Dan Flavin: le temperature del bianco

La Galleria David Zwirner raccoglie le sperimentazioni più radicali dell’artista americano sui tubi fluorescenti: tutti bianchi ma diversi, secondo la temperatura della luce.

Dan Flavin

Nel 1963, dopo varie sperimentazioni con diversi formati, Dan Flavin decide di dedicarsi unicamente all’installazioni di tubi fluorescenti prodotti industrialmente e disponibili in commercio, prevalentemente colorati, di lunghezza variabile tra i 2 e gli 8 piedi e 12 pollici di diametro. L’utilizzo di un unico medium nelle sue variazioni di colore permette a Flavin di concentrarsi sulla luce come elemento di manipolazione dello spazio, processo che approfondirà coerentemente (e incessantemente) fino alla sua morte.

La mostra nella galleria David Zwirner a New York è un’occasione per rintracciare l’origine delle sperimentazioni radicali di Dan Flavin nelle sue opere bianche realizzate dal 1963 fino agli anni Settanta, un decennio fondamentale nella ricerca dell’artista. In questo periodo, Flavin crea l’alfabeto che userà in modo sempre più articolato nelle sue opere successive, impiegando tubi fluorescenti bianchi di diversa gradazione definita dalla temperatura della luce: cool white (bianco freddo), daylight (luce diurna), warm white (bianco caldo), e soft white (bianco morbido, una variazione del bianco caldo). E scopre anche il rapporto tra elemento architettonico e luce.

Quella fluorescente utilizzata da Flavin non funziona come qualsiasi lampada a elettricità: contiene un mix di gas che al passaggio di corrente elettrica emette radiazioni con cui il materiale fluorescente (fosforo) che ne ricopre la superficie interna reagisce, emettendo a sua volta luce. Diversi colori corrispondono alla diversa composizione chimica del fosforo. “Ognuno dei colori che si trovano in commercio ha uno specifico effetto che si può equilibrare solo in relazione alle altre luci. Durante la sua carriera Flavin ha esplorato ogni nuance di questo set molto limitato di potenziali variazioni, inclusa la giustapposizione di bianchi di diverse temperature di colore”.

Il titolo della mostra, “Dan Flavin: in daylight or cool white”, cita uno scritto di Flavin pubblicato su Artforum nel dicembre del 1965, dove l’artista annota osservazioni autobiografiche e riflessioni sulle sue prime sperimentazioni. “Cos’è stata l’arte per me? In passato, l’ho conosciuta (essenzialmente) come una sequenza di decisioni implicite atte a combinare le tradizioni della pittura e della scultura in architettura con il gesto di definizione dello spazio per mezzo l’elettricità”.

In queste prime opere la manipolazione spazio-luce avviene in maniera minima, ma già molto efficace e sapientemente calibrata. In un primo gruppo di opere in mostra Flavin affronta il tema del rapporto con la parete in pochi gesti: la diagonale di quarantacinque gradi di un singolo tubo fluorescente di bianco morbido in Diagonal of May 25, 1963 (to Constantin Brancusi) dedicata a Brancusi e la sua totemica Endless Column; una sequenza di cinque tubi di luce diurna in the nominal three (to William of Ockham) del 1963; l’alternanza di moduli di luce bianca fredda e diurna alla base della diagonale in alternate diagonals of March 2, 1964 (to Don Judd).

Nelle numerose varianti di “monument” for V, Tatlin (di cui tre in mostra) sperimenta con la scomposizione e ricomposizione di moduli al neon a luce fredda e dà vita a vere e proprie sculture fluorescenti. In untitled, del 1966, untitled (to Cy Twombly) 2, del 1972, dispone coppie di tubi in diagonale sull’angolo della stanza. Con Untitled (to Helen Winkler) del 1972 termina la progressione con la costruzione di un quadrato luminoso che racchiude, annullandolo, l’angolo stesso. L’unico intervento sulla superficie orizzontale è Untitled del 1964, un arco curvilineo di sette neon che si stacca dalla parete per allungarsi al centro della stanza, una composizione usata raramente da Flavin.

Vista della mostra “Dan Flavin: in daylight or cool white”, David Zwirner, New York, 2018. © 2018 Stephen Flavin/Artists Rights Society (ARS), New York. Courtesy David Zwirner, New York/London/Hong Kong
Vista della mostra “Dan Flavin: in daylight or cool white”, David Zwirner, New York, 2018. © 2018 Stephen Flavin/Artists Rights Society (ARS), New York. Courtesy David Zwirner, New York/London/Hong Kong

È con l’installazione alla Green Gallery di New York del 1964 (con l’opera Pink out of a corner) e la retrospettiva del 1969 alla National Gallery of Canada a Ottawa che in realtà Flavin scopre le potenzialità dello spazio architettonico come materia di progetto. Proprio nella mostra di Ottawa ogni installazione trova una precisa collocazione in relazione all’elemento architettonico, che verrà mantenuta come regola nelle installazioni successive. Così Diagonal non fluttua nello spazio libero, ma è ancorata al piano del pavimento o al limite di una parete; e la sequenza di Nominal three è sempre installata con un tubo nell’angolo sinistro della parete, una coppia al centro e tre nell’angolo destro. Ed è questo il sistema di relazioni e di sequenze riproposto dalla Zwirner Gallery nello spazio espositivo progettato da Annabelle Selldorf, minimalista ed evocativo degli edifici industriali di Chelsea. Progettato con standard da museo, è stato pensato, nelle stesse parole dell’architetto, per ospitare “opere di maestri quali Donald Judd e Dan Flavin”. E questa mostra ne è la prova.

Sono poche le opere site-specific curate da Flavin aperte oggi al pubblico negli Stati Uniti. Sono, per la maggior parte, spazi dove l’artista ha raggiunto un alto grado di complessità nella composizione di neon colorati. Una delle ultime si trova a Marfa, all’interno del progetto tra arte, architettura e paesaggio a cui Donald Judd si è dedicato per trent’anni e che ha trasformato nella sua personale collezione d’arte: Judd, qui artista, collezionista e curatore, commissiona opere a colleghi e amici, assegnando loro uno spazio specifico su cui lavorare.

A Flavin vengono affidati sei edifici paralleli e identici a forma di U. Nello spazio di connessione dei due segmenti longitudinali di ogni edificio l’artista installa coppie di barriere luminose simmetriche che occupano l’intero spazio in altezza e larghezza, alternando neon luminosi di quattro colori: rosa, verde, giallo, blu. Untitled inizia negli anni Ottanta, ma viene inaugurato solo nel 2000, dopo la morte di Flavin avvenuta nel 1996.

Nel 1990 viene commissionata un’opera site-specific in quattro colori destinata alla Richmond Hall, uno spazio espositivo annesso alla Menil Collection a Houston e terminata due giorni prima della morte dell’artista, mentre il Dan Flavin Institute a Bridgehampton (New York) aperto nel 1983 ospita nove lavori sempre permanenti creati dal 1963 al 1981 con luce colorata, anche qui ambienti (o “situazioni” come li definiva Flavin) dove arte e architettura sono pensate come un’unica installazione.

Titolo mostra:
Dan Flavin: in daylight or cool white
Date di apertura:
21 febbraio – 14 aprile 2018
Sede:
David Zwirner Gallery
Indirizzo:
537 West 20th Street , New York

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