“Lo sa cosa fa Carsten nel tempo libero a casa sua in Ghana? Cattura gli uccelli di passo con le reti, li pesa, gli mette un piccolo anellino alla zampa per poterli riconoscere e poi li libera. Monitorare specie e migrazioni per lui è un’attività assolutamente normale”. Così racconta Stefano Mancuso, neurobiologo e massimo esperto d’intelligenza delle piante. Il professore è stato invitato dal tedesco Carsten Höller a intrecciare arte e scienza in un esperimento che ha trasformato Palazzo Strozzi in un eccentrico laboratorio.
Funghi, scivoli e piante di fagioli. Carsten Höller a Firenze
Carsten Höller racconta come, complice il neurobiologo Stefano Mancuso, è riuscito a trasformare Palazzo Strozzi in un eccentrico laboratorio.
View Article details
- Beatrice Zamponi
- 11 maggio 2018
- Firenze
Il solido background scientifico di Höller è da sempre parte integrante del suo lavoro; l’artista è stato ricercatore di entomologia con un dottorato in fitopatologia. Nel suo articolato percorso si è interessato a una diversa possibilità di percezione del reale, spesso attraverso l’uso di macchine ludiche e destabilizzanti. Celebri sono le sue giostre rallentate che offrono prospettive inconsuete sull’ambiente circostante e i monumentali scivoli definiti da lui stesso “dispositivi del buon umore” per la capacità di modificare gli stati d’animo dei fruitori. E ancora le installazioni di letti mobili che permettono di dormire in condizioni inesplorate fino a complesse opere come Soma: dove una colonia di renne siberiane mangia funghi allucinogeni innescando una riflessione sui riti sciamanici di antiche popolazioni nomadi.
Höller considera il suo lavoro incompiuto fino a quando non viene fruito e modificato dall’esperienza del pubblico. Lo stesso museo, per l’artista non è più uno spazio statico, nel quale semplicemente mostrare opere, ma un luogo di accadimenti e trasformazioni, dove è la relazione e l’interazione con lo spettatore e tra gli spettatori a completare la ricerca; proprio come in questo esperimento fiorentino. Due grandi scivoli totalmente autoportanti campeggiano nel cortile di palazzo Strozzi; una spirale doppia da cui i visitatori sono invitati a lanciarsi avendo fissata al torace una piccola piantina di fagiolo. Durante la discesa, lo stato di paura, spaesamento, eccitazione e divertimento del visitatore viene tradotto in una reazione fotosintetica della pianta che sarà poi analizzata. In contemporanea, nei sotterranei del palazzo, due cinema speculari proiettano spezzoni di film; in una sala sequenze comiche nell’altra horror. Attraverso un articolato sistema di condutture, l’aria respirata dai visitatori nei due ambienti verrà irradiata sulla facciata del palazzo dove sono stati piantati tralci di glicine. Le piante respireranno l’odore della paura e della gioia umana e decideranno in che modo reagire a questo stimolo. L’edificio viene dunque trasformato in una grande macchina scientifica, un diagramma che studia la complessa e ancora ampiamente sconosciuta relazione tra l’uomo e le piante.
Palazzo Strozzi è uno dei simboli del Rinascimento italiano, noto come eccezionale esempio di simmetria. Che cosa l’ha spinta a inserire in questo rigoroso contesto una forma di rottura così estrema?
Volevo che tutti gli elementi di fissità del palazzo, il fatto che fosse lì da centinaia di anni, la sua fisionomia massiccia, la sua importanza storica venissero, in un certo senso, stravolti. Quando fai la discesa, il palazzo sembra ballare intorno a te, si produce quasi un’allucinazione e, per pochi secondi, quell’imponente colosso perde la sua solidità.
Anche in questo nuovo progetto il dualismo è un tema nodale: gli scivoli sono due come anche i cinema. Il suo lavoro è sempre pervaso da una sorta di relazione antagonistica…
Il tema del doppio è un metodo, un sistema che puoi ripetere all’infinito. Mi piace presentare allo stesso momento cose diverse che non impongono una scelta perché sono lì entrambe. Per esempio, cresciamo con due genitori, non c’è bisogno di scegliere, quando nasci ne hai due. Solo dopo nella vita ci viene detto che dobbiamo scegliere, è una questione culturale, ma non essenziale. Personalmente amo vivere su due fronti, evitando espressamente ogni forma di contaminazione, a interessarmi è piuttosto la coesistenza.
