La Gianni Peng/Live Arts Week è una manifestazione annuale della durata di una settimana che si svolge a Bologna e nasce dalla fusione di due festival preesistenti: F.I.S.Co e Netmage. Organizzata dal collettivo Xing e giunta alla seconda edizione, la Live Arts Week vuole analizzare le modalità espressive dei linguaggi performativi orientate alle esperienze percettive e sensoriali che ne derivano.
Al centro del progetto c’è quindi un obiettivo di ricerca: la conoscenza del modo di rappresentare i live media e la configurazione dei rapporti che la condizione della performatività istituisce con i partecipanti.
Se le precedenti attività del collettivo erano soprattutto incentrate sulle forme del gesto performativo (F.I.S.Co, 2001-11) e sulla natura dell’immagine nell’èra digitale (Netmage, 2000-11), Gianni Peng si è dedicato alla ricerca su che cosa c’è, sta dentro o transita nei territori della prassi fondata sul tempo e su ciò che ne collega e combina le risorse, gli attori e i momenti.
È in realtà l’analisi di questo spazio interstiziale a dare il tono generale alla Live Arts Week di quest’anno. L’analisi ha innescato un dialogo tra danza, coreografia, performance, arte immagine in movimento e musica non fondata tanto sulla fusione e sulla combinazione delle specificità di ciascuna prassi e sull’unificazione dei relativi linguaggi, quanto sulla produzione di un flusso continuo di proposte che (presentate ed esposte in un luogo spesso comune) hanno creato associazioni e fratture vivacissime.
Una parte sostanziale degli eventi è stata ospitata al piano terreno del MAMbo. Non trattandosi di un contenitore previsto per linguaggi diversi (un ambiente neutro, un teatro, una sala da concerto) né dotato di retroterra storico, lo spazio si è prestato nel corso di tutta la settimana a una continua reinvenzione adattiva.
Anche gli elementi costitutivi dell’ambiente, le strutture di accoglienza, esposizione e ospitalità ideate da Canedicoda con Mirko Rizzi apparivano intenzionalmente precarie e transitorie. Fatte di legno riciclato e di plastica avevano un aspetto instabile come se stessero per sbriciolarsi e diventare qualcos’altro.
Ogni gesto alterava la morfologia e la percezione dello spazio, come è accaduto nel corso delle quattro accoppiate che costituivano il programma di venerdì 19 aprile. La serata è iniziata con uno straordinario e smagliante evento di tono neo-hippy, presentato dall’artista e teorico svedese Mårten Spångberg con il musicista Lune, cui sono seguite le sonorità aspre, rumoristiche di Joe Di Nardo di Growing, combinate con la proiezione in formato 16 millimetri di cinque brevi, astratte sequenze realizzate dalla filmmaker sperimentalista Rose Kallal, che hanno dato vita a una performance audiovisiva inquietante e stupefacente.
È seguita poi U$e Your Illu$ion$, fantasmatica performance audiovisiva che fonde la fantasmagoria dell’estetica post-Internet di Out4pizza con l’eco spettrale di sonorità post-Dub e la voce disumanizzata di Dracula Lewis. Continuando sulla via del contrappunto tra euforia luminosa e micidiale oscurità la serata si è conclusa con un concerto di Sun Araw, che ha unito improvvisazioni di rock psichedelico e roots con la proiezione di una sequenza video che rappresentava il cortocircuito del rapporto tra un leopardo e il suo riflesso. Tra gli altri momenti notevoli una riedizione della performance filmica Fifty-one Years on the Infinite Plain (1972-2013) di Tony Conrad; Dance #2 di Eszter Salamon e Christine De Smedt, che hanno intessuto gesto e parola; il delizioso concerto di Helm (Luke Younger), che ha trasposto il rumorismo in una dimensione ipnagogica, ulteriormente analizzata dalle deliranti, frenetiche letture di Goodiepal.
Il flusso multidisciplinare è stato affiancato da una serie di installazioni e di ambienti che hanno ulteriormente messo in gioco le prassi e le discipline spaziali. Tra queste la mostra site-specific We, the frozen storm di Elise Florenty e Marcel Türkowsky, che ha presentato una serie di immagini, suoni e suggestioni negli spazi sotterranei del Garage Pincio e Techno Casa, favola animista di una sedia corredata di video-saggi di Riccardo Benassi, che ha svolto una lucida analisi dei rapporti uomo, strumenti e tecnologia nell’attuale Antropocene.
La proiezione del film di Pierre Hughes The Host and The Cloud (2011), concepito come una serie di tre performance negli spazi dell’ex Musée des Arts et Traditions Populaires di Parigi, riproposte in un montaggio delirante in cui sogno, allucinazione e realtà sono indistinguibili, è stata un ulteriore contributo alla riflessione sui modi di abitare e attraversare un luogo, in particolare uno spazio museale.
Nella Live Arts Week si è avuta la sensazione che fosse la coabitazione orizzontale di forme diverse in una cornice temporale condensata a permettere al pubblico e alle opere di incontrarsi diventando un’unica – se pur fragile e irripetibile – entità fatta di mille piattaforme.