La diaspora dell'arte cubana a Madrid

Carlos Garaicoa, Wilfredo Prieto e Los Carpinteros sono tre degli artisti cubani che hanno scelto Madrid e Barcellona come ribalta per presentare il proprio lavoro.

Uno degli elementi di vitalità della scena artistica emersa a Madrid negli ultimi anni è dato dalla presenza di alcuni tra gli artisti cubani più pregnanti del momento. Una convergenza non casuale, ma legata alla diaspora che ha portato molti di loro a scegliere Madrid o Barcellona come città di adozione. Qui, infatti, sono favoriti dalla contiguità culturale e linguistica, dalla relativa facilità di ottenere documenti per il trasbordo d'immigrazione, dal carattere accogliente ed estremamente vitale, malgrado il riflusso economico, della città. Tra gli espatriati più noti possiamo citare Carlos Garaicoa, che vive e lavora da alcuni anni a Madrid; Los Carpinteros (Marco Castillo e Dagoberto Rodríguez) ora di base a Barcellona; e il più giovane Wilfredo Prieto, che si muove tra Barcellona e L'Avana. Nella settimana della fiera d'arte contemporanea Arco tutti sono stati ampiamente, e su più fronti, presenti a Madrid.

Di Garaicoa, nell'ambito della sezione di gran lunga più interessante della fiera (il focus dedicato ad artisti latino-americani), la galleria Barbara Gross proponeva, su alti piedestalli bianchi, un'ampia serie di "sculture" del progetto Lo vijejo y lo Nuevo: opere di piccole dimensioni realizzate ritagliando e portando in verticale i contorni delle facciate di edifici raffigurati su antiche incisioni all'acquaforte. Dietro le facciate, Garaicoa modella volumi neri come ombre, forme astratte e lineari che rappresentano proiezioni in profondità delle facciate stesse, ma che solo parzialmente ne assecondano il profilo. Le piatte immagini al tratto si trasformano così in modelli tridimensionali, teatrini sospesi tra un passato, rappresentato dalle nostalgiche facciatine, e il presente poco rassicurante fatto di discordanti ombre nere.

Prêt-à-porter di Carlos Garaicoa è l'installazione centrale della mostra "Party! Not Tea Party" alla Galería Elba Benítez. Consiste in un grande tavolo su cui sono disposte numerose vecchie forme di legno da modista e alcuni copricapo. © Carlos Garaicoa Courtesy dell'artista e della Galería Elba Benítez. Photo Luis Asín.

Carlos Garaicoa era presente anche presso la galleria Elba Benítez con un'articolata mostra personale dal titolo "Party! Not Tea Party": una serie di opere recenti e inedite, contenenti un commento, spesso sardonico, sui meccanismi sottesi agli attuali sistemi politici. L'installazione centrale, Prêt-à-porter, è incentrata sul tema del cappello inteso come elemento formale e simbolico; consiste in un grande tavolo su cui sono disposte numerose vecchie forme di legno da modista e alcuni copricapo fatti di elementi svariati, per lo più prelevati dalla realtà. Ci sono inoltre fotografie e ritagli di giornali riguardanti leader politici. Il cappello, accessorio simbolico per eccellenza dell'abbigliamento associato al potere e all'ufficialità, è qui mostrato nella sua riconoscibilità, ma anche nella sua intercambiabilità: l'opera allude quindi a un presente dominato dalla retorica, dallo stereotipo e dallo status symbol a discapito di ogni contenuto.

Carlos Garaicoa, Upside Down Fundamentalisms, 2010. Esposta alla Galleria Barbara Gross, l'opera fa parte del progetto Lo vijejo y lo Nuevo: sculture di piccole dimensioni realizzate ritagliando e portando in verticale i contorni delle facciate di edifici raffigurati su antiche incisioni all'acquaforte.

Infine, per il quinto anno consecutivo, Garaicoa ha dedicato una settimana di open studio ad artisti da lui stesso invitati a esporre. La mostra, piccola, ma densa e intensa, si è rivelata di grande tenuta formale. L'intimità dello studio, un ex laboratorio nel centro di Madrid, si coniugava bene con il tema scelto, quello del disegno e della relazione tra opere al tratto, video e libro d'artista. Nella scelta delle opere, nella poesia dell'insieme, oltre che nella cura meticolosa e nella stessa idea di promuovere il lavoro di artisti emergenti, per lo più latino-americani, offrendo loro spazio e accostandoli ad altri già noti, si coglieva lo sguardo intrinsecamente impegnato, attento, propositivo, seppur critico, di colui che le aveva assemblate. Gli artisti invitati erano: Alexandre Arrechea, Marlon Azambuja, Carlos Bunga, Loidys Carnero, Sandra Gamarra, Peter Greenaway, Jorge Macchi, Claude Mellon, Antoinette Nausikaa, Hans Op de Beeck, Nicolás Paris, Dan Perjovski, Jafis Quintero, Fernando Renes, Nicolás Robbio, Nedko Solakov, Ezequiel Suárez, Pascale Martine Tayou and Pablo Valbuena.

Wilfredo Prieto, Amarrado a la pata de la mesa, 2011. Courtesy CA2M, Centro de Artes Dos de Mayo, Madrid.

