconta di corpi, nudità, presenze, così come la pittura del ‘600 attraverso tematiche mitologiche, o la statuaria greco-romana, spostandosi su di una contemporaneità che ha per oggetto la presa di coscienza del se, dell’io, dell’esserci, della scoperta, della presenza del corpo come elemento principale, come un Narciso che si osserva riflesso nelle acque così la fotografia argomenta l’io davanti allo specchio.
La fotografia è connessa a un progetto di citazioni poetiche, manifestazioni di un passato artistico rimodulato e in quest’ultima edizione di MIA il concetto è estremamente chiaro. Veneri tra i fiori, Botticelli VS Monica Silva; nature morte settecentesche come quelle che ricrea Luzia Simons; architetture che ricordano modelli di riproduzione artistica come quelli adottati da Canaletto o Bernardo Bellotto vengono argomentate da Elena Chernyshova o rimandi alla più pura ritrattistica. Reportage metodologici di un passato colto dove la supervisione della pittura è sempre presente, così come possiamo vedere nell’opera dell’artista Julia Schestag. Una donna, un bambino. Il modello iconografico è immediato ma la citazione per nulla scontata e semplice. L’opera prende spunto e idea dalla Madonna Berenson di Domenico Veneziano. Il broccato rosso alle spalle viene sostituito da fiori reali che mantengono lo stesso tono cromatico, la donna è rappresentata a mezza figura e il bambino descritto seduto mentre le porge un bocciolo, allusione al peccato originale, lo stesso gesto che ha ispirato Leonardo nella Madonna Benois. Tutto è perfetto, nulla lasciato al caso, così come la veste rossa della donna che rimanda alla piccola Madonna Cowper di Raffaello. Un’istantanea veloce, un’elegante puntualizzazione del tempo, una pittura nuova, quasi informale, questa è oggi la fotografia.
Uno dei più grandi fotografi del XX secolo, Henri Cartier-Bresson, scrisse: “L’apparecchio fotografico non è uno strumento adatto a rispondere al perchè delle cose, esso è piuttosto un fatto per evocarle”.
- Immagine in apertura:
- Julia Schestag, About responsibility. Courtesy Julia Schestag e Il Rivellino