Il professor Mancuso parla della necessità di una nuova rivoluzione copernicana, dove l’uomo perda la sua posizione dominante rispetto agli altri esseri viventi per ritrovare il suo giusto posto all’interno di un sistema di ruoli egalitario.
Sul piano evoluzionistico il concetto di migliore è un assurdo, si parla invece di capacità di adattamento. Noi come specie umana abbiamo avuto successo in un periodo di tempo molto breve, ma non significa che avremo la stessa riuscita nel sopravvivere sulla Terra in una scala evoluzionistica di 5.000 anni. L’uomo non è più intelligente delle piante; non c’è una specie migliore o peggiore tra gli esseri viventi, esistono solo specie diverse, è proprio questo concetto a interessarmi.
Lei individua nell’incomprensibilità del mondo vegetale il nodo di questa ricerca, perché?
Perché è molto più interessante focalizzarsi su ciò che è fuori dalla nostra portata piuttosto che su ciò che conosciamo. Il funzionamento degli organismi vegetali è inimmaginabilmente lontano dalla nostra comprensione. Ed è un errore pensare che con i giusti sforzi nella ricerca scientifica e tecnologica prima o poi arriveremo a capirlo interamente.
L’arte in questo senso può essere un mezzo migliore per esplorare la realtà?
L’arte ci pone davanti qualcosa che non possiamo veramente decifrare, comprendere o possedere; ma attraverso lo stupore ne intuiamo la complessità. La stessa reazione la provoca l’osservazione di un essere così diverso e sconosciuto come un vegetale. Che cosa significhi veramente essere una pianta, un cane e perfino noi stessi rimane in ogni caso un mistero.
Perché avete scelto il glicine e il fagiolo?
Il glicine è un rampicante forte, non ha bisogno di molte cure e ha una magnifica fioritura. Il fagiolo è la più comune pianta da laboratorio. Portarlo nella discesa sullo scivolo vicino al grembo e proteggerlo per qualche secondo è un’esperienza che può lasciare una traccia nella nostra memoria, permettendoci, auspicabilmente, di guardare in seguito una pianta con occhi diversi.
Il concetto di doppio è talmente radicale nel suo pensiero da essere diventato anche una scelta di vita materiale; lei vive tra Svezia e Africa, due realtà totalmente antitetiche: caldo e freddo, luce e buio…
Nel 2008 avevo realizzato a Londra il Double Club, un locale diviso in due, una metà pensata secondo gusto occidentale e l’altra secondo tradizione congolese, le opposte realtà convivevano senza mischiarsi. Questo vivere tra Svezia e Ghana è un po’ come fosse il mio personalissimo Double Club; la mia doppia vita. Sono arrivato in Africa prima in Benin nel 1995, poi in Ghana nel 1998, lì ho deciso di costruire una casa, mentre in Svezia più tardi, dal 2000. La gente mi chiedeva con aria perplessa perché fossi andato a vivere in Svezia... Io rispondevo: perché mi sono da poco trasferito in Africa! Questo dualismo mi è necessario.
La sua celebre opera Upside Down Mushroom Roomè stata recentemente reinstallata nella torre della Fondazione Prada. I funghi sono organismi ricorrenti nel suo lavoro e si ricollegano al tema dell’inconoscibile che sottende questo suo ultimo progetto fiorentino…
Il fungo rappresenta il massimo dell’incomprensibilità. Ha una forma molto specifica, spesso dei colori sgargianti, come l’Amanita muscaria, il noto fungo rosso a puntini bianchi. Alcuni funghi sono estremamente psicoattivi per l’essere umano, altri molto piacevoli al gusto o gravemente tossici, ma il perché ci è totalmente ignoto e per quello che sappiamo, non c’è nessuna spiegazione legata al suo adattamento che giustifichi queste bizzarre caratteristiche. Forse i funghi possono addirittura vederci e noi lo ignoriamo… Sono un totale mistero. Comunque non ho scelto io il fungo, è avvenuto piuttosto il contrario.
In che senso?
Dovresti chiederlo al fungo.
- The Florence Experiment Un progetto di Carsten Höller e Stefano Mancuso
- 19 aprile – 26 agosto 2018
- Arturo Galansino
- Palazzo Strozzi
- piazza Strozzi, Firenze