Alle porte di Madrid il centro CA2M, Centro de Artes Dos de Mayo, ha proposto invece una personale di Wilfredo Prieto (aperta fino al 24 aprile). Il lavoro di Prieto si caratterizza per brevità narrativa, assenza di ogni elemento superfluo, allusioni alla storia dell'arte, giochi semantici. La mostra si snoda attraverso opere realizzate in situ a partire da giochi linguistici e da materiali quotidiani: "Le idee esistono già nella realtà, come le nuvole. Chi le vede se ne può appropriare", sostiene Prieto. La sua estetica è minimalista, i suoi interventi così essenziali che potrebbero passare inosservati o essere interpretati come semplici incidenti. Nella sua poetica graffiante coesistono persistenza e sottigliezza. Gli oggetti che usa sono modesti, spogli di aura e di pathos. Ma, che si tratti di un guscio d'uovo trasformato in fonte di luce e di meraviglia grazie all'inserzione al suo interno di una lampadina, o di un cubetto di marmo e uno di zucchero esposti su una mensola come "due classici", le opere installate meticolosamente tendono ad aprirsi a diverse interpretazioni grazie a un senso dell'umorismo che riesce a farne emergere il potenziale. Al di là dell'immediatezza dell'associazione linguistica, nella loro concisione concettuale si trasformano in efficaci microallegorie. Il lavoro di Prieto risulta così decisamente ludico, ma anche critico e intrinsecamente eversivo rispetto alle strutture portanti del pensiero e dello sguardo e alla retorica imperante del mondo in cui viviamo.

L'installazione del gruppo Los Carpinteros (i falegnami) commissionata dal quotidiano El Pais. Courtesy of Ivorypress & Los Carpinteros

Presenti a Madrid anche Los Carpinteros, il cui lavoro consiste in sculture, installazioni, acquarelli. Fondato a Cuba all'inizio degli anni Novanta da Marco Castillo, Dagoberto Rodríguez e Alexandre Arrechea (oggi quest'ultimo lavora autonomamente), il collettivo ha iniziato esplorando, con un mordace senso dell'umorismo, le nozioni tradizionali di architettura e di design e lo spazio e la funzione delle cose. L'avere lavorato, nei primi anni, in un contesto culturale segnato dalla recessione, li ha indotti a utilizzare materiali riciclati, soprattutto di legno, e a trasformarli con tecniche artigianali. Da qui, il nome Los Carpinteros (i falegnami) assunto con intento antiretorico e ironico in riferimento alla questione dell'autorialità artistica e dell'aura dell'opera rispetto allo statuto dell'artefatto. Mobili, oggetti, materiali e strumenti da costruzione, la relazione, o la discrepanza, tra utensile e funzione, tra l'arte e la quotidianità, tra l'utilizzabilità e l'inutilità sono tra i loro temi, unitamente all'attenzione per il tessuto urbano e per le sue contraddizioni.

L'installazione del gruppo Los Carpinteros (i falegnami) commissionata dal quotidiano El Pais. Courtesy of Ivorypress & Los Carpinteros

Oltre a essere stati presenti ad Arco con una bellissima installazione commissionata dal quotidiano El Pais, – una delle loro "esplosioni", ossia ambienti in cui una deflagrazione pare aver investito, e letteralmente mandato per aria, ogni cosa – Los Carpinteros ha appena presentato presso Ivory Press la magnifica monografia, appena pubblicata, Los Carpinteros Handwork. Constructing the World: un libro ricco di disegni, acquarelli e documentazione relativa alle loro installazioni; dagli oggetti rivisitati, alle esplosioni stesse, come il faro, ancora funzionante, ma steso a terra, come se fosse stato appena abbattuto. Un'opera di chiaro significato, se si pensa che è stata realizzata nel 2005 a Cuba, territorio insulare che in quel momento pareva interessato da un rivolgimento politico destinato a ribaltarne le sorti. Los Carpinteros la considerano la loro opera più politica. Il libro viene venduto insieme a un multiplo, un paio di infradito. A ispirare l'idea di adottare questa forma di calzatura, tipica dell'area tropicale, il detto che non si può veramente capire l'esperienza altrui finché non ci si è trovati al loro posto o, internazionalmente, finché non si cammina con le scarpe di qualcun altro. Sulle infradito è incisa la pianta dell'Avana: un altro invito a sperimentare l'arte concretamente, a coglierne il nucleo germinatore avvicinandosi, anche letteralmente, al contesto che l'ha ispirata. Il libro è pubblicato da Verlag der Buchhandlung Walther König, Colonia, con il supporto di Thyssen-Bornesmisza Art Contemporary, che da tempo sostiene attivamente questo gruppo di artisti. Nelle sue 380 pagine contiene 330 bellissime riproduzioni, e saggi e conversazioni con gli artisti di Paulo Herkenhoff, Helen Molesworth, Rochelle Steiner ed Eugenio Valdés Figueroa. Gabi Scardi

L'installazione del gruppo Los Carpinteros (i falegnami) commissionata dal quotidiano El Pais. Courtesy of Ivorypress & Los Carpinteros.
L'installazione Prêt-à-porter di Carlos Garaicoa all'interno della mostra "Party! Not Tea Party" alla Galería Elba Benítez. © Carlos Garaicoa Courtesy dell'artista e della Galería Elba Benítez. Photo Luis Asín.
Vista della mostra "Party! Not Tea Party" di Carlos Garaicoa Galería Elba Benítez. © Carlos Garaicoa Courtesy dell'artista e della Galería Elba Benítez. Photo Luis Asín.