“Luce Movimento. Il cinema sperimentale di Marinella Pirelli” mette in evidenza l’intenzione del Museo del Novecento di illustrare una risposta artistica di resistenza e superamento di narrative tradizionali (dal 1961 al 1974) mostrando le fessure e le incongruenze di un mondo votato alla trasformazione. Questo percorso espositivo italiano fa seguito alla mostra monografica alla Permanente (Milano, 2003) e a una mostra personale di Marinella Pirelli incentrata sulla sua ricerca sulla luce presentata a Villa Panza (Varese, 2004). La modalità cinematografica di Marinella Pirelli rivaluta con soavità le convenzioni dello spazio filmico ed esplora forme non narrative e alternative a tematiche tradizionali o a precise metodiche di lavoro sull’immagine in movimento. Molti film sperimentali, da lei composti, in particolare quelli meno recenti, fissano un momento di passaggio delle arti, assorbite dall’artista e convogliate in altre discipline, come pittura, disegno, letteratura e poesia, in una ricerca di nuove tecniche. La maggioranza dei suoi lavori è stata prodotta con mezzi primari e con un equipaggio minimo, che talvolta coinvolgeva una singola persona, essendo autofinanziati. Marinella Pirelli nel 1966-67 affermava: “Una volta pensai: se io ricordassi tutto, allora anch’io dovrei avere un pensiero cosciente costante. E così dissi: ‘memorizzerò tutto’, e lo stavo facendo con ogni sorta di elementi che stavano catturando la mia attenzione (fiori, luci, colori, persone, gesti, sensazioni). Questo perché volevo che ogni momento presente fosse totale; io penso sempre a me stessa come a un insieme di tutte le cose che ero e che sapevo, oltre al nuovo momento in arrivo, per non perdere nulla, sempre consapevole che ogni singola cosa è transitoria, persa, finita, immediatamente morta, o meglio, diversa, l’istante successivo. Quindi ecco l’avventura: la realizzazione di un pensiero, l’avvicinarsi del giorno, l’ingresso nell’oscurità.”
Marinella Pirelli. Unconscious Lightness
A Milano, il Museo del Novecento, ospita la prima monografica dedicata al percorso di ricerca di un’artista italiana quasi dimenticata.
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- Ginevra Bria
- 17 maggio 2019
- Museo del Novecento, Milano
foto di Lorenzo Palmieri
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foto di Lorenzo Palmieri
foto di Lorenzo Palmieri
Il Museo del Novecento presenta una vasta selezione di opere dell’artista, legate alla sua produzione nel cinema sperimentale e a progetti di ‘tridimensionalizzazione’ della luce, a partire dal 1961 (anno del suo primo film d’animazione) fino al 1974, quando Marinella realizzò il suo ultimo film Doppio autoritratto, prima di ritirarsi dalla scena artistica per quasi trent’anni. Ora, quasi cinquant’anni dopo quel periodo di silenzio, anche il visitatore della mostra si muove avvolto nell’ombra, attraversando una dozzina di stanze dove le principali fonti luminose provengono direttamente dalle opere. La sensazione è quella di essere immersi in uno spazio primitivo. I suoi film evocativi si basano sull’equilibrio tra colori e forme astratte che provengono tanto da una meditazione sui fenomeni luminosi quanto da una rifrazione della luce, alternandosi a una riflessione intima sull’essere donna e artista. Come molti cineasti e artisti sperimentali, Marinella Pirelli ha iniziato più come amatore, per emancipare la propria personale visione di artista e per promuovere l’interesse verso le nuove tecnologie, piuttosto che per intrattenere o generare reddito personale. Come cineasta sperimentale dall’Italia negli anni Sessanta e Settanta, le esplorazioni di luce e movimento di 16mm di Marinella Pirelli sono rimaste in uno scantinato buio per oltre quarant’anni ed esposte solo di recente. È stata una delle poche artiste italiane a lavorare nel cinema sperimentale e le sue opere rigenerano diverse tematiche legate al corpo, allo sguardo e al rapporto con l’apparato cinematografico, come evento di proiezione. Questa selezione dei suoi lavori mette in discussione i paradigmi della nascita di paesaggi di immagini e il loro rapporto con le convenzioni narrative e cinematografiche. È necessario, in questa rosa, includere: Il lago, soggettivo-oggettivo (1965), Narciso (1966), Indumenti (1967) e Appropriazione, una propria azione, azione propria (Sole in mano, 1973), includendo anche una selezione di testimonianze provenienti dall’archivio Pirelli, tra cui documenti, lettere, progetti e fotografie di vari artisti come Gianni Berengo Gardin, Fabio Donato e Ugo Mulas.
