"Non è il mondan romore altro ch'un fiato/di vento, ch'or vien quinci e or vien quindi,/e muta nome perché muta lato.” É nell’undicesimo canto del purgatorio dove Dante cade in tentazione di superbia alludendo alla propria fama di letterato. Dante fu celebrato quale grande poeta e filosofo già all’indomani della sua morte grazie a degli aneddoti narrati da Giovanni Boccaccio nel suo Trattatello in laude di Dante. Naso ritorto, mento prominente, tratti spigolosi, un profilo inconfondibile. Così Sandro Botticelli celebra il più grande poeta di tutti i tempi, il “padre” della lingua italiana per eccellenza.
Nella raffigurazione del Sommo Poeta, si ispira ai modelli tramandati dall’iconografia tre-quattrocentesca, a partire dall’affresco di scuola giottesca della cappella del Bargello senza dimenticare come lo descrive Boccaccio: “Fu adunque questo nostro poeta di mediocre statura, e, poi che alla matura età fu pervenuto, andò alquanto curvetto, e era il suo andare grave e mansueto, d’onestissimi panni sempre vestito in quell’abito che era alla sua maturità convenevole. Il suo volto fu lungo, e il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labbro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso.”
Un profilo severo, autorevole, dove il lauro poetico, simbolo di gloria, incornicia il cappuccio rosso scarlatto. Il pittore aveva una venerazione sconfinata per Dante. Una passione che lo assorbiva interamente al punto da fargli trascurare ogni altra attività. Racconta il Vasari:“[…] per essere persona sofistica comentò una parte di Dante, e figurò lo Inferno e lo mise in stampa; dietro il quale consumò di molto tempo: per il che fu ragione d’infiniti disordini alla vita sua”.
L’artista realizzò i disegni dei primi diciannove canti della Divina Commedia per le incisioni di Baccio Baldini. Successivamente si mise al lavoro su un progetto grandioso che, presumibilmente, si protrasse per tutti gli anni novanta del Quattrocento. Le novantadue pergamene con le illustrazioni del poema, commissionate da Lorenzo di Pierfrancesco de’Medici e conservate tra Roma e Berlino, testimoniano la sua vera e propria devozione per l’opera.
Un profilo severo, autorevole, dove il lauro poetico, simbolo di gloria, incornicia il cappuccio rosso scarlatto... (Botticelli) aveva una venerazione sconfinata per Dante.
Racconta ancora il Vasari: “Raccontasi ancora che Sandro accusò per burla un amico suo di eresia al Vicario, e che colui comparendo dimandò chi l’aveva accusato e di che; per che essendogli detto che Sandro era stato, il quale diceva che egli teneva l’opinione degli Epicurei e che l’anima morisse col corpo, volle vedere l’acusatore dinanzi al giudice; onde, Sandro comparso, disse: “Egli è vero che io ho questa opinione dell’anima di costui, che è una bestia; oltre ciò non pare a voi che sia eretico, poi che senza avere lettere o apena saper leggere comenta Dante e mentova il suo nome invano ?”. Un ulteriore testimonianza della sua grande devozione.
Un’altro straordinario pittore raffigura Dante, con la stessa ispirazione del Botticelli; Agnolo di Cosimo detto il Bronzino. Tra il 1532 e il 1533, sempre secondo il Vasari, Bartolomeo Bettini , intellettuale fiorentino, commissionò al Bronzino il ritratto del sommo Poeta. Un tributo alla poesia, alla letteratura. Dante viene rappresentato mentre tiene in mano la sua opera più nota, la Divina Commedia. Non guarda lo spettatore ma si rivolge verso il paesaggio alle sue spalle, che altro non è che la rappresentazione dell’inferno:
“Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.”
Tutta l’opera è estremamente fedele al racconto. Dettagliata e semplice.
Il sommo poeta non attira la sola attenzione degli artisti italiani. Eugène Delacroix, pittore francese del XIX secolo, prese ispirazione dall’ottavo canto dell’inferno per dipingere La barca di Dante, dove Dante, appunto, è accompagnato da Virgilio. I due poeti sono rappresentati su di una piccola imbarcazione. Flegias, il custode della palude del quinto cerchio infernale, conduce la barca. Nel dipinto è rappresentata la città di Dite, circondata dalla palude, cinta da mura di metallo incandescente. I dannati che attaccano l’imbarcazione sono iracondi e accidiosi che scontano la loro pena eterna nella palude. Dante alla vista dei dannati che emergono dalla melma sembra intimorito e Virgilio, sua guida, lo conforta. Delacroix scelse strategicamente il soggetto dantesco. L’opera era destinata al Salon di Parigi del 1922 e l’immaginario della Divina Commedia era diventato uno dei temi principali del Romanticismo.
Toni cupi, colori freddi nella maggior parte della superficie della palude e del cielo mentre nel primo piano troviamo colori caldi, dal cappuccio di Dante e dal manto di Virgilio. A sinistra inoltre appaiono i bagliori arancio-rossi dell’incendio che consuma la città di Dite. La luce che rivela i corpi dei personaggi proviene dall’alto, come se la scena fosse raccontata su di un palcoscenico e colpisce in modo radente i panneggi e le anatomie.
Dopo settecento anni dalla sua morte Dante ispira ancora. Un maestro della letteratura che ancor oggi ci offre metafore essenziali, vere e attuali per la vita.
Immagine di apertura: Ritratto di Dante, 1495. Sandro Botticelli