Il Grand Palais è una certa idea della Francia, grandeur e peripezie comprese. Costruito a tempo di record sulle ceneri del Palais de l’Industrie, questo enorme complesso progettato per accogliere l’Esposizione Universale del ‘900 si erge fin dalla sua inaugurazione a un nuovo simbolo della modernità. Grande come la reggia di Versailles, incarna una visione architettonica che risponde ad un’idea combinata di splendore e progresso: ne è un emblema la struttura in acciaio e vetro della Navata, la più grande d’Europa, la cui volta vetrata definisce una volumetria immateriale e sospesa che ancora oggi suscita la meraviglia dei visitatori contemporanei. Dietro al pragmatico spazio espositivo e ai decori suntuosi si cela però, insospettabile ai più, il volto di un pastiche.
Realizzato in soli tre anni a seguito di un concorso di architettura, quello del 1896, che non ha visto emergere nessuna vincitore incontestato, il Grand Palais è in realtà la sommatoria di tre progetti autonomi, costruiti l’uno a ridosso dell’altro da tre architetti diversi: Henri Deglane, l’autore della navata, Louis-Albert Louvet, responsabile per il blocco centrale con la sua scala d’onore, e Albert Thomas, autore del Palais de la Découverte, con l’architetto Charles Giraud a fare da coordinamento alle tre strutture. Un matrimonio forzato, resosi necessario dalla stringente tabella di marcia, che si trasforma in una trigamia integrata, tanto nella fase dell’implementazione che della resa spaziale dell’opera ultimata.
“Il Grand Palais è come un coltellino svizzero”, ci racconta oggi François Chatillon, nella doppia veste di fondatore di Chatillon Architectes, studio di architettura a capo della ristrutturazione oggi in corso su tutto il complesso, e di architecte en chef des monuments historiques (Acmh), categoria di funzionari statali assunti per concorso e responsabili della protezione del patrimonio francese. Pensato e utilizzato come spazio espositivo, il Grand Palais ha fatto prova della sua versatilità nel corso dei decenni, adattandosi tanto alla funzione di ippodromo che di ospedale militare e rivelando così la sua capacità di essere anche altro rispetto ad un mero spazio espositivo. Un’adattabilità, e quindi una visione identitaria sulle sorti del monumento, che è necessariamente al cuore delle domande di quanti, architetti e istituzioni, si sono interrogati sulle sue sorti. “La doppia sfida di oggi”, continua Chatillon, “riguarda tanto la messa a norma del monumento che la necessità di mettere in campo una ristrutturazione che lo sappia portare al passo col il nostro tempo, proiettandolo verso il futuro”, continua l’architetto.
La ristrutturazione integrale del monumento, mai condotta in precedenza, ha infatti finito per imporsi. Numerosi problemi tecnici avevano portato alla chiusura di alcune aree, e la mancata conformità alle norme di sicurezza aveva reso la struttura non equipaggiata all’organizzazione di eventi. Chiuso integralmente al pubblico il 12 marzo 2021, mentre scriviamo la Navata del Grand Palais è nelle fasi finali di un cantiere che lascia intravedere a sprazzi l’opera finita. Con un obiettivo di consegna imminente: i Giochi Olimpici e Paraolimpici che si terranno a Parigi nell’estate 2024. Mentre l’apertura dell’intero complesso dovrà attendere il 2025.
Che veste dare ad un monumento che la storia ha già minacciato di distruzione – non solo con il grande incendio del 1944 alla liberazione di Parigi, ma anche con i piani del Ministro per gli Affari Culturali André Malraux, intenzionato a fare tabula rasa per permettere a Le Corbusier di costruire un museo emblema del XX secolo? Nella visione progettuale che François Chatillon condivide con noi, vince la necessità di restituire l’intelligenza della forma del monumento attraverso il ripristino della sua unità, della coerenza dello spazio e della salvaguardia delle sue funzioni. Un ideale che si fa tangibile nella ritrovata fluidità tra i tre blocchi e nella volontà di ripristinare la magnificenza del Grand Palais attraverso il restauro di tutti gli elementi, dalle statue, ai mosaici, alle balaustre, che ne definiscono da sempre la maestosità.