A Milano, i visitatori, sottoposti all’esperienza di attraversamento di dieci sale, come se fossero dieci sezioni diverse, esplorano la carriera dell’artista attraverso un percorso tematico e cronologico, concentrandosi sulle componenti principali del suo lavoro filmico, sul contesto storico della sua vita e sui suoi rapporti artistici. Appropriazione, una propria azione, azione propria (Sole in mano, 1973) apre i percorsi espositivi. In questo film, la mano dell’artista, come se fosse la cortina di un’opera teatrale, invita il visitatore nello spettacolo. Nel film la visione del paesaggio naturale viene continuamente bloccata dalla mano del regista; a volte la mano blocca solo la vista, mentre a volte cerca di afferrare la forma del sole abbagliante. Questo lavoro riassume l’approccio ricorrente della produzione dell’artista basato sui principi categoriali delle opposizioni: da un lato, c’è l’eleganza delle luci e il lirismo delle forme naturali, dall’altra l’intensità della distruzione e dello strappo. Un’intera sala della mostra è dedicata agli studi di Marinelli sulla presenza del corpo femminile all’interno del contesto artistico. Questi lavori risalgono alla metà degli anni ’60, dopo il suo incontro con Carla Lonzi, intellettuale femminista e critica d’arte.
In Narciso, realizzato tra il 1966 e il 1967, l’artista riflette sulla sua identità di donna, madre e artista. Nonostante la sua lunga carriera, spesso segnata dal successo come pittrice, il potenziale innovativo di Marinella Pirelli convergerà sempre nel suo lavoro sull’immagine in movimento. Nei primi anni ’50, infatti, mentre lavorava come animatrice e illustratrice presso Filmeco, iniziò a dedicarsi ai materiali cinematografici e alle tecniche cinematografiche. Tuttavia, fu solo nella seconda metà degli anni ’60 che Marinella scelse consapevolmente e lucidamente il film come suo principale mezzo artistico, proprio come riportato quasi analiticamente nei suoi ricordi. Lo stesso si può dire della serie di sculture successive chiamate Meteore (1969-71), cornici in alluminio che racchiudono pannelli colorati e semitrasparenti. Su di loro una sorgente luminosa e mobile posta di fronte crea un gioco di luci con forme geometriche, provocando l’illusione di un monitor illuminato.
In questo modo, Meteore non solo mette in discussione la presunta fissità di immagini simili, ma esprime anche il desiderio dell’artista di cercare nuovi modi di relazionarsi all’opera, di spingere il visitatore a entrare in contatto con installazioni al di fuori del classico concetto di mostra d’arte. Creato in un’epoca in cui la pratica artistica di Pirelli si spostava dalla pittura figurativa all’esplorazione della luce, del colore e del movimento, Meteore è un’opera d’arte potente e innovativa. Essa documenta la convinzione che la percezione della luce e del movimento è ciò che definisce un’opera d’arte, pensiero nato dall’osservare gocce di rugiada su un petalo di fiore. Proprio al centro di “Luce Movimento. Il cinema sperimentale di Marinella Pirelli”, le curatrici Iolanda Ratti e Lucia Aspesi valorizzano con grande definizione la ricerca di Marinella Pirelli su luce, natura e colore. Dal film Bruciare, che richiama la frase di Pasolini “Fare cinema significa scrivere su carta bruciata”, alla serie su carta Caos e Colore (1972), vengono infatti introdotte nuove riflessioni sui concetti di positivo, negativo e segno – sia esso disordinato o ordinato, pianificato o istintivo – per spiegare la genesi a priori di un’opera d’arte.
- Luce Movimento. Il cinema sperimentale di Marinella Pirelli
- Dal 22 marzo al 25 agosto 2019
- Iolanda Ratti e Lucia Aspesi
- Museo del Novecento
- Piazza del Duomo, 8, 20123 Milano