La campagna elettorale per le presidenziali negli Stati Uniti d’America si fa sempre più calda: spot elettorali, dibattiti televisivi, comizi rispettosi del distanziamento sociale e simpatici meme che si alternano tra l’uno e l’altro candidato. Ma quali le loro politiche? I loro programmi e le loro promesse elettorali? Posizioni e idee in continuo scontro e confronto. Nell’arena linguistica politica, l’arte trova un proprio spazio?
Ambrogio Lorenzetti, grande interprete della scuola senese del XIV secolo, racconta attraverso il ciclo d’affreschi conservati nel Palazzo Pubblico di Siena, gli effetti, attraverso allegorie, del Buono e del Cattivo Governo. Il loro palese senso e significato didascalico occorreva come fonte d’ispirazione ai governatori che si riunivano in quelle sale. Da un lato cittadini che vivono nell’ordine e nell’armonia e dall’altro la stessa città in rovina. Quanti e quali artisti, attraverso il loro pennello hanno trasformato la pittura in manifesti politici? Sostanzialmente l’arte è politica?
La pittura, la scultura, racchiudono quasi sempre, nella loro espressione, un gesto politico: un paesaggio, un ritratto, un’allegoria, diventano racconti di un determinato momento storico e di conseguenza un manifesto, una prima pagina di un giornale di cronaca.
Aristotele affermava che l’uomo è un animale politico, un animale sociale e quindi tutto ciò che produce ne è sua espressione. Il gesto di un artista, nella sua peculiare produzione, è sostanzialmente azione, che si estende oltre lo spazio estetico e si concretizza in un racconto fatto da immagini e materia che spesso denunciano o raccontano una società, un periodo storico, un regnante, un papa e ne fanno un manifesto propagandistico o una denuncia dell’operato del soggetto dipinto.
Nel 1830, il francese Eugène Delacroix dipinge un’opera di grandi dimensioni: La Libertà che guida il popolo. È il 25 Luglio del 1830 e il Re di Francia, Carlo X, decide di far pubblicare delle ordinanze per eliminare la minaccia liberale: sospensione della libertà di stampa, scioglimento della camera dei deputati, e riforma del suffragio per poter favorire l’aristocrazia. In breve tempo il governo diviene pericolosamente oligarchico ed il popolo francese non intende sottomettersi, così impugna le armi e mette a ferro e fuoco la città di Parigi. Dopo tre lunghi e intensi giorni Carlo X è costretto ad abdicare, decretando, attraverso questo suo gesto, la vittoria del popolo.
Delacroix trasforma quei giorni in una perfetta istantanea narrativa, una visione di libertà ed uguaglianza. Marianne, la loro guida, il loro simbolo di libertà, sorregge fiera la bandiera francese e il popolo che la circonda, la incorona con le armi. Il pittore riesce a costruire una piramide emozionale che trova precedenti solo pochi anni prima attraverso il pennello di Thèodore Gèricalut nella Zattera della Medusa, altro noto quadro politico di denuncia sociale. Trionfante e impetuosa la giovane Marianne diviene il simbolo di una politica democratica e popolare, manifesto di un programma tutt’altro che oligarchico. L’opera non è altro che il programma politico del popolo e quindi del pittore.
Il 26 Aprile del 1937 una cittadina basca venne bombardata e rasa al suolo dall’aviazione nazista, intervenuta a sostegno del dittatore spagnolo Francisco Franco. Centinaia tra uomini, donne e bambini vengono uccisi, un massacro ingiustificato di cinica violenza che suscitò, nell’immediato, enorme sdegno presso l’opinione pubblica mondiale. Pablo Picasso decise di raccontare il fatto, trasformarlo con le sue parole, le uniche che conosceva, quelle suggerite dalle tempere e dai pennelli e senza alcuna allegoria intellettuale chiamò l’opera Guernica, il nome della città distrutta da un atto, e da un partito politico, che al tempo andava radunando con successo proseliti. La scena dell’opera si svolge al buio, in uno spazio aperto, una donna con un bambino tra le braccia è descritta in uno stato di disperazione che ricorda l’iconografia cristiana della strage degli innocenti, non dimentichiamo che la stessa produzione di opere che traggono ispirazione dalla letteratura cristiano-cattolica rimangono opere di carattere politico. Seguono guerrieri caduti, cavalli sofferenti e a fatica riusciamo a scorgere l’immagine di una colomba, grigia come lo sfondo, con un ala spezzata e il becco spalancato. Una locandina, un comizio, uno spot elettorale dei primi del ‘900 che urlava a gran voce l’opposizione ai regimi dittatoriali.
E oggi? Chi sono gli artisti politici? Cosa o chi tendono a rappresentare o denunciare? Maurizio Cattelan, Damien Hirst contrastano o assecondano la politica finanziaria internazionale, Banksy protesta attraverso murales: attivisti che fanno politica, di vario genere, attraverso l’arte, che oggi può essere solo considerata per la potenza formale che esprime e non di certo per la loro eccellenza, per la loro maestria.
“La pittura” diceva Picasso “non è fatta per decorare appartamenti. È uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico”
Immagine di apertura: Eugène Delacroix, La libertà che guida il popolo, 1830