La storia del Novecento e delle sue più innovative avanguardie occidentali è intrinsecamente legata al passato più antico e all’arte di maestri senza nome provenienti dalle culture lontane dell’Europa. In scritti come la Scoperta delle arti cosiddette primitiveTristan Tzara, già negli anni Venti, indagava il contributo essenziale dell’arte africana e di altre civiltà nelle forme avanguardistiche del secolo breve. Non solo l’Africa, ma anche l’Oceania, l’estremo oriente e le culture del Mediterraneo diedero quella spinta verso il nuovo che paradossalmente proveniva dal passato e dalle forme più archetipiche.
Di questi dialoghi cruciali è un chiaro esempio il lavoro di Josef Albers (Bottrop, Germania, 1888 – New Haven, Connecticut, 1976) al quale la Fondazione Peggy Guggenheim di Venezia dedica questa bella mostra che ricostruisce il viaggio di Albers verso quella “terra promessa dell’arte astratta” che fu il Messico, visitata ripetutamente dall’artista a partire dai primi anni Trenta.
Albers fu pittore, grafico e designer, studiò e poi insegnò al Bauhaus contribuendo in modo decisivo alla formulazione di quel linguaggio astratto fortemente geometrico dal quale poi germinarono la Op-art e la Minimal Art. Tale rigorosa concezione spaziale testimoniata dalle sue note serie, come Omaggio al quadrato(1950-1976), Variante/Adobe(1947-1952), è stata opportunamente affiancata in mostra a opere su carta e a un'estesa selezione di collage e composit fotografici (alcuni dei quali mostrati prima solo al Guggenheim di New York) che testimoniano la sua intensa ricerca e documentazione con ciò che in Messico rimase dell’arte precolombiana. Cartoline, biglietti dei siti archeologici, riviste e quant’altro l’artista raccolse costituirono veri e propri oggetti di studio: probabilmente più che l’esperienza tridimensionale, quelle immagini fotografate rappresentarono modelli coi quali confrontarsi costantemente. Nell’ampia selezione di fotocomposizioni spiccano alcuni esempi finora inediti come gli scatti al Monte Albán(1956) che, se da un lato hanno ispirato la famosa serie di composizioni serigrafiche Monte Albán 13/30, dall’altro si presentano ai nostri occhi come un preludio alle opere fotografiche che gli artisti della Land Art esporranno 20 anni dopo, testimoniando dunque un approccio innovativo, ancora poco studiato nell’opera di Albers, d’impiegare il medium fotografico.
Study for "Homage to the Square: Closing"
Study for "Homage to the Square: Consent"
Untitled (Great Pyramid, Tenayuca, Mexico)
Untitled (Uxmal, Mexico)
I vasti spazi del Messico e l’imponente scala dei monumenti Maya sollecitarono nella mente dell’artista tedesco il tema fondamentale dello spazio e della sua configurazione. Non vi è niente di esotico, di remoto o metafisico nello sguardo di Albers: la realtà è lì davanti ai suoi occhi e ciascun oggetto, dal più piccolo al mastodontico, impone una riflessione attorno al tema dello spazio e dei rapporti formali che intercorrono tra gli elementi che lo definiscono.
Non stupisce quindi imbattersi in vere e proprie dissertazioni teoriche di Albers attorno ai principi spaziali che sottendono a ogni immagine scattata o rilevata da altre fonti nelle sue numerose lettere, così come nel ponderoso lascito teorico che fece di Albers uno dei docenti più incisivi del Bauhaus (e poi in America al Black Mountain College e a Yale) nell’educare generazioni di artisti alle regole della composizione e del colore.
È proprio il colore del resto, l’altro grande tema che permea tutta l’opera di Albers e in particolare il suo intenso legame con l’esperienza messicana: difficile immaginare infatti simile cromie nella Germania tra le due guerre, quanto invece è spontanea e suggerita in infinite occasione nelle espressioni naturali e culturali dei territori sudamericani. Al di là degli iconici Homage to the Square(esposti qui in diversi splendidi esemplari dai colori caldi), vi sono altre piccole ma straordinarie testimonianze della sensibilità di Albers verso il colore, come l’olio su carta non datato Study for a Variant/Adobe,che si può facilmente avvicinare all’opera di un grande maestro dell’architettura; il messicano Luis Barragán, amico di Albers, che negli stessi anni stava imprimendo lo stesso rigore formale e cromatico per la realizzazione delle sue architetture.
Lo stesso Albers che insieme alla moglie Anni sperimentò svariate tecniche e applicazioni della propria arte, sembra descrivere nei suoi piccoli dipinti motivi e pattern ripetuti ossessivamente come per individuare quei principi fondamentali di una nuova modulazione dello spazio, espressa in bassorilievi, oggetti tessili, e opere murarie in una forma completamente mondata da ogni leziosità o esotismo: in tal senso superando anche i limiti decorativi dei famosi textile block inventati negli stessi anni da Frank Lloyd Wright, che anch’egli recuperò dall’arte della Mesoamerica. Completa la mostra l’ottimo catalogo con testi della curatrice Lauren Hinkson e dello storico dell’arte Joaquín Barriendos, che rappresenta un importante oggetto di studio per questo segmento cruciale dell’opera e della vita di Josef Albers.
- Titolo mostra:
- Josef Albers in Messico
- Curatrice:
- Lauren Hinkson
- Date di apertura :
- 19 maggio – 3 settembre 2018
- Sede:
- Peggy Guggenheim Collection, Venezia