La grande e luminosa Galleria 5 del MAXXI è stata completamente ridisegnata dall’arrivo di Jennifer Allora e Guillermo Calzadilla. Gli artisti portoricani hanno trasformato lo spazio in un ambiente instabile e incerto. L’inserimento di un lungo muro a ridosso dell’entrata ha creato un piccolo atrio; l’ingresso appare ora come un frame storto, un’inquadratura fuori asse che introduce in un mondo precario, estraniante. Nell’angolo, addossata alla nuova parete, una pompa di benzina abbandonata giace mesta. Si è trasformata in un blocco di calcare slavato e funereo, pietrificata dal tempo. L’evocativo simbolo d’industrializzazione, consumo e sfruttamento ci guarda sfatto. Ormai non è che un relitto del futuro, la carcassa di un robottino dallo sguardo dimesso. Lo scenario che lasceremo in eredità ai nostri successori sulla Terra, secondo il duo, è un luogo dove le tecnologie di oggi sono diventate reperti fossili, paradossali rifiuti archeologici.
Questa visione inquietante è la premessa a “Blackout”, la mostra che gli artisti portano a Roma scegliendo ancora una volta un racconto sulla storia di Portorico. L’isola dove la coppia vive, è da anni soggetto della loro ricerca in quanto complesso caso socio-politico e punto di vista privilegiato per parafrasare importanti dinamiche globali. La terra che un tempo era chiamata la stella splendente dei Caraibi è oggi un territorio non incorporato degli Stati Uniti, dunque pur facendo parte degli USA, non gode di una propria sovranità ed è a tutti gli effetti una colonia moderna. Sfruttata, lacerata dalla crisi economica e da un debito pubblico fuori controllo, l’isola è stata per 60 anni terreno di speculazioni ed esercitazioni militari da parte degli americani che hanno attuato sugli abitanti locali pesanti espropriazioni.
Nel celebre video del 2005 Under Discussion un giovane dissidente viaggia su un tavolo rovesciato trasformandolo in una barca a motore. Attraverso il mare raggiunge le bellissime coste interdette ai portoricani a causa delle esercitazioni militari. Metaforicamente l’uomo porta un tavolo di discussione nei luoghi sottratti alla sua gente. “Il lavoro dice Guillermo Calzadilla – fa riferimento a diverse tematiche tra cui l’ecologia, in questo caso non riguarda piante o animali, ma esseri umani. Con le espropriazioni, la popolazione locale veniva confinata al centro dell’isola di Vieques (parte di Portorico) e non aveva più accesso all’agricoltura né alla pesca, attività fondamentali per la sussistenza; era quindi diventata essa stessa una specie a rischio di estinzione”.
Anche in Returning a Sound il protagonista è un dissidente; gira per le zone proibite con un motorino che ha collegato al tubo di scappamento una tromba. L’opera introduce uno dei temi da tempo costanti del lavoro del duo: il suono. Il continuo lamento emesso nel lungo percorso attraverso l’isola richiama alla mente molteplici associazioni. “La tromba è uno strumento nato per la guerra, per motivare nelle battaglie, per chiamare in adunata, commemorare, per creare un’identificazione collettiva. La musica è stata storicamente usata come arma, perfino come forma di tortura nel carcere di Guantánamo. L’urgenza di lavorare sul suono è nata dopo aver sentito a Vieques delle bombe che esplodevano, un’esperienza letteralmente terrificante. Abbiamo cominciato a interrogarci sul ruolo politico del suono, sulla sua storia e lo abbiamo collegato al militarismo. Oggi lo stiamo studiando in relazione all’elettricità”.
Proprio da quest’ultima fase di ricerca nasce nel 2017 Blackout l’opera che dà il titolo all’intera esposizione. Al centro della sala un grande trasformatore elettromagnetico è arenato come un enorme relitto. Il macchinario è esploso durante un cortocircuito che ha lasciato la popolazione di Portorico senza luce ed elettricità. “Eravamo interessati alla fisicità dell’oggetto, al fatto che fosse una reliquia, un superstite. La macchina produce un suono fisso, un ronzio sul quale, durante la performance, s’inseriscono altri suoni emessi da cantanti che entrano improvvisamente in scena. Con il compositore David Lang e l’ensemble VoxNova abbiamo lavorato sulla voce come forma di energia cercando di ricreare i rumori convulsi che un trasformatore emette prima di collassare. La voce dunque non è più parola, ma accumulazione fonetica”.
L’aspetto cruciale del lavoro di Allora e Calzadilla è la stratificazione; la loro ricerca si basa su una profonda e continua intersezione di argomenti e materie diverse da far convivere insieme: geopolitica, musica, letteratura, scienza, ecologia, tutto è connesso. “Trovare un tema preciso, uno specifico soggetto nel nostro lavoro credo sia impossibile, in una stessa opera si sovrappongono molti layer ed è la loro convergenza a interessarci, la congiuntura e il dialogo tra campi differenti. E questo anche perché siamo in due, quindi la collaborazione, l’interdisciplinarietà, sono parti strutturali del nostro punto di vista”. Anche l’utilizzo della scultura performativa, è un lavorare su livelli diversi arrivando a fondere aspetti statici e dinamici in una stessa opera. In questo processo il modo in cui la coppia legge e utilizza lo spazio fino a trasformarlo concentrandosi sul coinvolgimento e l’esperienza del pubblico è nodale. Le loro opere hanno un altissimo livello di astrazione e profondità, ma sono anche fortemente materiali; concettuali e fisiche al contempo.
Blackout è un grande lavoro che accende una luce sulla critica situazione di Portorico. Gli eventi tragici che la riguardano, compresi i funesti uragani del 2017, sono stati utilizzati dagli artisti come un faro per puntare l’attenzione su una situazione internazionalmente poco conosciuta e che a ben vedere ci riguarda tutti. Da un vuoto, da una tabula rasa, insieme alla distruzione emerge anche la possibilità di creare. Ribaltare le prospettive, individuare momenti che possano attivare differenti percezioni e connessioni è da sempre un altro importante fulcro del lavoro di Allora e Calzadilla.
Nel video The Night We Became People Again si prende spunto da un racconto dello scrittore portoricano José Luis González che narra di un enorme blackout avvenuto in America nel 1965. Nella storia alcuni portoricani immigrati rimangono a parlare su un tetto durante la notte e, grazie all’oscurità, riescono a vedere le stelle. La catastrofe dunque può portare con sé la rivelazione e, in questo caso, è anche occasione per riunire una comunità. La storia non ha un lieto fine perché poi la luce torna e tutto continua come prima. Ma quel momento di respiro, di riflessione ha generato un nuovo punto da cui ripartire.
- Titolo mostra:
- Blackout. Allora & Calzadilla
- Curatori:
- Hou Hanru, Anne Palopoli
- Date di apertura:
- 16 febbraio – 30 maggio 2018
- Sede:
- MAXXI
- Indirizzo:
- via Guido Reni 4A, Roma