“Non credo che la nostra arte sia utile nel senso che realizziamo oggetti funzionali: non usiamo le luci perché vogliamo illuminare una stanza” Lonneke Gordijn e Ralph Nauta, in arte Studio Drift, raccontano “Coded Nature”, retrospettiva inaugurata il 25 aprile allo Stedelijk Museum di Amsterdam e dedicata alla loro opera omnia, duo di designer/artisti/performer olandesi. Sono partiti come designer - diplomandosi nella scuola di design di Eindhoven, molto liberal e creativa, di respiro montessoriano – facendo, come nella migliore tradizione, sedie (esposte in mostra, si veda la foto gallery, del 2008). Negli anni, i due hanno trovato una identità eclettica (“non sono più designer, ma hanno la precisione tecnica e l'attenzione per il dettaglio dei designer”, dice la curatrice Ingeborg de Roode), e creano delle installazioni servendosi di altissima tecnologia, interessandosi non già alla utilità pratica, ma “all' offrire emozioni”. Una utilità più amplia, estetica, di spersonalizzazione: le loro installazioni sono esperienze.
Sospesi tra la precisione del design e la techne, studiando la relazione tra l’uomo la natura e la tecnologia, Studio Drift offre una propria visione del mondo. Positivista, votati alla parte buona della tecnologia (intesa come pharmacon). Lo dice Ralph Nauta quando parla dei social media. È di qualche giorno lo scandalo Cambridge Analytica, la società che ha sfruttato il Facebook per aver accesso a oltre 50 milioni di profili di utenti americani. Tutti ci siamo sentiti vulnerabili e impoveriti di un diritto fondamentale e che ci rende liberi: avere dei segreti. (E a dire il vero tutto questo lo aveva previsto e visto Jonhatan Franzen nel suo ultimo romanzo, Purity). Questo caso fa riflettere in generale su come sia difficile essere positivi nei confronti della tecnologia. Ralph Nauta risponde che si deve essere critici e vedere il buono. “Bisogna risalire all’inizio del social media, ai primi passi. Il fine ultimo è una grande tecnologia, avvicinare le persone" Da questa visione nasce Drifter, esposto nella sala più grande.
Futuristico perché inventato 500 anni fa, ma metafisico nelle sembianze, se lo si vede installato in un prato verde (in video), è un cubo di cemento di 2 metri X 2 metri X 4 metri, esposto per la prima volta alla Armory Show di New York, che si muove nell'aria. “Quello che è veramente importante nel nostro lavoro è che si deve fisicamente provarne l'esperienza, non è solo una foto da mettere su Instagram: è la realtà versus il mondo digitale”, spiega Lonneke Gordijn. Nella sala a fianco un video lo vede raggrupparsi e installato ad altri cubi, in un paesaggio celtico, a volte urbano, a volte fiabesco. L’ispirazione è Utopia di Tommaso Moro del 1516 “descrive dei cubi di cemento: al tempo non era possibile, mentre ora lo è. Era l’inizio, immaginare un mondo come è ora, di blocchi di cemento”.
Questa fiducia nel possibile: rendere possibile ciò che non è possibile (come dice la curatrice) apre l'immaginazione e la vita degli uomini a nuovi orizzonti. Nella loro opera si fondono sin dall'inizio le due personalità: quella di Lonneke, interessata più al mondo naturale (si veda Meadow del 2018) e quella di Ralph Nauta, che si ispira molto alla letteratura di fantascienza (in inglese per traduzione dice: sci-fiction). “Parlandoci siamo riusciti a trovare dei punti in comune tra questi mondi, e abbiamo cominciato a influenzarci l'uno con l'altro. Camminando nello show si possono vedere le relazioni tra questi due poli”, dice Ralph Nauta
Interessanti anche l’umanità e le strutture sociali tradotte in cubi. Lo si vede non solo in Drifter, ma nell’ultima eccezionale sala dal titolo “Materialism”, del 2018, dove si svolge l’intervista video, in cui la realtà si “materializza” in cubi che sono il numero di componenti che servono per creare un oggetto. Una bottiglia di acqua, una sedia, un maggiolino Volkswagen, una luce led. “I blocchi che si vedono così di frequente nelle nostre opere sono come l’umanità cerca di organizzare la propria vita, il mondo e come costruiamo”.
Ogni opera installata è pensata appositamente per il luogo in cui è posizionata. “Con le nostre opere non cerchiamo di evadere dalla realtà, piuttosto vogliamo offrire una visione di quello che vorremmo che fosse il mondo”. C'è anche la più grande esposizione interna di “Fragile Future”, uno sciame di Led disegnati con precisione e lentezza per raffigurare il fiore del tarassaco. Esposta poi Concrete storm del 2017, che usa la tecnologia della realtà aumentata e Tree of Ténéré. Dei fiori accolgono l’ingresso delle scalinate, si tratta di Meadow. Sì: è vero che non c'è utilità funzionale in tutto questo, ma l’esperienza della mostra in sé offre un ritorno all’infanzia (o al sauvage privo di memoria e struttura, libera interpretazione di chi scrive). “La funzione del nostro lavoro” spiega Lonneke “è di creare esperienze e di fare in modo che le persone siano connesse con le emozioni, piuttosto che con ‘’intelletto”. Ralph Nauta conclude: “Una volta che interagisci con l'opera dimentichi chi sei: la personalità. Ti apri e puoi provare l’esperienza come un bambino. È questo il nostro obiettivo, e quello in cui speriamo”. E, se può non essere utile o funzionale come una stanza ben illuminata, noi visitatori facciamo esperienza di questa mostra per ritornare a essere quei bambini che (forse) non siamo mai stati.
- Titolo:
- Studio Drift: Coded Nature
- Curatrice :
- Ingeborg de Roode
- Museo:
- Stedelijk
- Date di apertura:
- 25 aprile - 26 agosto 2018
- Indirizzo:
- Museumplein 10, 1071 DJ Amsterdam