Sabel Gavaldón e Manuel Segade sono i curatori della prima mostra europea dedicata al vogue, il mitico stile di danza. La mostra del CA2M (Centro de Arte Dos de Mayo) di Madrid stravolge il museo grazie a un programma rivoluzionario di performance, arte, politica e stile.
Il vogue si può definire uno stile di danza e si apparenta alla coreografia. Quale rapporto c’è tra il vogue e la danza, e che cos’è realmente il vogue?
Manuel Segade: Il voguing è una forma di danza tipica del mondo del ballroom. È un mondo nettamente underground fiorito nella New York degli anni Ottanta in risposta al drammatico rischio del diffondersi dell’AIDS. Ma ha radici molto più profonde nella storia della diaspora dei neri, giù giù fino ad arrivare agli anni Venti del Novecento e ai primi grandi drag ball, i balli di travestiti che si svolgevano durante la Harlem Renaissance. La cultura del ballroom si sviluppa intorno alle gare fra transessuali e alle spettacolari competizioni di danza tra drag queen di origini latine e nere. In un contesto segnato dal razzismo delle istituzioni e da un intreccio di forme di oppressione, la danza offre uno spazio condiviso per recuperare energie omosessuali e corpi dissidenti. Per di più il ballroom rende possibile immaginare nuove forme di affinità e di socialità ancora di là da venire.
Sabel Gavaldón: Per decenni la cultura ballroom ha dato una famiglia alternativa a migliaia di persone, diffondendosi per tutti gli Stati Uniti e più recentemente in Europa (Parigi e Rotterdam vedono oggi venire in luce una scena vitalissima). Gli adepti del ballo si aggregano in centri in competizione, le cui figure guida vengono chiamate “madri” e “padri”, e adottano il nome del centro come cognome. Ispirato in origine alle pose delle foto delle riviste di moda, il voguing è molto di più di un genere di danza. È uno strumentario che abbraccia una varietà di strategie minoritarie che permettono a chi danza di realizzare un’esperienza radicale di gesti, stili e identità, imparando a sopravvivere all’interno della cultura dominante e contro di essa.
Per ospitare “Elements of Vogue” lo spazio del CA2M è stato completamente trasformato. Il museo è divenuto il contenitore di vari discorsi artistici e sociali nati intorno al vogue, ma credo che non sia l’unico ruolo. Qual è la funzione dello spazio del museo per questa mostra?
MS: Quando affermiamo di essere un’istituzione d’arte contemporanea rivendichiamo un impegno politico: la nostra appartenenza a una tradizione di scelte che viene dagli anni Sessanta e corre parallela al configurarsi del femminismo e della teoria del genere, del pensiero decoloniale e della critica di classe. Secondo noi questo programma d’azione in cui si intrecciano razza, classe e genere è fondamentale per comprendere l’arte contemporanea e il suo modo di produrre soggettività, rappresentazioni critiche della realtà e usi del linguaggio prima inimmaginabili. La mostra serve a proclamare questo, ed è il motivo per cui il suo centro fisico è una sala da ballo dove è possibile inventare nuove coreografie sociali: nuove forme estetiche che saranno la culla di nuove formazioni sociali. Il vogue deve crearsi, non essere esposto, e questo gesto radicale è il senso dell’istituzione.
Come entra l’arte nel mondo del vogue? Esiste un’identità specifica (o più d’una) che colleghi le opere d’arte e gli artisti scelti per la mostra?
SG: Una cosa per noi è chiarissima: la cultura del ballroom è una significativa forma di produzione artistica in sé e per sé. Non ci interessa davvero inscrivere pratiche subculturali nella storiografia dominante, ma sperimentare modi di coinvolgere, infettare, trasformare il museo… Il ballroom è una cultura popolare che si espande in conflitti ampi, spesso contradditori nel tempo e nello spazio. La mostra al CA2M vuole mettere in luce la forza di questa manifestazione materiale e di questo spessore storico performativo, all’incrocio tra razza, genere e classe. Direi che uno degli aspetti fondamentali che tutti gli artisti rivendicano di avere in comune è che vanno oltre ciò che James Baldwin chiamava “fardello della rappresentazione”. Agiscono indubbiamente superando queste categorie che, oltre che una definizione, sono un limite. È la ragione per cui questo progetto ha poco a che fare con questioni di rappresentazione relative al tradizionale discorso dell’identità politica. La mostra punta invece a mettere in luce delle poetiche minoritarie.
MS: Credo che uno dei nostri interessi principali sia indicato nel sottotitolo: il vogue è un caso di studio per parlare del tema della performatività e della condizione dei neri. In questo senso Love Is the Message and the Message Is Death [“L’amore è il messaggio e il messaggio è morte”], di Arthur Jafa, arriva realmente ad articolare tutta la mostra in modo soma-affettivo e responsabile attraverso l’intera storia del patrimonio storico audiovisivo del corpo politico nero del XX secolo. Altri pezzi presentano le declinazioni delle possibili espressioni della condizione dei neri con Lorna Simpson, Ellen Gallagher, Carl Pope Jr. e Paul Maheke… Credo che quel che ci ha dato il vogue siano la danza e l’alternarsi del ritmo: uno schema narrativo.
Il linguaggio del vogue pare impossibile da tradurre in parole. Ma in molte delle opere in mostra noto una forte presenza del linguaggio verbale scritto. In che modo il vogue si collega alla scrittura?
SG: Mi fa piacere che tu l’abbia notato. È una cosa che ha preso forma in modo abbastanza intuitivo mentre studiavamo la preparazione della mostra. Ci siamo resi conto che in molte delle pratiche artistiche con cui avevamo a che fare il corpo si manifesta come palinsesto. Il che significa che la carne viene coperta da segni, sovrascritta e risemantizzata. È una cosa che passa facilmente inosservata, ma la maggior parte dei gesti quotidiani porta con sé un’intricata storia di dominio e di resistenza. È una forma di scrittura vera e propria. Ma prende la forma della carne viva. Forse è il momento di procedere oltre la comprensione puramente linguistica dei corpi che una volta era tipica della teoria della differenza sessuale. Penso che la performance radicale possa indicare un modo di passare dalla semiotica alla somatica, osservando con attenzione la materialità del corpo, le sue pratiche e la sua intensità concreta.
- Titolo mostra:
- Elements of Vogue
- Date di apertura:
- 17 November 2017 – 6 maggio 2018
- Sede:
- Centro de Arte Dos de Mayo
- Indirizzo:
- Avda. Constitución 23, Madrid
- Curatori:
- Sabel Gavaldón, Manuel Segade