In Inextinguishable Fire, del 1968-1969, per esempio, l’artista ci pone a confronto con una secca constatazione: "When napalm is burning, it is too late to extinguish it. You have to fight napalm where it is produced: in the factories." E una fabbrica viene nominata: si chiama Dow Chemical, si trova nel Midland, Michigan. L’azienda punta sulla razionalizzazione tecnologica, su un avanzamento scientifico fatto cieco nelle finalità. Il lavoro al suo interno si basa su una parcellizzazione estrema; così si arriva ad obnubilare, nei lavoratori stessi, la consapevolezza soggettiva del suo contenuto; e l’oggetto in questione, il napalm, potrà essere prodotto secondo formule sempre più letali senza che si levi resistenza alcuna. Paradossalmente, ci dice Farocki, non solo la distanza, ma anche la vicinanza estrema può rendere la violenza intangibile; con la nostra muta complicità.
La relazione tra tecnologia, politica e violenza è anche il fulcro della più recente serie di video, Serious Games. In questo caso al centro sono gli operatori di droni al lavoro nelle loro postazioni. L’utilizzo di droni ha modificato i principi della politica, l’esperienza della guerra e del combattimento, e il nostro stesso rapporto con il contesto. I videogiochi, le animazioni, il computer, i linguaggi di programmazione – creati su commissione dei Ministeri della Difesa – l’impatto psicologico di una guerra che si combatte con nemici lontani migliaia di chilometri, il senso di una realtà instabile in cui i confini tra combattimento, gioco, finzione non sono più chiari; tutta la complessità etica delle guerre di oggi, caratterizzate da nuove, estreme forme di asimmetria emerge in queste opere. Grazie alle tecnologie digitali il male si fa “a distanza” e, parafrasando Hannah Arendt, la sua banalità è anche più lampante.