Atlas: come portarsi il mondo sulle spalle?

Tra storia dell'arte, filosofia e psicologia, la mostra allo ZKM parte dall'atlante illustrato di Aby Warburg per mostrare come ha inizio e si sviluppa il processo creativo.

Nasce dal sogno del grande storico dell'arte Aby Warburg di osservare come ogni immagine, pur conservando la sua energia singolare, esprima un'inquietudine, porti in sé costellazioni di altre immagini e infiniti rimandi al pensiero, il nuovo progetto di Georges Didi Huberman Atlas Come portarsi il mondo sulle spalle, mostra decisiva, già vista in primavera al Reina Sofia di Madrid. La si vedrà più tardi anche ad Amburgo. Chi l'ha persa a Madrid può visitarla dal 7 maggio al 7 agosto allo ZKM Center for Art and Media di Karlsrhue, uno dei centri d'arte europei più attenti alla riflessione contemporanea. (In quest'occasione viene anche ristampata la versione inglese del catalogo andata esaurita a Madrid). Cosa muove la volontà warburghiana di costruire un Atlante, condivisa da tanti artisti nella loro pratica, e da Didi Huberman nel suo coraggioso tentativo di aprire la storia dell'arte al vento della filosofia e della psicologia? Cosa porta lo scrittore e il saggista a smontare e rimontare il mondo attraverso le sue immagini e a cosa conduce proprio questo gesto?

