Quella del bunker è la tipologia di architettura militare più diffusa dal tempo dei due conflitti mondiali e della Guerra Fredda, che oggi trova nuove letture e interpretazioni.
Un’architettura nata con lo scopo di proteggere e attaccare che, tra le numerose varianti, mantiene una configurazione tipica: una costruzione in cemento armato con pochissime aperture, dalla forma compatta per resistere ai carichi dei bombardamenti dall’alto e smussata per mimetizzarsi nel paesaggio, spesso invisibile dall’esterno ma in grado di intercettare dall’interno un ampio campo visivo attraverso scorci selezionati.
Paul Virilio (P. Virilio, “Bunker archéologie“, Parigi 1975) fu tra i primi a riconoscere la potenza emotiva di queste opere dell’ingegno bellico rileggendo, nei “simulacri di cemento eretti di fronte al vuoto dell’orizzonte marino“ che incontrava passeggiando per le coste bretoni, alcune reminiscenze ancestrali (dalle mastabe egizie, alle tombe etrusche, alle costruzioni azteche), oltre che le radici dell’Architettura Moderna, dall’Existenzminimum, a Le Corbusier, al Brutalismo.
Ancora oggi molte di queste costruzioni punteggiano litorali e crinali, campagne e città di tutto il mondo: un tempo rimosse come vestigia di un passato da dimenticare, con gli anni la coscienza di un valore testimoniale ha contribuito a codificarle come patrimonio da salvaguardare.
Domus ha selezionato alcuni bunker europei, rinati grazie ad interventi di recupero che hanno saputo innescare nuove energie vitali in immobili abbandonati senza tuttavia distorcerne l’identità figurativa e materica: dai bunker trasformati in spazi turistici (Bunker 599), ricettivi (Grüner St. Pauli), culturali ed espositivi (Sammlung Boros, Museo Tirpitz, Rifugio Digitale), a quelli reinterpretati come abitazioni (Bunker Pavilion, Bunker 319, The Transmitter Bunker).