Un monumento riportato con oculatezza allo splendore di una struttura eccezionale, che già da sola riesce ad evocare la forza della propria unicità ed imponenza.
All’interno della struttura, ad imporsi nel corso della visita preliminare a cui partecipiamo mentre i lavori per la finalizzazione prima della scadenza olimpica procedono a ritmo serrato, è la libertà dello sguardo di penetrare in profondità tra le stratificazioni del monumento e incedere in un gioco potenziato di prospettive. I muri divisori costruiti nel ‘37 per dividere i tre edifici sono stati infatti rimossi. La rottura di questa frammentazione permette non solo di offrire un unico colpo d’occhio dalla Rotonde del Palais de la Découverte fino alla Navata, ma anche di favorire la circolazione della luce naturale e la fluidità del percorso di visita.
Nella Navata, lo splendore della struttura viene fatto riaffiorare attraverso la concertazione puntuale degli interventi di restauro e l’armonizzazione della palette cromatica. A terra, un suolo tecnico color corallo dialoga con il verde ritrovato di colonnati e balaustre e con il bianco caldo, complice una punta di rosa, delle pareti. Nella vetrata di 17,500 mq, il vetro un tempo oscurato è stato sostituito con un vetro trasparente per integrare il cielo e le sue variazioni cangianti nella struttura architettonica. L’ottimizzazione delle proprietà termiche, una grande sfida che guarda alle possibilità di efficientamento energetico pur lavorando nei vincoli imposti dalla storicità dell’edificio, si è concretizzata con l’implementazione di soluzioni tanto a livello di pavimento che di doppi vetri tecnici nella volta. Per quanto riguarda la sfida impiantistica, la soluzione individuata in tutto il Grand Palais ha privilegiato la realizzazione di pareti attrezzate, così da non dover ricorrere ai controsoffitti per lasciare a vista nelle gallerie l’architettura pulita delle volte.
Il Grand Palais ha fatto prova della sua versatilità nel corso dei decenni, adattandosi tanto alla funzione di ippodromo che di ospedale militare e rivelando così la sua capacità di essere anche altro rispetto ad un mero spazio espositivo.
L’effetto auspicato, ancora nelle parole di François Chatillon, si rivela quello di “far affiorare la ricchezza della storia del monumento”, respingendo la rottura a favore della continuità. Fanno parte di questa logica anche i mezzanini realizzati da Pierre Vivien nelle gallerie laterali negli anni ’60, salvaguardati perché considerati una stratificazione integrata ed efficiente dell’edificio. Una visione in contrasto con il progetto dello studio parigino Lan, nominato vincitore del concorso di ristrutturazione del Grand Palais nel 2014 e successivamente revocato dall’incarico nel 2020 – si mormora con la complicità delle sfere presidenziali – perché, si disse al tempo, portatore di una soluzione ritenuta troppo faraonica in un’ottica post-Covid. Impossibile sapere se abbiano giocato un ruolo anche alcuni problemi tecnici emersi in corso d’opera, a cui fanno riferimento nel corso della nostra vista, e i relativi vincoli di budget – 466 milioni di euro di cui 288 finanziati dallo Stato - e di tempistiche, con un appuntamento olimpico non procrastinabile.
Che idea della Francia ci restituirà il nuovo Grand Palais? Sicuramente quella di un monumento riportato con oculatezza allo splendore di una struttura eccezionale, che già da sola riesce ad evocare la forza della propria unicità ed imponenza. Un po’ meno quella di una nuova interpretazione e di una soluzione audace, capace di aggiungere un nuovo tassello alla già ricca identità del monumento. Inclusivo e molteplice, il Grand Palais non tradirà almeno sulla carta il suo desiderio di essere una destinazione per i parigini, grazie ai numerosi spazi e servizi aperti al pubblico anche senza biglietto. Che promettono di regalarne una nuova destinazione di flânerie in una delle aree più elitarie della città.