Ho sempre provato una grande attrazione per personaggi fittizi e identità collettive. In un epoca in cui tutti rincorrono l’esposizione mediatica e costruiscono in modo impeccabile la propria immagine, mi sembra più interessante voler rimanere nell’ombra, anche se spesso questa strategia è anch’essa usata come strumento di marketing.
Da Luther Blisset a Sault, da MF Doom a Lil’ Miquela, dal Subcomandante Marcos a Tha Supreme, da Banksy a Elena Ferrante, mi piace quando viene progettata un’identità separata da quella del creatore. Come un oggetto di design si può avere il controllo della forma e delle sue caratteristiche, senza intaccare la personalità del designer, lasciando intatte le sue preziosissime incoerenze.
In questa lista di personaggi misteriosi ho recentemente aggiunto quello di un artista, che prende il nome da un pittore del XIX secolo: Fontanesi.
Per chi ancora non lo segue su Instagram, @Fontanesi è una pagina con collages apparentemente basilari, composti dal semplice accostamento di due immagini, tagliate in orizzontale o in verticale. Negli ultimi tempi l’artista anonimo è molto apprezzato anche nel mondo reale, e le sue immagini sono state spesso stampate ed esposte, nonostate il formato ridotto dato dal social network: un grande catalogo pubblicato da Skinnerboox e svariate mostre in giro per l’Europa.
Agli opening e alle presentazioni, ovviamente, Fontanesi non si presenta, e non concede nemmeno interviste. Per la sua ultima mostra “Imprevisti” alla galleria Marsèll Paradise di Milano – boutique di scarpe e spazio espositivo che promuove artisti contemporanei emergenti usando i loro lavori nelle campagne pubblicitarie – ci ho provato, ma senza fortuna. Fontanesi non rilascia dichiarazioni (sigh).
Posso quindi solo passare in rassegna le domande che gli avrei fatto, e immaginarmi i suoi atteggiamenti. Di sicuro se gli chiedi quali sono i suoi riferimenti concettuali e operativi ti risponde che non ce ne sono di precisi, e che tutto è nato quasi per gioco, come sfogo collaterale per la sua sensibilità estetica.
Gli chiederei cosa ne pensa della cultura dei meme, anche se sono sicuro che prende le distanze da quel mondo. Non ne condivide l’estetica, nonostante – da quel che ho letto – usi un semplice strumento di Instagram per fare i suoi collages. Chissà se è uno di quegli alfieri del’antilavorismo che perde tempo facendo i collage in bagno mentre è in ufficio, o in che contesto si trova a lavorare.
Scommetto che lavora in ambito creativo. I suoi esercizi necessitano di uno sguardo allenato. Altra domanda, forse banale, è quella sul rapporto tra arte e social network: Fontanesi, che cosa ne pensi di chi ti descrive con titoli tipo “Fontanesi: l’arte al tempo di Instagram”?
Non so quanto sia utile azzardare analisi sul suo lavoro.
Di interpretazioni audaci ne è già pieno il web. Ma i già citati Luther Blissett scrivevano nel loro manifesto: “Il capitalismo domina le cose e le persone nominandole e descrivendole: ‘Tu sei un Io’. ‘No, io non voglio più essere un Io, voglio essere infiniti Ii!’”. Forse è meglio che esistano mille Fontanesi, ognuno a immagine di chi guarda quei collages.