“Re:define the boundaries” è il titolo di questa seconda edizione di Re:Humanism, premio e mostra al MAXXI di Roma (fino al 30 maggio 2021) con dieci opere in mostra che indagano le relazioni tra intelligenza artificiale e nostri futuri. Il titolo scelto dalla curatrice Daniela Cotimbo vuole ridefinire i confini, quelli alla base della nostra esperienza umana come il corpo, l’identità di genere, il rapporto con la natura, con le altre specie viventi, la materia inorganica e noi stessi. “La pandemia ci ha abituati a questo esercizio speculativo, oggi le tecnologie ci permettono di portare la riflessione ancora più in là”, spiega a Domus. “Gli artisti sembrano voler testimoniare che non per forza il progresso tecno-scientifico debba sfociare in pratiche discriminatorie e lesive per la società”. La posta in gioco è alta e non possiamo esimerci da un continuo rinegoziare questi confini.
La costruzione di nuove forme relazionali tra esseri umani e dispositivi tecnologici è un tema sempre più caldo. Siamo sospesi tra fiducia nella tecnologia e desiderio di maggiore trasparenza e conoscenza dei processi tecnologici. Qual è il tuo punto di vista e come si pone davanti a queste ambiguità il tuo progetto?
La tecnologia in sé non è neutrale. Dietro qualsiasi dispositivo tecnologico si cela il lavoro e le volontà di un essere umano. Per tanto tempo ci siamo preoccupati di come l’intelligenza artificiale potesse sviluppare forme di coscienza propria, senza preoccuparci invece di chi la sviluppava ed addestrava. Molte delle opere in mostra, se penso ad esempio ad Epitaphs For The Human Artist dei Numero Cromatico o a The Flute-Singing di Carola Bonfili, sembrano soffermarsi proprio sullo scarto significante tra un linguaggio alieno e macchinico e le necessità dell’espressione umana. Mariagrazia Pontorno, Egor Kraft e il duo Christoforetti & Romy El Sayah ci dimostrano invece che quando questa relazione tra essere umano e artificio tecnologico è posta nei giusti termini ciò che ne scaturisce può davvero portarci a una più approfondita conoscenza del mondo. Dunque riassumendo io penso che non sono le tecnologie avanzate a comportare un problema ma l’uso che se ne fa. Per questo oggi occorre che i governi intervengano nel regolamentare queste pratiche, ma allo stesso tempo dobbiamo sviluppare uno sguardo perspicuo che ci permetta di intuirne gli impatti prima che questi si verifichino. Quello che facciamo con Re:Humanism è moltiplicare le occasioni di riflessione e scoperta in questo senso.
L'esplorazione delle potenzialità narrative e creative dell'intelligenza artificiale è uno dei fili che più emergono dalle opere in mostra. Puoi indicare quali sono i lavori che più declinano questa dimensione e quali sono stati i criteri di selezione dei vincitori?
Quando entri nella sala Corner del MAXXI, dove attualmente è in corso la mostra, vieni subito colpito da una serie di aspetti, primo fra tutti, la molteplicità di approcci, molto diversi tra loro e poi un’apparente assenza della tecnologia stessa. Tutto questo scaturisce proprio dal fatto che ognuna delle opere in mostra porta avanti una narrazione propria che è il frutto di un diverso sguardo sul tema e sui temi legati al mondo dell’AI. Non a caso l’opera dei primi classificati, gli Entangled Others, ci invita ad immaginare nuove forme di coesistenza all’interno delle barriere coralline: il risultato, frutto di un sogno lucido di una rete neurale, è sorprendente. Ancora, il lavoro di Irene Fenara si basa su una narrazione mutuata dall’esperienza, il fenomeno dell’estinzione delle tigri che l’artista rilegge in un tentativo fallimentare di conservarne una memoria digitale. Il collettivo Umanesimo Artificiale rende tangibile e sonifica una mutazione genetica così come Yuguang Zhang ci permette di entrare in contatto con una dimensione intima del proprio essere: il sonno. Proprio questo potenziale narrativo è alla base della scelta condotta dalla giuria di questa seconda edizione, composta per metà da critici e curatori d’arte e per metà da esperti di tecnologie di AI. Proprio questi ultimi si sono dimostrati interessati ad un approccio narrativo capace di andare oltre al sensazionalismo tecnologico.
