Il campionario degli incubi umani di Nathalie Djurberg e Hans Berg al MART

Corpi malfatti, occhi strabuzzati, scheletri, vermi, abusi, sopravvivenza, zoofilia e perversioni di varia natura accompagnano il visitatore per tutta la mostra dei due artisti svedesi a Rovereto.

“Sì voi siete perduti, sì, state affogando in occultamenti e scuse, i vostri piedi affondano nel fango e state combattendo e lottando. Trascinate quelle scarpe infangate nella stanza, e sì siete i benvenuti, lo siete sempre stati, questa è la vostra casa, il vostro tempio, questo è tutto per voi. Questa è una celebrazione.” È con questo testo introduttivo pubblicato all’inizio della guida alla mostra (già passata dal Moderna Museet di Stoccolma, ora visitabile fino al 27 gennaio al MART di Rovereto, per poi approdare alla Schirn Kunsthalle di Francoforte) che ci accolgono sulla porta Nathalie Djurberg (artista visiva, classe 1978) e Hans Berg (musicista e compositore, classe 1978). 

Varcata la soglia, però, l’impatto visivo è quello di un mondo sgargiante, coloratissimo e apparentemente allegro che fa scordare per un istante (solo uno) il messaggio di benvenuto rivolto al lato più oscuro di noi. Ma abbandonato lo sguardo d’insieme gli occhi iniziano a soffermarsi sui dettagli delle sculture, sulle proiezioni, le orecchie captano il suono che pian piano ipnotizza il corpo e s’intuisce che quel versante occulto è già in azione: sulle pareti scorrono sangue e violenza, manie di possesso e corpi dalle fattezze grottesche, mentre la stanza è gremita di uccelli che ad un’analisi più accurata appaiono quasi mostruosi, tutti elementi che ricompaiono con varie declinazioni da qui fino alla fine del percorso espositivo.

Nathalie Djurberg & Hans Berg, I Wasn’t Made to Play the Son, 2011,  stop motion animation, video, music, 5:57 min,  © Nathalie Djurberg & Hans Berg / Bildupphovsrätt 2018
Nathalie Djurberg & Hans Berg, I Wasn’t Made to Play the Son, 2011, animazione stop motion, video, musica, 5:57 min, © Nathalie Djurberg & Hans Berg / Bildupphovsrätt 2018

Gli esempi di mostruosità nella storia dell’arte sono moltissimi dai più ovvi gargoyle delle cattedrali gotiche, ad affreschi memorabili come il Trionfo della Morte di Palermo, il Giove ed io di Correggio, piuttosto che l’infinito repertorio di dannati e demoni che compaiono per esempio nei Giudizi Universali, ma ci sono anche le raffigurazioni degli incubi come il celebre dipinto di Johann Heinrich Füssli, tanto per citarne alcuni in ordine sparso. In questo caso, gli occhi stralunati di certi personaggi, i fiotti di sangue e le fattezze grossolane fanno tornare alla mente uno dei cicli più inquietanti della storia dell’arte europea: le pitture nere della Quinta del Sordo di Francisco Goya.

Eppure, c’è qualcosa in questo senso di turbamento messo in scena dal duo svedese che non torna, perché in Goya a dare vita all’orrore contribuiscono indiscutibilmente appunto anche le tinte tenebrose. Qui, invece, assistiamo a uno stridore dissonante tra le tonalità gioiose da plastilina per bambini che veicolano un messaggio totalmente in contrasto con le forme e le azioni dei protagonisti di queste storie, ma anche con le atmosfere che la musica costruisce nelle sale ed è forse questo ciò che ci attrae irresistibilmente verso i mondi terrificanti di Nathalie Djurberg e Hans Berg, fatti di orrori indicibili, se non in questa forma ricostruita, artificiale e per certi versi volutamente infantile.

Nathalie Djurberg & Hans Berg, Exhibition view, MART, 2018
Nathalie Djurberg & Hans Berg, veduta della mostra, MART, 2018. Courtesy Mart, foto Jacopo Salvi

Dalla seconda sala ci s’inizia a inoltrare nel buio da cui sono circondati i monitor che presentano le prime opere della Djurberg che a quel tempo iniziava la sua collaborazione con Berg solo ad animazione terminata. Da qui in poi le tenebre non faranno altro che amplificare la brillantezza dei colori, che sembrano continuare a gridare felicità nel bel mezzo di un festival degli orrori. La sinfonia di corpi malfatti, occhi strabuzzati, scheletri, vermi, abusi, sopravvivenza, zoofilia e perversioni di varia natura prosegue per tutta la mostra. Il campionario degl’incubi umani non poteva certo non entrare nel profondissimo territorio delle relazioni madre-figlio, così dentro a una gigantesca patata (The Potato, appunto) si assiste al dramma di una madre i cui figli rientrano dentro di lei o a quello di una figlia schiacciata dal peso (reale) della propria madre obesa e malata. 

Nathalie Djurberg & Hans Berg, veduta della mostra, MART, 2018
Nathalie Djurberg & Hans Berg, veduta della mostra, MART, 2018. Courtesy Mart, foto Jacopo Salvi

Il nostro affannarci tra disturbanti video che hanno come protagonisti infanti in lacrime in attesa di un aiuto che non arriverà mai, donne-drago disperate, esseri bestiali frustrati e soli, corridoi dalle porte infinite che si aprono su altri corridoi identici, come nel peggiore dei labirinti, preziosi oggetti fallici, topi, gatti e uccelli seduti attorno a tavole imbandite e imbrattate dalla loro stessa bestialità, conosce solo due pause: a metà strada in una stanza nella quale lasciarsi andare al suono contemplando le forme flessuose e astratte che ci fluttuano attorno e alla fine con un’opera interattiva nella quale attraverso la realtà virtuale finiamo a casa di un lupo in una foresta per poi uscire solo passando per le origini, nostre e delle nostre ossessioni.

Anche se non urlano come i colori, le composizioni sonore ci accompagnano per tutta la mostra ed è come se c’indicassero la strada, indirizzando il nostro sentire. D’altra parte, che la musica avesse un potere enorme nel costruire attorno a noi un ambiente magnetico lo sapeva già Sant’Agostino che nelle Confessioni parla dei “piaceri dell’udito”, capace d’impigliare e soggiogare gli animi al punto di prendere il sopravvento sulla ragione.

Titolo:
Nathalie Djurberg & Hans Berg
Date di apertura:
6 ottobre 2018 – 27 gennaio 2019
Sede:
Mart Rovereto, corso Bettini 43, Rovereto (Trento)
Curatori:
Lena Essling, Gianfranco Maraniello

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