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Le fermate del bus sovietiche e oltre: le foto di Christopher Herwig

Diventato una star grazie al successo del libro Soviet Bus Stops, Christopher Herwig è un fotografo che ha scattato in mezzo mondo, con un occhio speciale per il design. Oggi vive in Sri Lanka: l’abbiamo incontrato.

Una bicicletta, una macchina fotografica e l’obiettivo di scattare una foto ogni ora. Potrebbe sembrare un gioco, invece è l’inizio del viaggio intercontinentale di Christopher Herwig, il fotografo canadese che più di vent’anni fa ha iniziato a lavorare a un progetto di cui sentiamo parlare ancora oggi.
La sua raccolta di fotografie – diventata un libro in due volumi e un documentario – immortala le più insolite e originali fermate dell’autobus dell’ex Unione Sovietica, e proprio grazie al suo lavoro, queste strutture sono diventate celebri in tutto il mondo.

 “Mi ha affascinato il fatto che siano state costruite proprio durante l’Unione Sovietica, perché fino a quel momento avevo l’impressione – piuttosto limitata – che tutto fosse standardizzato e privo di anima” racconta Herwig in un’intervista con Domus. E in effetti, nonostante il Costruttivismo abbia lasciato un segno importante nella rivoluzione sovietica, con progetti celebri come quelli di Tatlin e Mel’nikov, per citare i più noti, è probabile che, pensando all’architettura del Novecento sovietico, vengano in mente soprattutto enormi edifici in cemento e monumenti grandiosi.

Christopher Herwig in Armenia

In un contesto dominato dal controllo del regime socialista, che ha spesso soffocato la creatività individuale, pare che le fermate dell’autobus abbiano avuto un ruolo talmente marginale da essersi ritagliate uno spazio di libertà espressiva. Sono colorate, eccentriche, particolari, e alternano il cemento a vista ai mosaici, arrivando perfino alla riproduzione di torri medievali o di volatili giganti.

Per me ne è valsa la pena anche se a nessuno fosse piaciuto o se non avesse avuto successo professionale. Questo mi ha permesso di farlo nel modo in cui desideravo e penso che proprio per questo abbia colpito le persone: hanno visto qualcosa di autentico e diverso.

Christopher Herwig

Pur riflettendo le ideologie sovietiche – come spiegato dal critico e storico di architettura Owen Hatherley nel secondo volume di Soviet Bus Stops – queste non-architetture hanno rivelato l'ingegno e la personalità dei progettisti. “Purtroppo, la maggior parte degli artisti di queste opere rimane sconosciuta, ma siamo riusciti a rintracciare qualcuno” commenta Herwig, che nel documentario prodotto a distanza di vent’anni dall’inizio del progetto, è andato proprio alla ricerca dei creatori di queste opere. Tra gli incontri più significativi c’è quello con Jüri Konsap, uno dei due autori della fermata nota come “Spider” costruita negli anni ‘70 nella piccola città estone di Niitsiku: “La fermata dell’autobus è stata il risultato della nuova strada. Non abbiamo aspettato ordini da nessuna parte. È stata creata per la gente del posto. Nessuno la vedeva come una cosa sovietica. Era nostra” racconta Konsap.

Spider Stop, Niitsiku, Estonia, 2013. Foto © Christopher Herwig

Oggi alcune di queste fermate sono ancora attive, pur conservando il loro aspetto originale. Altre si trovano spesso nei posti più isolati del ex Urss, in luoghi che un tempo erano serviti dai mezzi di trasporto pubblici e che adesso risultano completamente abbandonati, fornendo così una traccia del modo in cui è cambiata nel tempo la distribuzione della popolazione sul territorio. Per la loro condizione rischiano la demolizione, e l’operazione di Herwig assume un ruolo ancora più importante per conservare la memoria di queste vere e proprie sculture di strada. Un lavoro che, a quanto pare, non ha mai avuto una vera fine.

“Il progetto sulle fermate degli autobus è stato una parte enorme della mia vita, qualcosa che sembrava concludersi nel 2003, poi diverse volte negli anni successivi, ma che magicamente ha sempre trovato un modo per continuare” afferma Herwig. “Adoro scoprire nuovi design, viaggiare, la ricerca stessa. Per me ne è valsa la pena anche se a nessuno fosse piaciuto o se non avesse avuto successo professionale. Questo mi ha permesso di farlo nel modo in cui desideravo e penso che proprio per questo abbia colpito le persone: hanno visto qualcosa di autentico e diverso.”

Kazakhstan. Foto © Christopher Herwig

Durante la sua carriera, Christopher Herwig ha lavorato con il National Geographic, l’Onu, la Cnn, fotografando le foreste di Sierra Leone, villaggi di pescatori in Ghana, famiglie di pastori nomadi tra le yurte sulle Alpi e bazaar siriani. “Non amo troppo i ritratti in posa, perché spesso sembrano costruiti e troppo perfetti. Preferisco aspettare che le persone si dimentichino quasi di me e osservare i loro movimenti, cercando il momento in cui si bilanciano perfettamente con gli altri elementi della scena” confessa il fotografo, che nel suo lavoro tenta di allontanarsi da una costruzione forzata delle immagini.  “Spesso vogliamo che abbiano un messaggio chiaro e immediato, ma la realtà non funziona sempre così. Non è sempre possibile racchiudere persone e luoghi in categorie semplici e definite”, soprattutto quando la realtà va oltre gli stereotipi e le aspettative.

Oggi Herwig si trova in Sri Lanka, dove racconta di essersi trasferito da tre anni e mezzo con sua moglie. Lì sta lavorando all’editing del suo nuovo progetto: “Si tratta dei camion e dei tuk-tuk decorati nella regione dell’Asia meridionale, e approfondisce il tema della ‘poesia della strada’, celebrando l’arte e la creatività individuale che possono comparire nei luoghi più inaspettati.”  Un progetto che, pur nella sua diversità, sembra avere molto in comune con quello sulle fermate dell’autobus: la stessa ricerca di originalità nelle “cose” comuni.

Quando gli viene chiesto se c’è un posto che sogna di visitare, Herwig risponde: “Per me la gioia più grande non è visitare una destinazione che ho sempre sognato, ma imbattermi in qualcosa di inaspettato. Questo può accadere ovunque, persino nel mio stesso quartiere.”

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