Bertold Brecht, Walter Benjamin, Theodor Adorno (l'Adorno del saggio come forma), figurano tra i numi tutelari di questa esposizione che Didi Huberman da saggista qual è ha concepito nella logica della sperimentazione e del tentativo. E, ovviamente, non si può non pensare anche a Foucault e Deligny, a Deleuze, a Borges e Carl Einstein, al Giacometti dei Carnets, a Chris Marker o a Jean-Luc Godard. I debiti sono tutti espressi e sono infiniti. Il merito principale della mostra è proprio quello di non lasciarsi attrarre dal fascino dell'archivio, ma di saper immagine per immagini mostrare il lavoro degli artisti, siano essi pittori, flimmaker, scrittori, fotografi, nel loro comporre, scomporre e ricomporre per immagini il reale e agire sul nostro guardare.
Guy Debord, <i>Guide psychogéographique de Paris: discours sur les passions de l'amour: pentes psychogéographiques de la dérive et localisation d'unités d'ambiance</i>, 1957, litografia. © Collezione MACBA. Consorcio Museu d’Art Contemporani de Barcelona.
Guy Debord, Guide psychogéographique de Paris: discours sur les passions de l'amour: pentes psychogéographiques de la dérive et localisation d'unités d'ambiance, 1957, litografia. © Collezione MACBA. Consorcio Museu d’Art Contemporani de Barcelona.
Visitando le sale è impossibile non dialogare poi con i testi: non soltanto quelli degli autori toccati dalla mostra, ma quelli dello storico dell'arte oggi ampiamente tradotti in Italiano. "L'occhio resta il mio preferito, perché invita ad andare al di là dello sguardo, al di là di quel che è guardato", scrive nei suoi diari Alejandra Pizarnik e senza perdere una stilla di ciò che si può vedere è con uno spirito di questo genere che Didi Huberman deve aver organizzato i materiali nelle sale, dopo lunghi anni di preparazione che hanno preceduto la mostra. Lo spettatore oggi se ne giova. Scavare la memoria incosciente delle immagini, ciò che testimoniano e ciò che ci tramandano diventa il compito di ogni visitatore al quale è lasciata la scelta di seguire lo storico dell'arte, tracciando però una propria via. Nell'immagine nasce l'immaginazione, ogni immagine forma e riceve altre immagini.
August Sander, <i>Handlanger</i>, 1928. © Die Photographische Sammlung/
SK Stiftung Kultur—August Sander Archiv, Köln / VG Bild-Kunst, Bonn, 2011.
August Sander, Handlanger, 1928. © Die Photographische Sammlung/ SK Stiftung Kultur—August Sander Archiv, Köln / VG Bild-Kunst, Bonn, 2011.
L'atlante— sembra dirci Didi Huberman—stimola chi guarda (e ben più dell'archivio!). Non lasciarsi tenere a distanza dalle immagini, ma scoprire una distanza critica nell'osservarle è quanto di più bello ci possa accadere, vetrina dopo vetrina, quaderno dopo quaderno, riproduzione dopo riproduzione, quadro dopo quadro, filmato dopo filmato, in una danza che tiene per la prima volta conto, si direbbe, delle riflessioni di Benjamin sull'opera d'arte all'epoca della riproducibilità e minaccia lo statuto stesso dell'Arte maiuscola. I capolavori vengono così attraversati, ma appunto si penetra in ciò che li muove e li eccede: si va. Tenere il passo e porre il pensiero coraggiosamente in equilibrio con le immagini, portarlo a discorrere e a vivere d'immagini domanda un coraggio e uno sprezzo del rischio unici nel mondo che ci accompagna.
Scavare la memoria incosciente delle immagini, ciò che testimoniano e ciò che ci tramandano diventa il compito di ogni visitatore al quale è lasciata la scelta di seguire lo storico dell'arte, tracciando però una propria via.
Sala di lettura della Kunstwissenschaftliche Bibliothek Warburg ad Amburgo, fotografata durante la mostra <i>Ovid</i>, 1927. © Warburg Institute Archive, London.
Photo Warburg Institute.
Sala di lettura della Kunstwissenschaftliche Bibliothek Warburg ad Amburgo, fotografata durante la mostra Ovid, 1927. © Warburg Institute Archive, London. Photo Warburg Institute.
Articolare, smembrare e rimontare quanto l'immagine ci porge è da sempre la passione, il compito e la follia della storia dell'arte e della filosofia. Georges Didi Huberman ce ne affida la consapevolezza. Consegnare alle immagini il tempo che contengono e a chi le guarda non solo l'estasi di ciò che nascondono ma anche il potere e le inquietudini che ci percorrono pare essere la sfida riuscita di Atlas. Senza dirigere, senza costringere Didi Huberman parte così soltanto da Aby Warburg (al quale riconosce la capacità di conoscere attraverso la vista in maniera non sistematica e non esaustiva), ma in compagnia dei secoli prova ad andare al di là. Eccoci allora a scoprire con stupore i processi che guidano nel loro fare Alighiero e Boetti, John Baldessarri o Marcel Broothaers, Gerard Richter o Alfredo Jaar, Giuseppe Penone o Sigmar Polke, Robert Morris o Sophie Ristelhueber, Pascal Convert o Harun Farocki. Polemos e quiete in molteplici figure, rotture e intervalli, unioni e slanci, erigendo l'esperienza come autorità e contestando l'autorità della propria stessa esperienza, entrando come direbbe Georges Bataille, "nel regno in cui i re stessi entrano folgorati". Federico Nicolao
Gerhard Richter, <i>Übersicht</i>, 1998. © Collezione Institut d’art contemporain, Villeurbanne/Rhône-Alpes.
Gerhard Richter, Übersicht, 1998. © Collezione Institut d’art contemporain, Villeurbanne/Rhône-Alpes.
Sol LeWitt, <i>Photo of Florence</i>, r 609, 1976. © LeWitt Collection, Chester, Conneticut, USA.
Sol LeWitt, Photo of Florence, r 609, 1976. © LeWitt Collection, Chester, Conneticut, USA.
Josef Albers, <i>Quetzalcoatl Monument, Calixtlahuaca</i>, fotografie senza data montate su un supporto di cartone. © The Josef and Anni Albers Foundation, Bethany.
Josef Albers, Quetzalcoatl Monument, Calixtlahuaca, fotografie senza data montate su un supporto di cartone. © The Josef and Anni Albers Foundation, Bethany.
Marcel Broodthaers, <i>Atlas</i>, 1975, © Collezione MACBA. Fundació Museu d’Art Contemporani de Barcelona.
Marcel Broodthaers, Atlas, 1975, © Collezione MACBA. Fundació Museu d’Art Contemporani de Barcelona.

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