“Post Zang Tumb Tuuum”, come a dire “Post Futurismo”, è il titolo pensato per la colossale mostra curata da Germano Celant negli spazi della Fondazione Prada di Milano, che muove appunto le sue premesse da un esame attento del quarto di secolo tra le due Grandi Guerre e di come, nello specifico, l’arte italiana che già aveva conosciuto energia febbrile e innovatrice del Futurismo e del linguaggio internazionale del modernismo, ritradusse le sue forme e le sue aspirazioni nel diverso rapporto intrapreso dai vari autori con la scena politica e culturale dominante del periodo.
È una mostra fortemente documentale, resa possibile da un attento studio storico che appare subito palese dall’imponente lavoro sulle fonti fotografiche d’epoca che costituiscono anche l’impostazione strutturale dell’originale e riuscitissimo display realizzato dallo studio 2x4 di New York, lontano dal consueto dispositivo white cube che ha accompagnato quasi un secolo di mostre e allestimenti museali.
Non solo l’allestimento trompe l’oeil costituisce qui una base importantissima per intendere il contesto spaziale, gli allestimenti e le originali collocazioni di opere fondamentali che hanno scandito i più importanti momenti espositivi del sistema dell’arte italiana tra anni Venti e Trenta, tra Biennali ed esposizioni nazionali ed estere: le stanze che compongono “Post Zang Tumb Tuuum” hanno anche il merito di creare quella condizione necessaria per intendere l’atmosfera storica che tratteggia, affinché i visitatori possano meglio comprendere le opere mostrate e prepararli a quanto li attende alla fine del percorso.
Impossibile riferire dell’infinite “storie”, biografie e filoni che potrebbero costituire a loro volta l’incipit di altrettante esposizioni (di alcuni autori, come per Adolfo Wildt per esempio, le opere radunate potrebbero quasi esprimere una mostra autonoma), ciò che però l’intensa pluralità dei casi scelti compone è uno scenario storico ben preciso: il periodo tra 1918 al 1943 che vide nel nostro paese la crisi dello stato liberale e l’affermarsi del fascismo, una condizione che rifletté con soluzioni diverse nei rapporti tra ricerca artistica, ridefinizione del ruolo dell’artista e attivismo politico.
Per Celant, così come per tutti le importanti firme che hanno partecipato alla realizzazione dell’impianto storico e intellettuale della mostra, l’arte è sempre politica, prendendo forma in un determinato contesto storico e sociale mai avulso dal rapporto di forza tra potere politico e individuo. Tale valore politico non si esprime soltanto nei casi più evidenti nei quali gli autori celebrano con immagini le figure del potere (come le molteplici teste di Mussolini testimoniano ampiamente lungo tutto il percorso della mostra) ma anche quando l’assenza di conflitto, di sperimentazione e l’adesione a certi stilemi esprime in un tacito consenso e conformismo a un’arte talvolta bellissima ma sostanzialmente inerte.
È così che l’energia febbrile e innovatrice dell’avanguardia del Futurismo che serpeggia lungo tutta l’esposizione e il linguaggio internazionale del modernismo, lentamente cedono il passo a involuzioni tardo-metafisiche e crepuscolari della pittura di alcuni autori che, come Carrà, iniziarono a contemplare aspetti più intimi, silenti e classicistiche dell’arte. Vi è poi questa continua doppia esperienza tra due dimensioni: quella privata, borghese, che indaga anche con la sola presenza di arredi d’epoca e di quadri di specifiche dimensioni quel complesso schema di relazioni tra artisti, galleristi, collezionisti e mecenati, e dall’altra una dimensione più aperta al pubblico che invade i grandi spazi così come perfettamente testimoniato dai progetti architettonici e monumentali esposti in mostra, che dedica i più importanti capitoli all’architettura e alla definizioni dei nuovi spazi, e parallelamente alla rinnovata esperienza delle arti applicate. Proprio questo punto è assai interessante da notare da parte lo spettatore: le multiformi espressioni di arte, architettura e design, che si sono affastellate e concentrate in un ventennio, non sono qui tanto testimonianza di libertà espressiva, quanto della capacità del fascismo di assumere (contrariamente ad una certa lettura superficiale) un linguaggio strumentale, e flessibile alla realizzazione di un disegno culturale preciso, che adattava specifici modelli per le élite così come per le masse.
Alla fine del lungo percorso che si snoda nell’edificio sud della Fondazione si abbandona la dimensione museale, eppure contenuta, per recuperare l’atmosfera degli interni originali che ospitavano l’accrochage delle opere e la sensazione di interno borghese, passando alla scala monumentale e alle immagini in bianco e nero proiettate sugli elementi verticali allestiti nel Deposito: ed è qui, in quello scarto spaziale, nel salto di scala, che s’innesca l’effetto dirompente ed emotivamente destabilizzante che riporta i visitatori alle conseguenze storiche, sociali e materiali del ventennio.
“Post Zang Tumb Tuuum” ha il merito di non proiettare un teorema assertivo rispetto la molteplicità degli aspetti che contempla, ma di compilare euristicamente un nuovo sguardo sul passato nel tentativo, di meditare valutazioni politiche più approfondite sull’incombere di analoghi fenomeni del presente. Proprio per questo rappresenta forse una delle mostre più intense e difficili proposte finora dalla Fondazione Prada e, più in generale, nel panorama internazionale delle fondazioni private.
- Titolo mostra:
- Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918-1943
- Date di apertura:
- 18 febbraio – 25 giugno 2018
- Sede:
- Fondazione Prada
- Indirizzo:
- Largo Isarco 2, Milano
- Curatore:
- Germano Celant