Qual è stata la risposta del mondo dell'arte alla call di partecipazione al premio? Quali valutazioni e considerazioni emergono dalla seconda edizione?
La risposta è stata enorme, questa volta abbiamo ricevuto il doppio delle proposte rispetto alla prima edizione e siamo riusciti a entrare in contatto con tanti artisti che operano anche fuori dall’Italia. La sensazione generale è che ci sia molta più maturità su questi temi: stanno penetrando nel tessuto delle pratiche artistiche. Il confine tra artista che lavora con le tecnologie e altre forme processuali si sta assottigliando. Più l’AI si trasforma in un linguaggio, più aumenta l’interesse nei confronti di questa tecnologia. Ci prepariamo a una stagione nuova dove le politiche sembrano aver preso delle posizioni nei confronti degli impatti dello sviluppo tecno-scientifico e sta a noi valutare quanto efficaci esse siano. Per questo Re:Humanism non si può fermare.
Che ne pensi del fenomeno NFT e quale futuro vedi per questa dimensione totalmente digitale e automatizzata dell'arte?
La mia posizione è cauta. Da una parte ne sono affascinata in virtù del potenziale di smaterializzazione dell’arte e delle sue dinamiche. D’altro canto, da storica dell’arte devo soffermarmi sul fatto che non è la prima volta che l’arte diventa immateriale, pensiamo all’arte concettuale degli anni Settanta o alle arti performative basate sull’azione temporanea. Se allora colloco questi fenomeni nel tempo riesco ad analizzare le cose con più lucidità e a non scadere in un entusiasmo acritico. Infatti, dietro la rivoluzione digitale degli NFT si celano anche dei pericoli, primo fra tutti l’assenza di una cornice significante che regolamenti il mercato e sia in grado di attribuire un reale valore alle opere, e poi ovviamente il dato ambientale critico emerso proprio dalle ricerche di artisti quali Memo Akten. Come in tutte le cose e specialmente quando si parla di tecnologia occorre uno sguardo critico in grado di restituirci la complessità del fenomeno. Ma è un potenziale tutto da esplorare.
...credo che uno dei problemi che dobbiamo superare sia proprio l’antropocentrismo, l’idea di una presunta gerarchia della nostra specie su tutto ciò che ci circonda.
Biodiversità, identità di genere, coscienza ecologica sono alcuni dei temi indagati dagli artisti in mostra. Come queste tematiche si intrecciano con il desiderio di un nuovo umanesimo e in particolare con le sfide che il tempo pandemico ci mette davanti?
Nuovo umanesimo per me non vuol dire l’uomo al centro delle cose, al contrario, credo che uno dei problemi che dobbiamo superare sia proprio l’antropocentrismo, l’idea di una presunta gerarchia della nostra specie su tutto ciò che ci circonda. La chiave per il superamento di questa prospettiva sembra essere fondata sulle relazioni, ma le relazioni non sono qualcosa di immutabile, la materia stessa al suo stadio molecolare è queer come ci insegna Karen Barad, alla base delle esplorazioni dell’artista Johanna Bruckner. Infine l’agency umana ha compromesso l’idea che la natura sia qualcosa di imperscrutabile e a cui rivolgersi con un senso nostalgico. Allora la chiave sembra essere andare oltre quel nichilismo che attraversa le nostre società contemporanee e rileggere i fenomeni come qualcosa in divenire. Il caro Battiato recentemente scomparso ce lo dice da tempo no? Io lo trovo bellissimo.
Quali programmi futuri e quali prospettive per Re:Humanism?
La portata dirompente di questa seconda edizione ci ha spinti a ragionare in anticipo su come potrebbe essere il futuro di questa iniziativa che, come mi piace sempre ricordare, non è solo un art prize ma è mossa da un’associazione culturale che si prefigge di affrontare questi temi da molteplici prospettive. Sicuramente per quanto riguarda il discorso legato all’arte contemporanea, il mio sogno è trasformare Re:Humanism da qualcosa di temporaneo e con cadenza biennale come è attualmente, in una realtà stabile con eventi a cadenza trimestrale, gettando le fondamenta su Roma.
Immagine di anteprima: Entangled others, Beneath The Neural Waves 2.0, courtesy MAXXI